Il Signore mi chiama a "salire sul monte", a dedicarmi ancora di più alla preghiera... (Benedetto XVI, 24 febbraio 2013)
giovedì 31 gennaio 2013
Il Papa ai vescovi campani: Lottare contro camorra e disoccupazione
Papa a vescovi campani: Lottare contro camorra e disoccupazione
Città del Vaticano, 31 gen. (TMNews)
Benedetto XVI ha ricevuto oggi il secondo gruppo di presuli della Conferenza episcopale della Campania, in visita 'ad Limina apostolorum' nel quadro della più ampia visita a tutta la Conferenza episcopale italiana.
"Il Papa - ha riferito a 'Radio vaticana' il cardinale arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe - ha preso atto di una vivacità delle varie Chiese, che si manifesta attraverso un impegno molto serio, molto convinto, dei sacerdoti e dei religiosi, ma anche e soprattutto dei laici, i quali con una nuova coscienza della loro identità cristiana si sentono chiamati anche ad evangelizzare gli ambienti in cui si trovano.
Quali sono i problemi? Prima di tutto, sono quelli di ordine sociale: mancanza di lavoro, presenza delle attività camorristiche che impediscono lo sviluppo non solo sociale ma anche umano dei nostri territori, l'inquinamento, e tutte quelle cose che purtroppo caratterizzano un po' il nostro vivere in questa realtà campana. Ma, in ogni caso, il Santo Padre, sia perché precedentemente era spesso intervenuto, sia perché ha visto l'impegno dei vescovi e dei sacerdoti, ci ha detto di andare avanti.
Una nota molto bella, particolare, sono le vocazioni, che nei nostri territori stanno attraversando un periodo bello, direi quasi una primavera di giovani che rispondono al Signore e che vogliono seguire il Cristo, dando la loro vita per il bene della Chiesa e quello delle anime".
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L'aspetto giuridico dell'arte sacra (Rodolfo Papa)
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Sanità, Pompili (portavoce Cei): soluzioni giuste e condivise per l'Idi (Izzo)
SANITA': PORTAVOCE CEI, SOLUZIONI GIUSTE E CONDIVISE PER IDI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 31 gen.
La vertenza dell'Idi "possa trovare nelle sedi competenti percorsi rapidi per individuare soluzioni giuste e condivise".
L'auspicio e' stato espresso dal portavoce della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Domenico Pompili, che ha ricevuto oggi una delegazione dei lavoratori dell'ospedale cattolico a margine del Consiglio Episcopale Permanente, in occasione del quale i dipendenti dell'ospedale dei padri Concezionisti, che da mesi non percepiscono regolarmente gli stipendi, hanno manifestato oggi davanti alla sede della Cei di Circonvalazione Aurelia 50.
Monsignor Domenico Pompili, che e' sottosegretario della Cei oltre che direttore dell'Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali, e don Carmine Arice, direttore dell'Ufficio Nazionale per la pastorale della salute, hanno ascoltato dai manifestanti, afferma una nota, "le gravi ragioni e le concrete esigenze che sono alla base del disagio di tante famiglie".
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Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 31 gen.
La vertenza dell'Idi "possa trovare nelle sedi competenti percorsi rapidi per individuare soluzioni giuste e condivise".
L'auspicio e' stato espresso dal portavoce della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Domenico Pompili, che ha ricevuto oggi una delegazione dei lavoratori dell'ospedale cattolico a margine del Consiglio Episcopale Permanente, in occasione del quale i dipendenti dell'ospedale dei padri Concezionisti, che da mesi non percepiscono regolarmente gli stipendi, hanno manifestato oggi davanti alla sede della Cei di Circonvalazione Aurelia 50.
Monsignor Domenico Pompili, che e' sottosegretario della Cei oltre che direttore dell'Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali, e don Carmine Arice, direttore dell'Ufficio Nazionale per la pastorale della salute, hanno ascoltato dai manifestanti, afferma una nota, "le gravi ragioni e le concrete esigenze che sono alla base del disagio di tante famiglie".
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Benedetto XVI: Bene, perdono e amore di Dio, l'unica potenza che vincerà! (Tridente)
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Elogio dell'ingenuità (o dell’obbedienza intelligente). Ubaldo Casotto intervista Robert Spaemann
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On line i manoscritti della Biblioteca Vaticana. Mons. Pasini: un passo nello spirito universale dell'istituzione
On line i manoscritti della Biblioteca Vaticana. Mons. Pasini: un passo nello spirito universale dell'istituzione
Dopo due anni di lavoro, un primo gruppo di 256 manoscritti digitalizzati della Biblioteca Apostolica Vaticana, provenienti dal Fondo Palatino, sono da ieri disponibili in Rete sul sito della biblioteca papale, all’indirizzo www.vaticanlibrary.va. Si tratta di una prima tappa di un progetto più ampio di digitalizzazione degli ottantamila manoscritti conservati nei suoi fondi che l’istituzione vaticana ha intrapreso, grazie all’aiuto di alcuni sponsor, nella fedeltà alla sua originaria vocazione umanistica, per accogliere le nuove possibilità offerte dalla tecnologia. Al microfono di Fabio Colagrande, il prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, mons. Cesare Pasini:
R. – Certo, è un piccolo passo, ma fortemente atteso. Dovevamo arrivarci l’anno scorso, ma siamo arrivati con qualche giorno di ritardo... Siamo, comunque, felicissimi di poter dire al mondo che il progetto di rendere accessibili i manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, dove tu li studi e in qualsiasi luogo, collegandosi via web, ha preso avvio!
D. – Quanto tempo e quanto sforzo c’è voluto per compiere questo primo piccolo, ma importante passo?
R. – C’è voluto uno sforzo di programmazione, durato due anni. Adesso è circa un anno da che abbiamo cominciato a concretizzare e a digitalizzare i manoscritti. Fra l’altro, sono coinvolti anche altri progetti più parziali. Per esempio, i manoscritti ora messi in linea, per la maggior parte vengono dalla Biblioteca di Heidelberg. Questi manoscritti sono stati digitalizzati grazie ad un’intesa molto bella, che è avvenuta qualche anno fa ormai, fra la Biblioteca dell’Università di Heidelberg e la Biblioteca Apostolica Vaticana.
D. – Qual è la filosofia che sta dietro a questa scelta di mettere a disposizione di tutti, in Rete, sul web, questi che sono tra i "pezzi" più preziosi della Biblioteca del Papa?
R. - E’ la filosofia di sempre della Biblioteca Apostolica Vaticana, nata con Niccolò V, con Sisto IV e più avanti con Sisto V, secondo cui questi beni dell’umanità vengono resi accessibili a coloro che li vogliono utilizzare, conoscere e studiare. Inizialmente, in quei secoli, bisognava venire a Roma e qui consultarli, ma la consultazione e l’accesso erano liberi. Oggi lo è ugualmente: basta avere le caratteristiche di una persona che si sa accostare a queste documentazioni così complesse. Ora, avere questa libertà di accesso ai manoscritti, nella modalità moderna, significa farli arrivare anche tramite il web, con immagini digitalizzate. Questo è lo stesso spirito di servizio, che ha animato per secoli la Biblioteca Apostolica Vaticana e che noi siamo felici di fornire anche con immagini digitalizzate.
D. – Può indicare alcuni dei manoscritti più pregiati o più notevoli tra questi primi 256 manoscritti messi in rete?
R. – Ce n’è per esempio uno famoso, che fa parte della collezione dei manoscritti palatini, indicato come “De arte venandi cum avibus”, cioè la caccia agli uccelli: un famoso volume di Federico II, illustrato con particolarità molto dettagliate sul come vengano raffigurati gli uccelli e come se ne faccia la caccia. Questo, forse, è il più famoso fra i 256 manoscritti ora messi online. Poi ci sono quei bei manoscritti medievali con i testi usati nei monasteri...
D. – Sottolineiamo anche che c’è un progetto generale di digitalizzazione nella Biblioteca Vaticana, che poi però è fatto di tanti singoli progetti…
R. – Infatti, stiamo digitalizzando manoscritti cinesi, manoscritti del cosiddetto Gruppo Alamire, di un musicista e copista di manoscritti musicali. C’è poi tutto un grande progetto legato ad una collaborazione con la Biblioteca di Oxford. Si digitalizzeranno anche gli incunaboli, i manoscritti greci, probabilmente anche i manoscritti ebraici. Poi c’è il progetto base, che sempre mi preme sottolineare, perché è quello che raccoglie tutto, perché se i macchinari, se la struttura, se le procedure di acquisizione non fossero ben calibrate e sostenute, la raccolta dei materiali non sarebbe possibile. Ora, questo è quello che noi abbiamo potuto realizzare grazie ad un’intesa e anche ad una sponsorizzazione con la società internazionale EMC e con Dedanext e Dedagroup. Sono loro i nostri sponsor fondamentali per fare andare avanti il progetto, speriamo, fino a 80 mila, se non oggi, domani, se non domani, negli anni! Se vedendo che il frutto del nostro lavoro... se altre istituzioni, altri sponsor, altre persone, volessero entrare a dare sostegno, sarebbero ben accolti. Coloro che ora stanno collaborando sono ben felici di avere altri collaboratori e non ci sono gelosie in questo progetto.
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Plenaria dicastero della Cultura dedicata ai giovani. Card. Ravasi: ascoltarli oltre gli schermi digitali
Plenaria dicastero della Cultura dedicata ai giovani. Card. Ravasi: ascoltarli oltre gli schermi digitali
Le “Culture giovanili emergenti” al centro dell’Assemblea Plenaria annuale del Pontificio Consiglio della Cultura, che si aprirà a Roma, il pomeriggio del 6 febbraio nell’Aula Magna dell’Università Lumsa, con una seduta pubblica arricchita da un concerto di musica rock, per poi proseguire a porte chiuse fino al 9 febbraio. Di buon incentivo per tutti i partecipanti sarà l’udienza con il Papa all’inizio dei lavori. L’evento, di ampio respiro internazionale, è stato presentato stamane in sala stampa vaticana dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero promotore. Il servizio di Roberta Gisotti.
La questione giovanile, nella società e nella Chiesa. Ascoltare i giovani è “una preziosa opportunità ed un’esigenza per gli adulti e per le comunità cristiane”: si parte da qui in questa Assemblea. “La loro lingua è diversa dalla mia” – ha esordito il cardinale Ravasi – “sono nativi digitali” comunicano con twitter, con i segni grafici del cellulare, “al dialogo fatto di contatti diretti, visivi, olfattivi…” “hanno sostituito il freddo ‘chattare’ virtuale attraverso lo schermo” La logica informatica del save o delete “regola anche la loro morale che è sbrigativa”. Appaiono come “‘sconnessi’ dall’insopportabile complessità sociale, politica, religiosa che abbiamo creato noi adulti”. Da qui una serie di domande contradditorie che - ha sottolineato il presdiente del Pontoficio Consiglio della Cultura - interpellano la coscienza di genitori, maestri, preti classe dirigente:
“Sono individualisti, eppure seguono le mode di massa. Sono legati ad un’etica di tipo emozionale, istintiva, eppure hanno un rigore estremo nell’amicizia. Sono vitali, ma al tempo stesso si bruciano, nel vuoto: pensiamo alla droga, ma non soltanto. Sono sconnessi con il nostro mondo, con l’esterno della società, della politica, eppure sono i più connessi in assoluto con la comunicazione. Loro disprezzano sostanzialmente la cultura paludata, però, dall’altra parte, la musica è una delle componenti fondamentali, non solo della loro formazione, ma del loro esistere. Sono si dice pigri, inerti - ci si lamenta - si trascinano, ma sono quelli che pongono ripetutamente - lo dicono – il fatto che noi, generazione precedente e società li abbiamo lasciati disoccupati: non ci preoccupiamo e non siamo in grado di trovare loro un impegno. Sono egocentrici, ma, allo stesso tempo, cosa sarebbe del volontariato, se non ci fossero i giovani, essendone loro la testimonianza più viva”.
Giovani che sono il presente e non solo il futuro, ha ricordato il porporato. Su 5 miliardi di abitanti nei Paesi in via di sviluppo oltre la metà ha meno di 25 anni, l’85 per cento della gioventù mondiale.
Ricco il programma della Plenaria illustrato alla stampa da mons. Carlos Alberto Azevedo, delegato del Dicastero promotore. Dopo l’analisi delle culture giovanili, dei linguaggi e rituali, la proposta evangelica:
“Bisogna comprendere la fatica e tante volte l’insuccesso delle prassi ecclesiali, che scava il fossato tra giovani e Chiesa. Anche nella fede c’è bassa natalità. La generazione degli adulti o non sa come o non ha spazio per curare la propria fede e generare nella fede”.
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Il Papa incoraggia i vescovi contro la camorra
Papa incoraggia Vescovi contro camorra
(ANSA) - NAPOLI, 31 GEN - Il Papa ha incoraggiato i Vescovi della Campania a continuare la lotta della Chiesa alla criminalita' organizzata ed in favore dell'occupazione dei giovani. Benedetto XVI ha ricevuto oggi un secondo gruppo di Vescovi della Campania in visita ad Limina. ''Il Papa era gia' intervenuto altre volte, ma in questo caso ha chiesto di farci voce - noi come Chiesa, e nel nome di Cristo- dei piu' deboli, dei piu' umiliati'', ha detto il Cardinale Crescenzio Sepe ai microfoni di Radio Vaticana. (Ansa)
Ravasi: "Mi sono persino esposto all'ascolto di cd di Amy Winehouse..."
Vaticano/ Giovani e web a centro di assemblea discastero Ravasi
"Mi sono persino esposto all'ascolto di cd di Amy Winehouse..."
Città del Vaticano, 31 gen. (TMNews)
Porsi "in ascolto della questione giovanile", che, anche nella Chiesa, "diventa più accesa a causa, tra l'altro, dell'evidente difficoltà nella trasmissione della fede".
Per questo il pontificio consiglio della Cultura del cardinale Gianfranco Ravasi ha deciso di dedicare proprio al tema delle 'culture giovanili' la prossima assemblea plenaria, in programma dal 6 al 9 febbraio prossimo a Roma che tenterà di elaborare una "buona visione" relativamente "alle trasformazioni della cultura e della società, ai problemi della famiglia, ai conflitti intergenerazionali e più in generale a come la generazione giovanile di oggi vive ed entra in rapporto con tali cambiamenti sociali".
"Che sia avvenuto un salto generazionale lo si registra subito a livello di comunicazione", ha detto Tavasi presentando l'evento in una conferenza stampa in Vaticano.
"Già in partenza, infatti, mi accorgo che il loro udito è diverso dal mio: mi sono persino esposto all'ascolto di un cd di Amy Winehouse per averne la prova immediata. Eppure in quei testi così lacerati musicalmente e tematicamente emerge una domanda di senso comune a tutti". Per Ravasi la lingua dei giovani "è diversa dalla mia, e non solo perché usano un decimo del mio vocabolario", "la loro comunicazione ha adottato la semplificazione del twitter, la pittografia dei segni grafici del cellulare; al dialogo fatto di contatti diretti visivi, olfattivi e così via hanno sostituito il freddo 'chattare' virtuale attraverso lo schermo". Inoltre, "il loro passeggiare per le strade con l'orecchio otturato dalla cuffia delle loro musiche segnala che sono 'sconnessi' dall'insopportabile complessità sociale, politica, religiosa che abbiamo creato noi adulti. In un certo senso - ha aggiunto il porporato - calano una visiera per autoescludersi anche perché noi li abbiamo esclusi con la nostra corruzione e incoerenza, col precariato, la disoccupazione, la marginalità.
E qui dovrebbe affiorare un esame di coscienza nei genitori, nei maestri, nei preti, nella classe dirigente". In questo senso, bisogna "dare più attenzione ai giovani anche nella Chiesa, dove dovrebbero poter accedere anche a incarichi di responsabilità".
Il presidente del pontificio consiglio della Cultura ha 'aperto un dialogo' con il mondo dei giovani tramite twitter e l'hashtag "#Reply2Ravasi" (gestito in collaborazione con padre Enzo Fortunato, portavoce del Sacro Convento di Assisi) dove è possibile inviare le proprie domande e osservazioni sulle culture giovanili emergenti. La plenaria, che vedrà riuniti più di 60 esponenti del mondo ecclesiale e della società civile provenienti da tutto il mondo, è stata presentata ai giornalisti anche da monsignor Carlos Alberto Azevedo, delegato del Pontificio Consiglio della Cultura, da Alessio Antonielli, un giovane laureando in filosofia e dalla studentessa africana Farasoa Mihaja Bemahazaka. Padre Enzo Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi, ha letto alcune delle domande giunte tramite Twitter e il sito sanfrancesco.org, che trasmetteva in diretta la presentazione.
Ad un ragazzo che domandava come faccia la Chiesa a rivolgersi ai giovani nonostante gli scandali che l'hanno recentemente coinvolta, Ravasi ha risposto che nella sua prima predica, "un tewwt perfetto", "Gesù dice: Convertitevi e credete al Vangelo".
Di conseguenza, "i giovani fanno bene a parlare degli scandali", senza dimenticare che tutti devono fare auto-critica, "ma la Chiesa è incarnata, nella polvere e nel fango".
Quanto ai giovani attratti dal tradizionalismo cattolico, e non da internet e dalla modernità, "i giovani - ha detto Ravasi - non possono essere analizzati con gli schemi freddi della sociologia e della pastorale. Ma quello tradizionalista è, comunque, un fenomeno fatalmente minoritario rispetto a realtà molto più estese come il volontariato, che nulla hanno a che fare con chi ama la ritualità fine a se stessa".
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Non mi pare il caso di essere cosi' sprezzante con i tradizionalisti anche perche' sono attivissimi sul web.
R.
Vaticano-OLP: verso accordo bilaterale, confermati i buoni rapporti (Izzo)
VATICANO-OLP: VERSO ACCORDO BILATERALE,CONFERMATI BUONI RAPPORTI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 31 gen.
In "un'atmosfera aperta e cordiale, espressione dei buoni rapporti esistenti" la Santa Sede e lo Stato di Palestina hanno dato avvio nei giorni scorsi ad una nuova fase dei "negoziati bilaterali che si sono svolti negli anni passati con l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina".
L'incontro ufficiale si e' tenuto a Ramallah il 30 gennaio, presso il ministero degli Affari Esteri dello Stato di Palestina.
Le delegazioni erano guidate da Riad Al-Malki, ministro degli Affari Esteri dello Stato della Palestina, e da monsignor Ettore Balestrero, sotto-segretario vaticano per i rapporti con gli Stati.
Nei giorni scorsi una nota congiunta Israele-Santa Sede dava conto dei progressi registrati nel negoziato sulle questioni economiche e il comunicato di oggi sembra riequilibrare la posizione.
Nel corso dei colloqui di Ramallah, recita il comunicato, "e' stata espressa gratitudine per il contributo della Santa Sede di 100 mila euro per il restauro del tetto della Basilica della Nativita' a Betlemme".
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Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 31 gen.
In "un'atmosfera aperta e cordiale, espressione dei buoni rapporti esistenti" la Santa Sede e lo Stato di Palestina hanno dato avvio nei giorni scorsi ad una nuova fase dei "negoziati bilaterali che si sono svolti negli anni passati con l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina".
L'incontro ufficiale si e' tenuto a Ramallah il 30 gennaio, presso il ministero degli Affari Esteri dello Stato di Palestina.
Le delegazioni erano guidate da Riad Al-Malki, ministro degli Affari Esteri dello Stato della Palestina, e da monsignor Ettore Balestrero, sotto-segretario vaticano per i rapporti con gli Stati.
Nei giorni scorsi una nota congiunta Israele-Santa Sede dava conto dei progressi registrati nel negoziato sulle questioni economiche e il comunicato di oggi sembra riequilibrare la posizione.
Nel corso dei colloqui di Ramallah, recita il comunicato, "e' stata espressa gratitudine per il contributo della Santa Sede di 100 mila euro per il restauro del tetto della Basilica della Nativita' a Betlemme".
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Vicini agli oppressi. Il Papa ai vescovi campani: lottare contro camorra e disoccupazione giovanile
Vedi anche:
Benedetto XVI ha ricevuto oggi il secondo gruppo di presuli della Conferenza episcopale della Campania, in visita “ad Limina”. All’incontro ha partecipato anche il cardinale arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe. Sergio Centofanti lo ha intervistato:
R. - È stato un incontro meraviglioso perché avvenuto in un clima di profonda comunione, di apertura, nel quale il Santo Padre ci ha dato degli indirizzi, perché naturalmente conosceva bene la situazione attraverso le relazioni che gli avevamo inviato. Ma, anche dopo aver ascoltato ogni singolo vescovo, ha fatto una sintesi di tutti quelli che sono i tanti lati positivi che sono emersi anche nelle attività delle singole diocesi e di qualche difficoltà che dobbiamo affrontare e quindi incoraggiandoci ad andare avanti.
D. - Quali sono le preoccupazioni principali del Papa?
R. - Intanto, il Papa ha preso atto di una vivacità delle varie Chiese, che si manifesta attraverso un impegno molto serio, molto convinto, dei sacerdoti e dei religiosi, ma anche e soprattutto dei laici, i quali con una nuova coscienza della loro identità cristiana si sentono chiamati anche ad evangelizzare gli ambienti in cui si trovano. Quali sono i problemi? Prima di tutto, sono quelli di ordine sociale: mancanza di lavoro, presenza delle attività camorristiche che impediscono lo sviluppo non solo sociale ma anche umano dei nostri territori, l’inquinamento, e tutte quelle cose che purtroppo caratterizzano un po’ il nostro vivere in questa realtà campana. Ma, in ogni caso, il Santo Padre, sia perché precedentemente era spesso intervenuto, sia perché ha visto l’impegno dei vescovi e dei sacerdoti, ci ha detto di andare avanti. Una nota molto bella, particolare, sono le vocazioni, che nei nostri territori stanno attraversando un periodo bello, direi quasi una primavera di giovani che rispondono al Signore e che vogliono seguire il Cristo, dando la loro vita per il bene della Chiesa e quello delle anime.
D. - Quindi il Papa vi ha incoraggiato a continuare la vostra lotta, come Chiesa, alla criminalità organizzata e in particolare nel vostro impegno per l’occupazione dei giovani…
R. - Assolutamente sì. Il Papa era già intervenuto altre volte, ma in questo caso ha chiesto di farci voce - noi come Chiesa, e nel nome di Cristo - dei più deboli, dei più umiliati, di coloro che vengono sopraffatti, soprattutto di quelli che non riescono a causa della mancanza di lavoro - mi riferisco ai giovani - a realizzare i propri sogni e le proprie aspirazioni.
D. - Cosa l’ha maggiormente colpita di questo incontro con il Papa?
R. - Il Papa ci ha seguiti uno per uno con molta lucidità e con molta chiarezza e soprattutto ha individuato nella sua sintesi i problemi che avevamo esposto dicendoci di andare avanti. Ci ha benedetti e ha detto che ci è vicino in questa opera pastorale apostolica nella nostra regione.
D. - Come ritornate a Napoli?
R. - Carichi di questa bontà. La visita ad limina è sempre un segno di profonda comunione dei vescovi con il Papa e dei vescovi tra loro. Alla fine ho visto anche le sensazioni degli altri confratelli vescovi che erano molto soddisfatti e soprattutto molto carichi per questo incoraggiamento ricevuto dal Papa.
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Verso una "rapida conclusione" l'accordo tra Vaticano e Palestina
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Negoziati su accordo Santa Sede-Palestina: auspicata rapida conclusione
Negoziati su accordo Santa Sede-Palestina: auspicata rapida conclusione
In seguito ai negoziati bilaterali che si sono svolti negli anni passati con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), si è tenuto ieri un incontro ufficiale a Ramallah, presso il Ministero degli Affari Esteri dello Stato di Palestina.
I colloqui sono stati guidati da Riad Al-Malki, ministro degli Affari Esteri dello Stato della Palestina, e da mons. Ettore Balestrero, sotto-segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati. Le parti, informa un comunicato congiunto, hanno avuto uno scambio di vedute sulla bozza d’accordo in esame, in particolare sul Preambolo e sul Capitolo I del documento.
I colloqui si sono realizzati “in un’atmosfera aperta e cordiale, espressione dei buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina”.
Le delegazioni, spiega la nota, “hanno espresso l’augurio che i negoziati siano accelerati e giungano ad una rapida conclusione”. È stato così concordato che si riunirà un “gruppo tecnico congiunto per darvi seguito”. È stata infine espressa gratitudine per il contributo della Santa Sede di 100 mila euro per il restauro del tetto della Basilica della Natività a Betlemme.
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JOINT COMMUNIQUÉ ON THE BILATERAL MEETING BETWEEN THE HOLY SEE AND THE STATE OF PALESTINE (30 JANUARY 2013), 31.01.2013
TESTO IN LINGUA ORIGINALE
Following the bilateral negotiations held in past years with the Palestine Liberation Organization (P.L.O), an official meeting took place in Ramallah on the 30th of January 2013, at the Ministry of Foreign Affairs of the State of Palestine.
The talks were headed by H.E. Dr. Riad Al-Malki, Minister of Foreign Affairs of the State of Palestine, and Msg. Ettore Balestrero, Under-Secretary for the Holy See’s Relations with States.
The Parties exchanged views regarding the draft Agreement under discussion, especially the Preamble and Chapter I of the mentioned Agreement. The talks were held in open and cordial atmosphere, expression of the existing good relations between the Holy See and the State of Palestine. The Delegations expressed the wish that negotiations be accelerated and brought to a speedy conclusion. It was thus agreed that a joint technical group will meet to follow-up.
Gratitude was expressed for the Holy See’s contribution of 100.000 euro towards the restoration of the roof of the Basilica of the Nativity in Bethlehem.
The Holy See Delegation was composed of H.E Archbishop Giuseppe Lazzarotto, Apostolic Delegate to Jerusalem and Palestine; H.E. Archbishop Antonio Franco, Apostolic Nuncio; H.E. Msgr. Selim Sayegh, Auxiliary Bishop Emeritus of the Latin Patriarchate of Jerusalem; Msgr. Maurizio Malvestiti, Under-Secretary of the Congregation for Oriental Churches; Msgr. Alberto Ortega Martin, Counsellor in the Section for the Relations with States of the Secretariat of the State; Msgr. Waldemar Stanislaw Sommertag, Counsellor of the Apostolic Delegation in Jerusalem and Palestine; Fr. Emil Salayta, President of the Ecclesiastical Court of the Latin Patriarchate; Fr. Pietro Felet S.C.J., Secretary General of the A.O.C.T.S.; Fr. Ibrahim Faltas O.F.M., Administrator of the Custody of the Holy Land; Mr. Sami E. Shehadeh, Advocate.
The Delegation of the State of Palestine was composed of H.E. Hanna Amira, P.L.O. Executive Committee Member; H.E. Minister Ziad Al-Bandak, Palestinian President’s Advisor for Christian Relations; H.E. Issa Kssasieh, Deputy of P.L.O. Negotiations Department; H.E. Ambassador Rawan Sulaiman, Assistant Minister of Foreign Affairs; Mr. Ammar M.Hijazi, Counsellor of the Political Committee; H.E. Ambassador Dr. Amal Jadou, Assistant Minister for European Affairs.
TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA
In seguito ai negoziati bilaterali che si sono svolti negli anni passati con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (O.L.P.), si è tenuto un incontro ufficiale a Ramallah il 30 gennaio 2013, presso il Ministero degli Affari Esteri dello Stato di Palestina.
I colloqui sono stati guidati da S.E. Dott. Riad Al-Malki, Ministro degli Affari Esteri dello Stato della Palestina, e da Mons. Ettore Balestrero, Sotto-Segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati.
Le Parti hanno avuto uno scambio di vedute sulla bozza d’accordo in esame, in particolare sul Preambolo e sul Capitolo I di detto Accordo. I colloqui si sono realizzati in un’atmosfera aperta e cordiale, espressione dei buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina. Le Delegazioni hanno espresso l’augurio che i negoziati siano accelerati e giungano ad una rapida conclusione. È stato così concordato che si riunirà un gruppo tecnico congiunto per darvi seguito.
È stata espressa gratitudine per il contributo della Santa Sede di 100.000 euro per il restauro del tetto della Basilica della Natività a Betlemme.
La Delegazione della Santa Sede era composta da S.E. Mons. Giuseppe Lazzarotto, Delegato Apostolico in Gerusalemme e Palestina; S.E. Mons. Antonio Franco, Nunzio Apostolico; S.E. Mons. Selim Sayegh, Vescovo ausiliare emerito del Patriarcato latino di Gerusalemme; Mons. Maurizio Malvestiti, Sotto-Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali; Mons. Alberto Ortega Martín, Consigliere nella Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato; Mons. Waldemar Stanislaw Sommertag, Consigliere della Delegazione Apostolica in Gerusalemme e Palestina; Rev. Emil Salayta, Presidente del Tribunale ecclesiastico del Patriarcato latino; P. Pietro Felet, S.C.J., Segretario Generale dell’A.O.C.T.S.; P. Ibrahim Faltas, O.F.M., Amministratore della Custodia di Terra Santa; Sig. Sami E. Shehadeh, Avvocato.
La Delegazione dello Stato di Palestina era composta da S.E. Hanna Amira, Membro del Comitato esecutivo dell’O.L.P.; S.E. il Ministro Ziad Al-Bandak, Consigliere del Presidente palestinese per i rapporti con i cristiani; S.E. Issa Kssasieh, Vice del Dipartimento dell’O.L.P. per i negoziati; S.E. l’Ambasciatore Rawan Sulaiman, Ministro aggiunto degli Affari Esteri; Sig. Ammar M. Hijazi, Consigliere del Comitato Politico; S.E. l’Ambasciatore Dott. Amal Jadou, Ministro aggiunto per gli Affari Europei.
Bollettino Ufficiale Santa Sede
Italia-Santa Sede, il 12 febbraio vertice per i Patti Lateranensi. Lunedì concerto per il Papa
Clicca qui per leggere la notizia segnalataci da Laura.
Ravasi: svecchiare la Chiesa, i primi discepoli erano giovani (Izzo)
RAVASI: SVECCHIARE LA CHIESA, PRIMI DISCEPOLI ERANO GIOVANI
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 31 gen.
"Nessuno disprezzi la tua giovane eta' ma sii tu di esempio agli altri. Applicati alla lettura, all'esortazione, all'insegnamento".
Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la cultura, ha ricordato queste parole rivolte da San Paolo al suo discepolo Timoteo per sottolineare - in una conferenza stampa tenuta oggi - l'esigenza di "dare piu' attenzione ai giovani anche nella Chiesa, dove dovrebbero poter accedere anche a incarichi di responsabilita'". Il tema e' piu' vasto e riguarda la societa' intera: per Ravasi "dovrebbe affiorare un esame di coscienza nei genitori, nei maestri, nei preti, nella classe dirigente".
"Noi - ha denunciato il cardinale Ravasi - li abbiamo esclusi con la nostra corruzione e incoerenza, col precariato, la disoccupazione, la marginalita'".
Invece, ha ricordato, "la diversita' dei giovani non e' solo negativa ma contiene semi sorprendenti di fecondita' e autenticita'". Nella Chiesa pero', ha aggiunto il capo dicastero, "la questione giovanile diventa piu' accesa a causa, tra l'altro, per l'evidente difficolta' nella trasmissione della fede", tanto che il Pontificio Consiglio della Cultura ha deciso di dedicare proprio al tema delle culture giovanili la prossima Assemblea Plenaria, in programma dal 6 al 9 febbraio prossimo a Roma - riguardo alle trasformazioni della cultura e della societa', ai problemi della famiglia, ai conflitti intergenerazionali e piu' in generale a come la generazione giovanile di oggi vive ed entra in rapporto con tali cambiamenti sociali".
Per l'occasione il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura ha aperto un dialogo con il mondo dei giovani tramite twitter e l'hashtag "#Reply2Ravasi" (gestito in collaborazione con padre Enzo Fortunato, portavoce del Sacro Convento di Assisi) dove e' possibile inviare le proprie domande e osservazioni sulle culture giovanili emergenti.
"Le nuove generazioni e le culture giovanili emergenti sono una preziosa opportunita' ed un'esigenza per gli adulti e per le comunita' cristiane", ha aggiunto Ravasi che assicura la volonta' del suo dicastero di porsi in ascolto attento della "questione giovanile che stiamo vivendo nei diversi continenti".
La plenaria, che vedra' riuniti piu' di 60 esponenti del mondo ecclesiale e della societa' civile provenienti da tutto il mondo, e' stata presentata ai giornalisti anche da monsignor Carlos Alberto Azevedo, delegato del Pontificio Consiglio della Cultura, da Alessio Antonielli, un giovane laureando in filosofia e dalla studentessa africana Farasoa Mihaja Bemahazaka. Padre Enzo Fortunato, direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi, ha letto alcune delle domande giunte tramite Twitter e il sito sanfrancesco.org, che trasmetteva in diretta la presentazione.
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Venezuela. Incidenti nel carcere di Uribana, solidarietà del Papa: mai più drammi simili
Venezuela. Incidenti nel carcere di Uribana, solidarietà del Papa: mai più drammi simili
Dopo i violenti scontri verificatisi il 25 gennaio scorso nel carcere venezuelano di Uribana, costati la vita a 58 persone, in gran parte detenuti, il Papa invita le autorità del Paese a operare perché questi fatti drammatici non si ripetano mai più. Il servizio di Sergio Centofanti.
Benedetto XVI esorta le istituzioni a “continuare a lavorare in uno spirito di collaborazione e buona volontà per superare i problemi ed evitare la ripetizione in futuro di tali eventi drammatici”. L’appello è contenuto in un telegramma di cordoglio inviato, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, in cui il Papa esprime il proprio profondo dolore per i “tragici incidenti” assicurando la sua preghiera per i defunti e “la sua più profonda vicinanza spirituale e solidarietà” alle famiglie delle vittime e ai circa 90 feriti. Proprio ieri, il governo venezuelano ha prorogato di altri tre mesi lo stato di emergenza carceraria per la costruzione di nuovi penitenziari. Secondo l’Osservatorio venezuelano delle prigioni, nel Paese ci sono oltre 45 mila detenuti in strutture che potrebbero ospitarne al massimo 15 mila. L’esecutivo ha aperto un’inchiesta su quanto accaduto: secondo una prima ricostruzione, ad innescare gli incidenti sarebbe stata una perquisizione condotta dalla Guardia nazionale. Alcune bande avrebbero approfittato dell’occasione per aggredire gli agenti: ne sarebbe nato uno scontro durissimo, con i detenuti che avrebbero rubato le armi, ma si ipotizza che altre munizioni fossero all’interno del carcere. Testimoni hanno parlato anche di due esplosioni. Il penitenziario dovrebbe ospitare 850 persone ma al momento ce ne sono 2.500. Per la Commissione Onu per i diritti umani la responsabilità degli scontri è da attribuire alle autorità venezuelane. La Chiesa venezuelana, da parte sua, parla di una “politica penitenziaria inefficace del governo, dinanzi al sovraffollamento, alla mancanza di cibo adeguato, alla violenza incontrollata, ai ritardi procedurali e all'umiliazione subita dalle famiglie” dei detenuti e invoca “un'indagine indipendente e imparziale, che permetta di processare e punire i responsabili”.
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Il Vaticano si leva un sassolino (e lo lancia a Bankitalia…)
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Bene bene bene :-)
Speriamo di leggere presto l'articolo integrale.
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Conferenza stampa di presentazione dell’Assemblea Plenaria annuale del Pontificio Consiglio della Cultura
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La paternità di Dio secondo Benedetto XVI (Introvigne)
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La lunga guerra contro la famiglia. Una riflessione di Ryan N. S. Topping
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Poesia e verità del documento più bello e impegnativo del Vaticano II. Per una rilettura della «Dei Verbum» (Fisichella)
Per una rilettura della «Dei Verbum»
Piacque a Dio di rivelare se stesso
Poesia e verità del documento più bello e impegnativo del Vaticano II
di Rino Fisichella
Riflettere sulla Dei Verbum equivale di fatto a ripercorrere l'intera storia del concilio Vaticano II.
La costituzione dogmatica fu oggetto del dibattito dei padri conciliari fin dai primi mesi del concilio, ne accompagnò i lavori per i tre anni successivi, e fu approvata pressoché all'unanimità a conclusione dell'assise il 18 novembre 1965. Certamente, non ho timore di affermare che siamo dinanzi al documento più bello e più impegnativo del concilio. Più bello, perché ha saputo coniugare la verità dogmatica, con il suo linguaggio preciso e spesso poco incline a lasciarsi tradurre nella plasticità delle immagini con espressioni di alta poesia. Più impegnativo, perché diversi dei suoi contenuti giungono, dopo secoli di dibattito teologico, a una loro chiara elaborazione che evidenzia il progresso dogmatico compiuto.
La rivelazione, che costituisce il fondamento e il cuore della fede cristiana, veniva finalmente a ritrovare il suo posto centrale nella vita della Chiesa. Le prime parole con cui si apre il documento, citando il testo della prima lettera di Giovanni, fanno percepire da subito che si tratta di un'esperienza costitutiva e viva. L'esigenza cioè di comunicare l'incontro reale con Gesù Cristo il Figlio di Dio che chiama alla comunione di vita con la Trinità, cuore e fondamento della fede. Dei Verbum dice immediatamente la straordinaria novità che si viene a compiere nella storia degli uomini. «Parola di Dio» non si intende qui come un generico parlare del Padre, ma attesta l'evento definitivo del suo intervento nella storia: il mistero dell'incarnazione del Figlio. Lui è la Parola che da sempre viene pronunciata e che ora diventa anche visibile. È importante, comunque, cogliere nella lingua originale la peculiarità che viene espressa: Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans. Il primato spetta alla Parola di Dio con la quale l'incipit del testo si apre. Proprio per questo, nello stesso tempo, vengono poste anche le condizioni con cui la Chiesa deve porsi dinanzi a questo evento: l'ascolto e la proclamazione.
Come verrà ribadito nel secondo capitolo della costituzione, il Magistero della Chiesa «non è superiore alla Parola di Dio, ma a essa serve», piuttosto «piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone» (n. 10). Se da una parte dinanzi alla Parola si impone l'ascolto, dall'altra ne deriva la sua proclamazione. La Chiesa non si stanca di annunciare a tutti e in ogni luogo la parola di salvezza che ha il volto di Gesù di Nazaret. Anzi, lo fa con “fiducia” volendo esprimere la stessa forza degli apostoli che con franchezza, cioè con parresìa (Atti degli apostoli, 4, 13. 31), attraversa le strade del mondo per portare la Parola che salva.
Quanto sia decisivo l'insistenza sulla Parola che permane viva e non può essere limitata allo scritto, lo attesta ripetutamente il nostro documento con alcune particolarità che meritano di essere sottolineate. Dei Verbum, inserendosi nella tradizione patristica e medievale, recupera con la Parola di Dio l'unicità della fonte della rivelazione, che viene trasmessa mediante la Sacra Scrittura e la Tradizione. Il concilio parla spesso della Sacra Scrittura come Parola di Dio. La stessa terminologia, comunque, viene utilizzata anche per la Tradizione. «La sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono dunque strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Ambedue infatti, scaturendo dalla stessa divina sorgente, formano in un certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la Sacra Scrittura è parola di Dio (locutio Dei) in quanto è messa per iscritto sotto l'ispirazione dello Spirito Santo; invece la sacra Tradizione trasmette integralmente la Parola di Dio (Dei Verbum), affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli, ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano. In questo modo la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura. Perciò l'una e l'altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di riverenza» (n. 9; cfr. n. 10).
Come si nota, la “Parola di Dio” non può essere identificata solo con la Sacra Scrittura. Se ciò avvenisse, sarebbe un impoverimento dell'evento della rivelazione e avrebbe delle conseguenze nocive anche nella pastorale. Ciò che emerge dal testo conciliare, invece, è il richiamo a una Parola che permane sempre viva. Quando parla della Sacra Scrittura dice che è locutio; cioè qualcosa che viene detto non che viene scritto; quando parla della Tradizione e quindi della trasmissione del Vangelo dice: verbum. Nell'uno come nell'altro caso ci si ritrova sempre con una terminologia che indica una realtà viva, in movimento dinamico tipico della parola. Ciò non toglie il carattere normativo della Scrittura che da sempre, insieme alla Tradizione, è considerata dalla Chiesa «la regola suprema della propria fede» (Dei Verbum, 21). Il cristianesimo, in forza di questo, non potrà mai essere identificato come la “religione del libro”. La Parola possiede un primato tale che non ne permette equivoco alcuno.
Dire “Parola di Dio”, equivale pure ad affermare che Dio ha parlato; è uscito dal silenzio in cui l'uomo lo aveva rinchiuso e nel suo amore si rivolge di nuovo all'umanità. Il fatto che Dio parla implica che vuole comunicare qualcosa di intimo e di assolutamente necessario per l'uomo senza del quale non potrebbe mai giungere a una piena conoscenza di sé e del mistero stesso di Dio. Riprendendo un testo della Lettera agli Ebrei, la costituzione conciliare sottolinea che Dio «ha parlato». Il tempo al perfetto e non è casuale. Nel greco biblico far ricorso al perfetto indica che l'azione è nel passato, ma gli effetti sono ancora presenti fino ai nostri giorni. Insomma, il fatto che Dio abbia parlato non è per noi un evento chiuso nel passato della storia, ma è un'azione che permane. Dio continua a parlare alla sua Chiesa per aprirle i tesori nascosti della Rivelazione e immetterla in quel senso sempre più profondo della verità racchiusa nella sua Parola.
Il nostro testo afferma ancora: placuit Deo in bonitate et sapientia sua revelare se ipsum. «Rivelare se stesso» dice molto di più che far «conoscere se stesso». Viene detto, infatti, in cosa consiste il tipo di conoscenza, è una rivelazione. Ciò indica che qualcosa di radicalmente nuovo è offerto all'umanità, che da se stessa non avrebbe mai potuto raggiungere né produrre.
La Dei Verbum presenta la rivelazione come gratuita iniziativa di Dio che entra in rapporto di comunione con l'uomo. È tutta la vita di Dio che viene rivelata nella persona storica del Cristo; la Trinità si esprime nelle parole e nei gesti, intimamente uniti, di Gesù di Nazaret. All'uomo resta l'obbedienza della fede, che è abbandono totale al mistero di Dio che si rivela. La storia è lo scenario e il palcoscenico in cui si realizza questo ineffabile incontro di Dio e dell'uomo ed è il luogo in cui questo incontro viene tramandato nei secoli e fatto conoscere.
Il testo, comunque, procede oltre per indicare la modalità con la quale Dio si rivela e comunica: «Nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con loro». Quanto possa essere decisivo il verbo intrattenersi lo attesta il suo riferimento alla teologia di Giovanni dove il verbo “rimanere” ha un valore paradigmatico. Dio quindi non solo parla con gli uomini, ma si ferma con loro; rimane con loro per condividere gioie e dolori e dare alla vita il suo senso compiuto che non potrebbe essere ritrovato altrove. In questo orizzonte, si deve cogliere il rimando alla pienezza della rivelazione nella persona di Gesù Cristo. Lui è il rivelatore del Padre e nello stesso tempo la sua rivelazione. Questa non arriva solo tramite la sua predicazione, a cui spesso cede la tentazione di molti, ma anche nei suoi gesti e con il suo silenzio. Gestis verbisque attesta l'unità della persona di Gesù e vuole evidenziare quanta attenzione sia dovuta nel cogliere il fatto rivelativo anche nei segni che vengono offerti da Gesù Cristo.
Insomma, il concilio attesta che la sola predicazione non basta se questa non è accompagnata dai segni che ne attestano la piena efficacia.
Il valore di Dei Verbum per il presente della Chiesa è l'ultima considerazione a cui si vuole giungere. Dopo cinquant'anni dall'apertura del Vaticano II è possibile verificare anzitutto il grande apporto che da questo insegnamento è stato profuso dalla Chiesa. Per quanto possa valere il mio pensiero, ritengo che molti passi siano stati compiuti; eppure, il cammino per far emergere in pienezza l'originalità e la ricchezza di questo insegnamento è ancora lungo. Certamente, dopo secoli di ombra, la Bibbia è stata riportata tra le mani dei fedeli e ha ritrovato il suo posto privilegiato nella Chiesa e nella vita dei singoli credenti. Alla stessa stregua, nel corso di questi decenni, gli studi di esegesi si sono moltiplicati e consentono di giungere a una conoscenza più coerente dei testi sacri. Non sono mancate, purtroppo, stonature eclatanti che hanno spinto la Sacra Scrittura fuori dal contesto ecclesiale con il grave pericolo di incatenarla alla sola interpretazione, figlia di metodi spesso estranei. Proprio su questo orizzonte, è possibile vedere quanto ancora lungo e fecondo debba essere il cammino per il futuro. Penso, in primo luogo, alla comprensione del concetto di “Parola viva” che deve essere “trasmessa”.
È proprio il concetto e l'azione della trasmissione della Parola di Dio che sembra oggi mancare. Ciò con cui ci si viene a incontrare, purtroppo, è l'interruzione della trasmissione della fede.
L'analfabetismo religioso rende questa trasmissione ancora più difficile. Per poter far conoscere alle generazioni che verranno dopo di noi tutto ciò che «la Chiesa è e tutto ciò che essa crede» (Dei Verbum, 8) è necessario che vi sia la consapevolezza di essere parte viva della Chiesa. Il senso di appartenenza alla Chiesa impone di crescere in questa responsabilità e diventare artefici di una nuova evangelizzazione che sappia portare, anzitutto ai credenti, l'immutata freschezza della Parola di Dio.
Piacque a Dio di rivelare se stesso
Poesia e verità del documento più bello e impegnativo del Vaticano II
di Rino Fisichella
Riflettere sulla Dei Verbum equivale di fatto a ripercorrere l'intera storia del concilio Vaticano II.
La costituzione dogmatica fu oggetto del dibattito dei padri conciliari fin dai primi mesi del concilio, ne accompagnò i lavori per i tre anni successivi, e fu approvata pressoché all'unanimità a conclusione dell'assise il 18 novembre 1965. Certamente, non ho timore di affermare che siamo dinanzi al documento più bello e più impegnativo del concilio. Più bello, perché ha saputo coniugare la verità dogmatica, con il suo linguaggio preciso e spesso poco incline a lasciarsi tradurre nella plasticità delle immagini con espressioni di alta poesia. Più impegnativo, perché diversi dei suoi contenuti giungono, dopo secoli di dibattito teologico, a una loro chiara elaborazione che evidenzia il progresso dogmatico compiuto.
La rivelazione, che costituisce il fondamento e il cuore della fede cristiana, veniva finalmente a ritrovare il suo posto centrale nella vita della Chiesa. Le prime parole con cui si apre il documento, citando il testo della prima lettera di Giovanni, fanno percepire da subito che si tratta di un'esperienza costitutiva e viva. L'esigenza cioè di comunicare l'incontro reale con Gesù Cristo il Figlio di Dio che chiama alla comunione di vita con la Trinità, cuore e fondamento della fede. Dei Verbum dice immediatamente la straordinaria novità che si viene a compiere nella storia degli uomini. «Parola di Dio» non si intende qui come un generico parlare del Padre, ma attesta l'evento definitivo del suo intervento nella storia: il mistero dell'incarnazione del Figlio. Lui è la Parola che da sempre viene pronunciata e che ora diventa anche visibile. È importante, comunque, cogliere nella lingua originale la peculiarità che viene espressa: Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans. Il primato spetta alla Parola di Dio con la quale l'incipit del testo si apre. Proprio per questo, nello stesso tempo, vengono poste anche le condizioni con cui la Chiesa deve porsi dinanzi a questo evento: l'ascolto e la proclamazione.
Come verrà ribadito nel secondo capitolo della costituzione, il Magistero della Chiesa «non è superiore alla Parola di Dio, ma a essa serve», piuttosto «piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone» (n. 10). Se da una parte dinanzi alla Parola si impone l'ascolto, dall'altra ne deriva la sua proclamazione. La Chiesa non si stanca di annunciare a tutti e in ogni luogo la parola di salvezza che ha il volto di Gesù di Nazaret. Anzi, lo fa con “fiducia” volendo esprimere la stessa forza degli apostoli che con franchezza, cioè con parresìa (Atti degli apostoli, 4, 13. 31), attraversa le strade del mondo per portare la Parola che salva.
Quanto sia decisivo l'insistenza sulla Parola che permane viva e non può essere limitata allo scritto, lo attesta ripetutamente il nostro documento con alcune particolarità che meritano di essere sottolineate. Dei Verbum, inserendosi nella tradizione patristica e medievale, recupera con la Parola di Dio l'unicità della fonte della rivelazione, che viene trasmessa mediante la Sacra Scrittura e la Tradizione. Il concilio parla spesso della Sacra Scrittura come Parola di Dio. La stessa terminologia, comunque, viene utilizzata anche per la Tradizione. «La sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono dunque strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Ambedue infatti, scaturendo dalla stessa divina sorgente, formano in un certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la Sacra Scrittura è parola di Dio (locutio Dei) in quanto è messa per iscritto sotto l'ispirazione dello Spirito Santo; invece la sacra Tradizione trasmette integralmente la Parola di Dio (Dei Verbum), affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli, ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano. In questo modo la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura. Perciò l'una e l'altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di riverenza» (n. 9; cfr. n. 10).
Come si nota, la “Parola di Dio” non può essere identificata solo con la Sacra Scrittura. Se ciò avvenisse, sarebbe un impoverimento dell'evento della rivelazione e avrebbe delle conseguenze nocive anche nella pastorale. Ciò che emerge dal testo conciliare, invece, è il richiamo a una Parola che permane sempre viva. Quando parla della Sacra Scrittura dice che è locutio; cioè qualcosa che viene detto non che viene scritto; quando parla della Tradizione e quindi della trasmissione del Vangelo dice: verbum. Nell'uno come nell'altro caso ci si ritrova sempre con una terminologia che indica una realtà viva, in movimento dinamico tipico della parola. Ciò non toglie il carattere normativo della Scrittura che da sempre, insieme alla Tradizione, è considerata dalla Chiesa «la regola suprema della propria fede» (Dei Verbum, 21). Il cristianesimo, in forza di questo, non potrà mai essere identificato come la “religione del libro”. La Parola possiede un primato tale che non ne permette equivoco alcuno.
Dire “Parola di Dio”, equivale pure ad affermare che Dio ha parlato; è uscito dal silenzio in cui l'uomo lo aveva rinchiuso e nel suo amore si rivolge di nuovo all'umanità. Il fatto che Dio parla implica che vuole comunicare qualcosa di intimo e di assolutamente necessario per l'uomo senza del quale non potrebbe mai giungere a una piena conoscenza di sé e del mistero stesso di Dio. Riprendendo un testo della Lettera agli Ebrei, la costituzione conciliare sottolinea che Dio «ha parlato». Il tempo al perfetto e non è casuale. Nel greco biblico far ricorso al perfetto indica che l'azione è nel passato, ma gli effetti sono ancora presenti fino ai nostri giorni. Insomma, il fatto che Dio abbia parlato non è per noi un evento chiuso nel passato della storia, ma è un'azione che permane. Dio continua a parlare alla sua Chiesa per aprirle i tesori nascosti della Rivelazione e immetterla in quel senso sempre più profondo della verità racchiusa nella sua Parola.
Il nostro testo afferma ancora: placuit Deo in bonitate et sapientia sua revelare se ipsum. «Rivelare se stesso» dice molto di più che far «conoscere se stesso». Viene detto, infatti, in cosa consiste il tipo di conoscenza, è una rivelazione. Ciò indica che qualcosa di radicalmente nuovo è offerto all'umanità, che da se stessa non avrebbe mai potuto raggiungere né produrre.
La Dei Verbum presenta la rivelazione come gratuita iniziativa di Dio che entra in rapporto di comunione con l'uomo. È tutta la vita di Dio che viene rivelata nella persona storica del Cristo; la Trinità si esprime nelle parole e nei gesti, intimamente uniti, di Gesù di Nazaret. All'uomo resta l'obbedienza della fede, che è abbandono totale al mistero di Dio che si rivela. La storia è lo scenario e il palcoscenico in cui si realizza questo ineffabile incontro di Dio e dell'uomo ed è il luogo in cui questo incontro viene tramandato nei secoli e fatto conoscere.
Il testo, comunque, procede oltre per indicare la modalità con la quale Dio si rivela e comunica: «Nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con loro». Quanto possa essere decisivo il verbo intrattenersi lo attesta il suo riferimento alla teologia di Giovanni dove il verbo “rimanere” ha un valore paradigmatico. Dio quindi non solo parla con gli uomini, ma si ferma con loro; rimane con loro per condividere gioie e dolori e dare alla vita il suo senso compiuto che non potrebbe essere ritrovato altrove. In questo orizzonte, si deve cogliere il rimando alla pienezza della rivelazione nella persona di Gesù Cristo. Lui è il rivelatore del Padre e nello stesso tempo la sua rivelazione. Questa non arriva solo tramite la sua predicazione, a cui spesso cede la tentazione di molti, ma anche nei suoi gesti e con il suo silenzio. Gestis verbisque attesta l'unità della persona di Gesù e vuole evidenziare quanta attenzione sia dovuta nel cogliere il fatto rivelativo anche nei segni che vengono offerti da Gesù Cristo.
Insomma, il concilio attesta che la sola predicazione non basta se questa non è accompagnata dai segni che ne attestano la piena efficacia.
Il valore di Dei Verbum per il presente della Chiesa è l'ultima considerazione a cui si vuole giungere. Dopo cinquant'anni dall'apertura del Vaticano II è possibile verificare anzitutto il grande apporto che da questo insegnamento è stato profuso dalla Chiesa. Per quanto possa valere il mio pensiero, ritengo che molti passi siano stati compiuti; eppure, il cammino per far emergere in pienezza l'originalità e la ricchezza di questo insegnamento è ancora lungo. Certamente, dopo secoli di ombra, la Bibbia è stata riportata tra le mani dei fedeli e ha ritrovato il suo posto privilegiato nella Chiesa e nella vita dei singoli credenti. Alla stessa stregua, nel corso di questi decenni, gli studi di esegesi si sono moltiplicati e consentono di giungere a una conoscenza più coerente dei testi sacri. Non sono mancate, purtroppo, stonature eclatanti che hanno spinto la Sacra Scrittura fuori dal contesto ecclesiale con il grave pericolo di incatenarla alla sola interpretazione, figlia di metodi spesso estranei. Proprio su questo orizzonte, è possibile vedere quanto ancora lungo e fecondo debba essere il cammino per il futuro. Penso, in primo luogo, alla comprensione del concetto di “Parola viva” che deve essere “trasmessa”.
È proprio il concetto e l'azione della trasmissione della Parola di Dio che sembra oggi mancare. Ciò con cui ci si viene a incontrare, purtroppo, è l'interruzione della trasmissione della fede.
L'analfabetismo religioso rende questa trasmissione ancora più difficile. Per poter far conoscere alle generazioni che verranno dopo di noi tutto ciò che «la Chiesa è e tutto ciò che essa crede» (Dei Verbum, 8) è necessario che vi sia la consapevolezza di essere parte viva della Chiesa. Il senso di appartenenza alla Chiesa impone di crescere in questa responsabilità e diventare artefici di una nuova evangelizzazione che sappia portare, anzitutto ai credenti, l'immutata freschezza della Parola di Dio.
(©L'Osservatore Romano 31 gennaio 2013)
Penso che prima o poi qualcuno dovrà chiedere scusa al card. Bertone...
E' un'idea che ho da tempo e che i primi titoli di agenzia e dei giornali online mi confermano.
R.
R.
Il valore perenne del confessionale tradizionale. Riflessione di padre John J. Coughlin
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Magnifica libertà. Il "Credo" da ritrovare nel tempo del sé (Sequeri)
Il "Credo" da ritrovare nel tempo del sé
Magnifica libertà
Pierangelo Sequeri
Nei Paesi occidentali, la religione del Sé si avvia a diventare la nuova religione di Stato. Il Sé non è più, come l’inerzia del linguaggio ancora lascia intendere, il tema di una cura personale, intima, per così dire privata. Ora, il Sé è il termine di una suprema devozione, il primo comandamento dell’etica pubblica, il senso stesso dell’impegno collettivo (tutti per uno insomma, o comunque per pochissimi).
L’ambizione suprema del Sé è l’emancipazione da tutti i legami durevoli, la sua massima felicità è ri-creare ogni giorno se stesso.
Nella celebre versione di Stirner, il Sé appare quasi eroico nel suo progetto di autosufficienza; e persino liberale e modesto, nella sua coerente rinuncia a essere fondamento e sostegno per alcuno. Essere l’Unico, per se stesso, appunto. Niente altro. Questo tipo – c’è bisogno di dirlo? – non sa più nulla di che cosa significa essere persona, avere relazione, generare la vita e creare cultura all’altezza dell’umano migliore, che è comune. Questo tipo ce lo svaluta, l’umano comune, anche quando, apparentemente, non fa altro che prendersi cura di sé (appunto). Eppure lo abbiamo generato e gli abbiamo voluto bene; lo abbiamo nutrito e cresciuto, persino sacrificando del nostro; lo introducemmo nel linguaggio e negli affetti; ci organizzammo per consentirgli di attingere al bene comune, che non si era ancora guadagnato, e ci allertiamo ancora adesso, che è grande, per contenere l’autolesionismo al quale potrebbe essere indotto nei suoi momenti di disperazione.
Insomma, questa religione del Sé non crea eroi, né uomini e donne adulti, degni di questo nome. Essa crea il parassita imperfetto: acciughina in barile che si illude di non essere schiavo di niente e di nessuno, mentre se lo comprano e se lo rivendono quelli più svelti di lui (i parassiti perfetti, appunto). La religione del Sé è un capolavoro dell’alienazione. Infatti, l’ha trasformata in autorealizzazione, rendendo sacro l’Io. Incantamento perfetto, che va conquistando le istituzioni, non solo il costume e gli stili di vita. Per uscire da questo incantamento bisogna che qualcuno incominci a uscirsene con la famosa frase: "Il Sé è nudo!".
Il Papa Benedetto XVI, nell’Anno della fede, ha incominciato a commentare il "Credo".
Quello che recitiamo nella Messa (assai diverso da quello che dicono in giro che sia il credo cristiano). Quello in cui Dio è confessato e adorato come l’antitesi perfetta – e persino impensabile – del comandamento narcisistico. Quello che racconta della generazione eterna, in cui Dio è fin dal principio. Quello che racconta della creazione come della grazia in virtù della quale siamo, pensiamo, viviamo. Quello che ci consegna il Figlio per il nostro riscatto da ogni perdizione della storia, e dona lo Spirito per la risurrezione da ogni nichilismo di morte. Quello che fa degli uomini una comunità di origine e di destino, affidata ai loro legami migliori e ai loro affetti più degni, dei quali la comunità cristiana è segno e strumento. Il Papa ha ricordato che il germe di questa fede, che infine risplende nell’irrevocabile legame umano del Figlio, è l’azzardo di Abramo, che accetta di uscire da sé.
In tante nostre società, commenta Benedetto XVI, Dio è diventato «il grande assente», e al suo posto vi sono molti idoli, con tutte le loro ossessioni: a cominciare dal possesso e dall’egocentrismo. I due, insieme, sono semplicemente devastanti. Il credo cristiano «in Dio» è la parola del disincantamento della quale abbiamo di nuovo bisogno, per riprenderci dalla paralisi della pseudo-religione "di Io": una vera e propria macchina della depressione, che ci rende schiavi e ostaggi della disonesta ricchezza. La religione del Sé ci toglie l’orgoglio di appartenere al genere umano, svuota di felicità la nostra meravigliosa attitudine a generare umani dall’animo grande, ci toglie la passione per le sfide più esaltanti della vita comune. Il Dio del "Credo" vuole essere amato come Padre e non subìto come il faraone. In altri termini, vuole «essere creduto». Sarà necessario un lungo periodo di riabilitazione, per ritornare alla magnifica libertà di credere in Dio. Ma possiamo farcela.
© Copyright Avvenire, 31 gennaio 2013 consultabile online anche qui.
Albino Luciani e il suo best seller. Il patriarca scrittore che previde i tablet (O.R.)
Albino Luciani e il suo best seller
Il patriarca scrittore che previde i tablet
La richiesta arrivò al patriarca di Venezia dalla rivista cattolica più diffusa al mondo: come dire di no? Fu così che nella primavera del 1971 il quarantottenne Albino Luciani iniziò la sua collaborazione al «Messaggero di sant'Antonio», con una rubrica presto divenuta molto popolare. Grazie a una scrittura immediata ed efficace, e secondo una formula originale: lettere a personaggi storici (che comprendono uno scambio epistolare immaginario con san Bernardo) ma anche fantastici, come Penelope, alla quale nel 1968 il vescovo Luciani aveva scritto per tre volte sul settimanale diocesano di Vittorio Veneto.
Nel 1974, concluso il quadriennio della collaborazione, le lettere erano quaranta, e nei mesi successivi si arrivò alla decisione di raccoglierle in un libro dal titolo indovinato, Illustrissimi, uscito in prima edizione agli inizi del 1976.
Nel frattempo, il patriarca era stato creato cardinale nel 1973 da Paolo VI, il Papa che l'anno precedente, durante la visita a Venezia, in piazza San Marco gli aveva posto sulle spalle la sua stola. E di Montini nel 1978 Luciani venne eletto successore nel rapidissimo conclave, ma sulla sede romana sedette soltanto per poco più di un mese, dal 26 agosto al 28 settembre, ostensus magis quam datus: espressione latina che si legge in una lapide nella basilica Vaticana sulla tomba di Leone xi, Pontefice anch'egli per brevissimo tempo agli inizi del Seicento, davvero “mostrato più che dato”, alla Chiesa e al mondo.
Illustrissimi si rivelò subito un successo editoriale: tre edizioni in tre anni. La quarta venne rivista dall'autore appena eletto Papa, che la corresse in alcuni punti. Ma il Pontefice non arrivò a vederla, così come non riuscì a vedere le diverse traduzioni moltiplicatesi dopo l'elezione. In seguito, il libro è stato più volte ristampato e ora, nel centenario della nascita dell'autore, viene ripresentato in una nuova edizione. Questa, con l'aggiunta di una nota editoriale e di una breve cronologia, include la prefazione scritta nel 1976 da Igino Giordani (1894-1980), giornalista e politico, esponente di rilievo del cattolicesimo italiano e del movimento dei Focolari.
Proprio Giordani coglie bene nel carattere popolare e cristiano il tratto distintivo di queste Lettere del Patriarca (così il sottotitolo della prima edizione, mutato dopo il 1978 in Lettere ai grandi del passato): testi non lunghi e coloriti da lieve umorismo che secondo la prefazione dello scrittore realizzano l'intento del Vaticano II. Con «un magistero nuovo, attraente e suadente, fatto per tutti, dotti e indotti, vicini e lontani», dal quale emerge l'attualità del cristianesimo e traspare un ottimismo di fondo, nonostante il contesto contemporaneo segnato da una cultura “nebulosa”.
Presentati in ordine cronologico, i testi di Luciani non risentono del quarantennio trascorso da quando il patriarca li scrisse. Certo, qua e là nel tono e nel linguaggio la distanza temporale si avverte, ma di più colpiscono la lucidità e l'intelligenza con le quali sono affrontati temi cruciali della contemporaneità in rapporto con la necessità dell'annuncio del Vangelo e ancor più della testimonianza, indispensabile per la sua credibilità. Con un atteggiamento fondamentalmente benevolo e ottimista, come notava Giordani. Negli anni della contestazione e dell'incipiente disincanto la critica dello spirito del tempo è infatti puntuale, ma mai amara o nostalgica, alta e soprattutto fondata sulla vitalità della tradizione cristiana.
È insomma uno sguardo ampio e sorridente quello del patriarca scrittore, espressione di un umanesimo cristiano che lo avvicina a Francesco di Sales, il santo della gentilezza che ricorre una quindicina di volte in questo epistolario e al quale naturalmente Luciani indirizza una lettera. Ed è una scrittura gentile la sua, ottenuta con una prosa semplice ma sorvegliata, a tratti desueta, non di rado benevolmente ironica, ma calda e coinvolgente. Grazie a un tono colloquiale e a un ricorso molto largo di episodi, aneddoti, testi destinati a catturare il lettore, frutto di letture estese e di una cultura solidamente impostata.
Alcuni di questi, come i versi che l'amato Trilussa dedicò alla fede raffigurata come una vecchietta cieca, torneranno poi nei discorsi del Papa che affascinò per la sapiente immediatezza e capacità comunicativa.
Proprio la predisposizione a comunicare, coltivata con vera passione, attrae in queste pagine che si aprono con la lettera a Charles Dickens. A lui Luciani si presenta, dichiarandosi così al milione e mezzo di lettori della rivista: «Caro Dickens, sono un vescovo, che ha preso lo strano impegno di scrivere ogni mese per il “Messaggero di sant'Antonio” una lettera a qualche illustre personaggio. A corto di tempo, sotto Natale, non sapevo proprio chi scegliere. Quand'ecco, trovo su un giornale la réclame dei vostri cinque famosi Libri natalizi. Mi sono subito detto: li ho letti da ragazzo, mi sono immensamente piaciuti perché tutti pervasi da un senso di amore ai poveri e di rigenerazione sociale, tutti caldi di fantasia e umanità; scriverò a lui. E son qui a disturbarvi».
Sin dalle prime righe dunque Luciani dichiara il suo “strano impegno”, annuncia di fatto il titolo del libro e svela il suo metodo, attentissimo all'attualità: in questo caso alla pubblicità di un classico letto da ragazzo. È un indizio minimo, tra i tanti, rivelatore di un ecclesiastico che, rara avis, vive pienamente nel suo tempo. Un vescovo che, pur vedendo e criticando, con nettezza, ma mai con asprezza e senza guardare indietro, gli indubbi sintomi negativi della modernità, vuole camminarvi “amabilmente”, come conclude scrivendo a san Francesco di Sales.
Attento appunto a ogni fenomeno contemporaneo, ai media (giornali, riviste, cinema, televisione) e al loro influsso che prevede crescente, con tratti di sorprendente antiveggenza sulla loro evoluzione: «Si è avidi di stampa; e domani sarà peggio, perché il giornale ci arriverà in casa proiettato su una specie di teleschermo e, autocopiato, staccato, si potrà leggere seduta stante» scrive a Walter Scott.
In apparenza semplici, le quaranta lettere del patriarca sono in realtà testi studiatissimi e meritano di essere non solo riletti, ma analizzati: come distillato di una sapienza, nutrita da una solida formazione culturale, che si dimostra capace di parlare con efficacia per spiegare alla contemporaneità la tradizione cristiana.
Così, la questione femminile è affrontata nella lettera a Lemuel e torna in quella a Goldoni, dove Luciani critica il femminismo radicale. Scrivendo al re biblico nominato nel libro dei Proverbi, il patriarca di Venezia ritiene che san Paolo abbia dato la proibizione di parlare nelle adunanze della Chiesa «soltanto alle donne di Corinto e solo per quel dato momento» e scioglie così un nodo cruciale.
Un fenomeno tipicamente contemporaneo come quello degli spostamenti di massa per le vacanze induce invece l'autore a indirizzare a Paolo Diacono, che aveva descritto l'entrata dei longobardi in Italia come «un formicaio in marcia», una lettera dal titolo goldoniano (Le smanie delle vacanze).
Da questa traspare l'intento fondamentale della passione comunicativa di Luciani quando immagina che lo storico altomedievale si sarebbe ritirato di fronte ai milioni di vacanzieri: «Io, pastore d'anime, invece, non posso rinunciare a scrivere; devo dire una parola almeno su qualcuno dei problemi di coscienza racchiusi in questo muoversi, vagabondare o andare in giro».
L'ultima lettera del cardinale, nella primavera del 1974, è al «caro Gesù», al quale alla fine confessa: «Ho scritto, ma mai sono stato così malcontento di scrivere come questa volta». Ma aggiungendo con umiltà e fiducia la parola finale di questo singolare epistolario: «C'è un conforto, questo: l'importante non è che uno scriva di Cristo, ma che molti amino e imitino Cristo. E, per fortuna -- nonostante tutto -- questo avviene ancora».
(©L'Osservatore Romano 31 gennaio 2013)
Il patriarca scrittore che previde i tablet
La richiesta arrivò al patriarca di Venezia dalla rivista cattolica più diffusa al mondo: come dire di no? Fu così che nella primavera del 1971 il quarantottenne Albino Luciani iniziò la sua collaborazione al «Messaggero di sant'Antonio», con una rubrica presto divenuta molto popolare. Grazie a una scrittura immediata ed efficace, e secondo una formula originale: lettere a personaggi storici (che comprendono uno scambio epistolare immaginario con san Bernardo) ma anche fantastici, come Penelope, alla quale nel 1968 il vescovo Luciani aveva scritto per tre volte sul settimanale diocesano di Vittorio Veneto.
Nel 1974, concluso il quadriennio della collaborazione, le lettere erano quaranta, e nei mesi successivi si arrivò alla decisione di raccoglierle in un libro dal titolo indovinato, Illustrissimi, uscito in prima edizione agli inizi del 1976.
Nel frattempo, il patriarca era stato creato cardinale nel 1973 da Paolo VI, il Papa che l'anno precedente, durante la visita a Venezia, in piazza San Marco gli aveva posto sulle spalle la sua stola. E di Montini nel 1978 Luciani venne eletto successore nel rapidissimo conclave, ma sulla sede romana sedette soltanto per poco più di un mese, dal 26 agosto al 28 settembre, ostensus magis quam datus: espressione latina che si legge in una lapide nella basilica Vaticana sulla tomba di Leone xi, Pontefice anch'egli per brevissimo tempo agli inizi del Seicento, davvero “mostrato più che dato”, alla Chiesa e al mondo.
Illustrissimi si rivelò subito un successo editoriale: tre edizioni in tre anni. La quarta venne rivista dall'autore appena eletto Papa, che la corresse in alcuni punti. Ma il Pontefice non arrivò a vederla, così come non riuscì a vedere le diverse traduzioni moltiplicatesi dopo l'elezione. In seguito, il libro è stato più volte ristampato e ora, nel centenario della nascita dell'autore, viene ripresentato in una nuova edizione. Questa, con l'aggiunta di una nota editoriale e di una breve cronologia, include la prefazione scritta nel 1976 da Igino Giordani (1894-1980), giornalista e politico, esponente di rilievo del cattolicesimo italiano e del movimento dei Focolari.
Proprio Giordani coglie bene nel carattere popolare e cristiano il tratto distintivo di queste Lettere del Patriarca (così il sottotitolo della prima edizione, mutato dopo il 1978 in Lettere ai grandi del passato): testi non lunghi e coloriti da lieve umorismo che secondo la prefazione dello scrittore realizzano l'intento del Vaticano II. Con «un magistero nuovo, attraente e suadente, fatto per tutti, dotti e indotti, vicini e lontani», dal quale emerge l'attualità del cristianesimo e traspare un ottimismo di fondo, nonostante il contesto contemporaneo segnato da una cultura “nebulosa”.
Presentati in ordine cronologico, i testi di Luciani non risentono del quarantennio trascorso da quando il patriarca li scrisse. Certo, qua e là nel tono e nel linguaggio la distanza temporale si avverte, ma di più colpiscono la lucidità e l'intelligenza con le quali sono affrontati temi cruciali della contemporaneità in rapporto con la necessità dell'annuncio del Vangelo e ancor più della testimonianza, indispensabile per la sua credibilità. Con un atteggiamento fondamentalmente benevolo e ottimista, come notava Giordani. Negli anni della contestazione e dell'incipiente disincanto la critica dello spirito del tempo è infatti puntuale, ma mai amara o nostalgica, alta e soprattutto fondata sulla vitalità della tradizione cristiana.
È insomma uno sguardo ampio e sorridente quello del patriarca scrittore, espressione di un umanesimo cristiano che lo avvicina a Francesco di Sales, il santo della gentilezza che ricorre una quindicina di volte in questo epistolario e al quale naturalmente Luciani indirizza una lettera. Ed è una scrittura gentile la sua, ottenuta con una prosa semplice ma sorvegliata, a tratti desueta, non di rado benevolmente ironica, ma calda e coinvolgente. Grazie a un tono colloquiale e a un ricorso molto largo di episodi, aneddoti, testi destinati a catturare il lettore, frutto di letture estese e di una cultura solidamente impostata.
Alcuni di questi, come i versi che l'amato Trilussa dedicò alla fede raffigurata come una vecchietta cieca, torneranno poi nei discorsi del Papa che affascinò per la sapiente immediatezza e capacità comunicativa.
Proprio la predisposizione a comunicare, coltivata con vera passione, attrae in queste pagine che si aprono con la lettera a Charles Dickens. A lui Luciani si presenta, dichiarandosi così al milione e mezzo di lettori della rivista: «Caro Dickens, sono un vescovo, che ha preso lo strano impegno di scrivere ogni mese per il “Messaggero di sant'Antonio” una lettera a qualche illustre personaggio. A corto di tempo, sotto Natale, non sapevo proprio chi scegliere. Quand'ecco, trovo su un giornale la réclame dei vostri cinque famosi Libri natalizi. Mi sono subito detto: li ho letti da ragazzo, mi sono immensamente piaciuti perché tutti pervasi da un senso di amore ai poveri e di rigenerazione sociale, tutti caldi di fantasia e umanità; scriverò a lui. E son qui a disturbarvi».
Sin dalle prime righe dunque Luciani dichiara il suo “strano impegno”, annuncia di fatto il titolo del libro e svela il suo metodo, attentissimo all'attualità: in questo caso alla pubblicità di un classico letto da ragazzo. È un indizio minimo, tra i tanti, rivelatore di un ecclesiastico che, rara avis, vive pienamente nel suo tempo. Un vescovo che, pur vedendo e criticando, con nettezza, ma mai con asprezza e senza guardare indietro, gli indubbi sintomi negativi della modernità, vuole camminarvi “amabilmente”, come conclude scrivendo a san Francesco di Sales.
Attento appunto a ogni fenomeno contemporaneo, ai media (giornali, riviste, cinema, televisione) e al loro influsso che prevede crescente, con tratti di sorprendente antiveggenza sulla loro evoluzione: «Si è avidi di stampa; e domani sarà peggio, perché il giornale ci arriverà in casa proiettato su una specie di teleschermo e, autocopiato, staccato, si potrà leggere seduta stante» scrive a Walter Scott.
In apparenza semplici, le quaranta lettere del patriarca sono in realtà testi studiatissimi e meritano di essere non solo riletti, ma analizzati: come distillato di una sapienza, nutrita da una solida formazione culturale, che si dimostra capace di parlare con efficacia per spiegare alla contemporaneità la tradizione cristiana.
Così, la questione femminile è affrontata nella lettera a Lemuel e torna in quella a Goldoni, dove Luciani critica il femminismo radicale. Scrivendo al re biblico nominato nel libro dei Proverbi, il patriarca di Venezia ritiene che san Paolo abbia dato la proibizione di parlare nelle adunanze della Chiesa «soltanto alle donne di Corinto e solo per quel dato momento» e scioglie così un nodo cruciale.
Un fenomeno tipicamente contemporaneo come quello degli spostamenti di massa per le vacanze induce invece l'autore a indirizzare a Paolo Diacono, che aveva descritto l'entrata dei longobardi in Italia come «un formicaio in marcia», una lettera dal titolo goldoniano (Le smanie delle vacanze).
Da questa traspare l'intento fondamentale della passione comunicativa di Luciani quando immagina che lo storico altomedievale si sarebbe ritirato di fronte ai milioni di vacanzieri: «Io, pastore d'anime, invece, non posso rinunciare a scrivere; devo dire una parola almeno su qualcuno dei problemi di coscienza racchiusi in questo muoversi, vagabondare o andare in giro».
L'ultima lettera del cardinale, nella primavera del 1974, è al «caro Gesù», al quale alla fine confessa: «Ho scritto, ma mai sono stato così malcontento di scrivere come questa volta». Ma aggiungendo con umiltà e fiducia la parola finale di questo singolare epistolario: «C'è un conforto, questo: l'importante non è che uno scriva di Cristo, ma che molti amino e imitino Cristo. E, per fortuna -- nonostante tutto -- questo avviene ancora».
(©L'Osservatore Romano 31 gennaio 2013)
La catechesi dell'udienza generale nel commento di Cristiana Caricato
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Ambasciatore israeliano in Vaticano: I divari fra Santa Sede e Israele possono essere superati (Cantarini)
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Gmg di Rio. Il cardinale Joao Braz De Aviz è sicuro: sarà un grande evento di popolo (Sir)
GMG RIO
Un'identità più forte
Il cardinale Joao Braz De Aviz è sicuro: sarà un grande evento di popolo
“La Gmg avrà una eco profonda in Brasile e in tutta l’America latina dove è forte la presenza di giovani aperti alla ricerca spirituale e al senso della vita. La visita di Benedetto XVI, che è una figura significativa per il nostro Continente, è un’opportunità splendida per rafforzare questa identità che non è solo della Chiesa di Rio ma di tutta l’America Latina. So di grandi preparativi della gioventù latinoamericana per essere presente a Rio nei giorni della Gmg”. Nelle parole del cardinale brasiliano Joao Braz De Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, c’è tutta l’attesa per la prossima Giornata mondiale della Gioventù che si svolgerà a Rio de Janeiro dal 23 al 28 luglio di questo anno. Un evento al quale sono attesi circa due milioni di giovani, in buona parte dal Continente latino-americano. Daniele Rocchi, per il Sir, lo ha incontrato a Roma, a margine del convegno dei vescovi amici del Movimento dei focolari, e gli ha posto alcune domande sulla Gmg, la seconda in America latina dopo Buenos Aires nel 1987.
Eminenza, mancano meno di sei mesi all’incontro con Benedetto XVI nella Giornata mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro…
“Tutta la Chiesa locale, popolo ed episcopato, si sta lasciando coinvolgere dal tema scelto per questo evento, ‘Andate e fate discepoli tutti i popoli’. Per noi, implica anche dei risvolti sociali, trattati a partire dalla Dottrina sociale della Chiesa. E’ nostro auspicio offrire ai giovani la dimensione evangelica. Le nuove generazioni cercano valori e ideali importanti, alti, ma spesso ne trovano altri che non li soddisferanno mai. I giovani vogliono seguire Gesù e troveranno nelle parole del Pontefice le risposte giuste”.
Rio de Janeiro è pronta ad accogliere i pellegrini?
“Le strutture sono pronte. All’inizio del cammino organizzativo le autorità cittadine avevano la testa rivolta soprattutto ai mondiali di Calcio del 2014 e alle Olimpiadi del 2016, e non avevano ben compreso la dimensione della Gmg. Se i mondiali possono portare in Brasile circa mezzo milione di persone, la Gmg ne porterà circa due milioni, un numero che ha stupito le Istituzioni. Non mancano i problemi sul campo ma l’impegno nel risolverli concretamente è forte, grazie anche all’intesa tra la città di Rio e la Santa Sede”.
Uno dei problemi che più sembra preoccupare è legato al tasso di criminalità della città carioca: come sarà garantita la sicurezza della Gmg?
“Ci sono stati sviluppi molto positivi in questo senso negli ultimi anni. Le Forze dell’ordine hanno ripreso il controllo di diverse favelas in mano alla criminalità. La sicurezza, poi, verrà assicurata durante la Gmg grazie alla mobilitazione di tutte le forze disponibili. La Polizia sta riuscendo a contenere la criminalità, combattendo anche la corruzione al proprio interno”.
Si parla molto della spiccata dimensione missionaria e sociale di questa Gmg: è forse un retaggio della teologia della liberazione che ancora pervade il Continente latino-americano?
“Proprio di recente si è svolto a Rio Grande del Sud un simposio di teologi della liberazione. Nella Chiesa brasiliana abbiamo visto che il problema della povertà permane e va superato. Trovare una soluzione alla povertà non può essere fatto in modo ideologico. Le comunità di base, che pure sono state riconosciute, non devono avere questo taglio ideologico. Non si può ricercare la soluzione dei problemi sociali al di fuori della visione di fede. In questo senso la dimensione missionaria viene recuperata come forma di testimonianza di valori e ideali autentici, nonostante i problemi che la Chiesa ha. E che ha riconosciuto anche dentro le proprie strutture e le proprie persone. Non può esserci un rapporto con Dio senza un impegno sociale profondo”.
Il precedente viaggio di Benedetto XVI in Brasile, nel 2007, suscitò diverse polemiche. Cosa è cambiato da allora?
“Ero presente a San Paolo dove si pensava che il Pontefice, teologo e studioso, non potesse avere risposte notevoli di popolo. Ma il suo semplice affacciarsi in Brasile ha fatto cambiare questa percezione. Il Pontefice è stato anche ad Aparecida, luogo caro a tutto il Continente. E da lì è nata l’intesa. Dubbi sul coinvolgimento del popolo erano stati sollevati da quegli stessi intellettuali che poi si sono ricreduti”.
Quale frutti si attende dalla Gmg in chiave vocazionale?
“Parlare di giovani è parlare di vocazioni. Se nella vita delle nuove generazioni ci sono orizzonti più vasti è certo che le scelte saranno migliori e più belle. La presenza del Papa potrà aiutare in questa direzione. I giovani hanno molta fiducia nel Pontefice, lo seguono perché rappresenta quel qualcosa di sincero e profondo che non trovano nella famiglia e nella società permeata sempre più dal relativismo etico. Credo che il Papa saprà indicare la giusta direzione ai giovani, facendo un bene enorme per le vocazioni”.
© Copyright Sir
Udienza generale. Dalla Basilicata per riaccendere la speranza (O.R.)
Dalla Basilicata per riaccendere la speranza
Dalla Basilicata a Roma nel segno della speranza.
Oltre millecinquecento pellegrini sono venuti per incontrare il Papa e visitare il presepe di piazza San Pietro realizzato quest'anno secondo la tradizione lucana.
«Siamo qui per riaccendere la fede e la speranza nella nostra terra, così legata al successore di Pietro» dice monsignor Agostino Superbo, arcivescovo di Potenza - Muro Lucano - Marsico Nuovo, ricordando anche la recente visita ad limina.
«L'incontro con il Papa, nell'Anno della fede -- prosegue -- ci aiuterà ad affrontare le questioni cruciali che ci assillano e, anzitutto, la tragedia della disoccupazione giovanile».
La spiritualità di comunione e la tensione concreta verso l'unità sono i cardini dell'incontro romano di trenta vescovi europei, amici del movimento dei Focolari, che stamani erano presenti nell'aula Paolo VI. A guidarli i cardinali Ennio Antonelli, Miloslav Vlk e João Braz de Aviz.
«Comunione e unità sono le caratteristiche del movimento dei focolari -- spiega il primo -- e cerchiamo di attuarle in qualche modo già qui, ora, nel mondo». È uno stile di nuova evangelizzazione, aggiunge, «che si attua in un dialogo aperto il più possibile verso tutti».
Gli atti del simposio internazionale sugli abusi sessuali sui minori, svoltosi un anno fa alla Pontificia Università Gregoriana, sono stati consegnati al Papa dai rappresentanti del comitato organizzatore. I documenti sono disponibili in dodici lingue. E il Pontefice ha ricevuto anche la prima copia degli atti del settimo Incontro mondiale delle famiglie svoltosi tra maggio e giugno scorsi a Milano. A consegnare il volume sono stati l'arcivescovo Vincenzo Paglia e il francescano conventuale Gianfranco Grieco, rispettivamente presidente e capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Tra i presenti, i due vescovi nigeriani William Avenya e Peter Iorzuul Adoboh, ai quali il Papa, il 29 dicembre, ha assegnato le nuove diocesi di Gboko e di Katsina-Ala. Al termine dell'udienza il Pontefice ha benedetto la corona per la statua della Madonna venerata nella parrocchia di San Giorgio martire a Credaro, nella diocesi di Bergamo.
(©L'Osservatore Romano 31 gennaio 2013)
Dalla Basilicata a Roma nel segno della speranza.
Oltre millecinquecento pellegrini sono venuti per incontrare il Papa e visitare il presepe di piazza San Pietro realizzato quest'anno secondo la tradizione lucana.
«Siamo qui per riaccendere la fede e la speranza nella nostra terra, così legata al successore di Pietro» dice monsignor Agostino Superbo, arcivescovo di Potenza - Muro Lucano - Marsico Nuovo, ricordando anche la recente visita ad limina.
«L'incontro con il Papa, nell'Anno della fede -- prosegue -- ci aiuterà ad affrontare le questioni cruciali che ci assillano e, anzitutto, la tragedia della disoccupazione giovanile».
La spiritualità di comunione e la tensione concreta verso l'unità sono i cardini dell'incontro romano di trenta vescovi europei, amici del movimento dei Focolari, che stamani erano presenti nell'aula Paolo VI. A guidarli i cardinali Ennio Antonelli, Miloslav Vlk e João Braz de Aviz.
«Comunione e unità sono le caratteristiche del movimento dei focolari -- spiega il primo -- e cerchiamo di attuarle in qualche modo già qui, ora, nel mondo». È uno stile di nuova evangelizzazione, aggiunge, «che si attua in un dialogo aperto il più possibile verso tutti».
Gli atti del simposio internazionale sugli abusi sessuali sui minori, svoltosi un anno fa alla Pontificia Università Gregoriana, sono stati consegnati al Papa dai rappresentanti del comitato organizzatore. I documenti sono disponibili in dodici lingue. E il Pontefice ha ricevuto anche la prima copia degli atti del settimo Incontro mondiale delle famiglie svoltosi tra maggio e giugno scorsi a Milano. A consegnare il volume sono stati l'arcivescovo Vincenzo Paglia e il francescano conventuale Gianfranco Grieco, rispettivamente presidente e capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Tra i presenti, i due vescovi nigeriani William Avenya e Peter Iorzuul Adoboh, ai quali il Papa, il 29 dicembre, ha assegnato le nuove diocesi di Gboko e di Katsina-Ala. Al termine dell'udienza il Pontefice ha benedetto la corona per la statua della Madonna venerata nella parrocchia di San Giorgio martire a Credaro, nella diocesi di Bergamo.
(©L'Osservatore Romano 31 gennaio 2013)
L'udienza generale ed il ringraziamento del Papa a Lucio Brunelli per Tg2 dossier
Clicca qui per vedere il servizio andato in onda ieri sera al Tg2.
"BENEDETTO XVI, RITRATTO INEDITO". TG2 DOSSIER REALIZZATO DA LUCIO BRUNELLI