lunedì 30 aprile 2018

Joseph Ratzinger, cardinale e Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (YouTube)



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Il 25 novembre 1981 Giovanni Paolo II nomina il cardinale Joseph Ratzinger Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il primo fra i dicasteri vaticani. Il giovane porporato lascia così la guida dell'arcidiocesi bavarese di Monaco e Frisinga per trasferirsi definitivamente a Roma. Ricopre l'incarico di Prefetto dell'ex Sant'Uffizio per oltre vent'anni, fino alla morte di Papa Wojtyla di cui diventa il successore.
In questo video rivediamo il lavoro del cardinale Ratzinger e rileggiamo alcuni titoli di giornale per ripercorrere i tratti salienti del suo incarico. Evidente anche il grande legame fra il Papa polacco e il futuro Papa tedesco.

Grazie come sempre a Gemma per il grandissimo lavoro :-)
R.

giovedì 19 aprile 2018

Joseph Ratzinger: da professore a vescovo. Rarissime immagini del futuro Benedetto XVI (YouTube)



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Nel 1977 il Prof. Joseph Ratzinger è uno stimatissimo docente di teologia presso l'Università di Ratisbona. Paolo VI gli chiede però un sacrificio: rinunciare al lavoro che tanto amava per diventare arcivescovo di Monaco e Frisinga. Il professore accetta. Nello stesso anno viene nominato cardinale e partecipa nel 1978 ai conclavi che eleggono Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II.
Come arcivescovo accoglie Papa Wojtyla nel suo Viaggio Apostolico in Baviera. Nel 1982 lascia l'arcidiocesi per un nuovo importantissimo incarico: il Papa lo nomina Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. E' il momento di cambiare di nuovo vita con il trasferimento a Roma.
Grazie di vero cuore alla nostra Gemma :-)
Buona giornata a tutti nel ricordo del 19 aprile 2005, giorno in cui Joseph Ratzinger fu eletto al Soglio di Pietro.
R.

Card. Ratzinger: Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo (18.04.2005)



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Carissimi amici, il 18 aprile 2005 l'allora cardinale Joseph Ratzinger, decano del Collegio Cardinalizio, pronunciava un'omelia profetica e valida ancora oggi (soprattutto oggi!) sul concetto di misericordia e sul pericolo del relativismo.

Riascoltiamo e rileggiamo.
Buona giornata a tutti :-)
R.

MISSA PRO ELIGENDO ROMANO PONTIFICE

OMELIA DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER DECANO DEL COLLEGIO CARDINALIZIO


Basilica di San Pietro

Lunedì 18 aprile 2005

Is 61, 1 - 3a. 6a. 8b - 9

Ef 4, 11 - 16
Gv 15, 9 - 17

In quest’ora di grande responsabilità, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il Signore ci dice con le sue stesse parole. Dalle tre letture vorrei scegliere solo qualche passo, che ci riguarda direttamente in un momento come questo.

La prima lettura offre un ritratto profetico della figura del Messia – un ritratto che riceve tutto il suo significato dal momento in cui Gesù legge questo testo nella sinagoga di Nazareth, quando dice: “Oggi si è adempiuta questa scrittura” (Lc 4, 21). Al centro del testo profetico troviamo una parola che – almeno a prima vista – appare contraddittoria. Il Messia, parlando di sé, dice di essere mandato “a promulgare l’anno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio.” (Is 61, 2). 
Ascoltiamo, con gioia, l’annuncio dell’anno di misericordia: la misericordia divina pone un limite al male - ci ha detto il Santo Padre. Gesù Cristo è la misericordia divina in persona: incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio. Il mandato di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso l’unzione sacerdotale; siamo chiamati a promulgare – non solo a parole ma con la vita, e con i segni efficaci dei sacramenti, “l’anno di misericordia del Signore”. Ma cosa vuol dire Isaia quando annuncia il “giorno della vendetta per il nostro Dio”? 
Gesù, a Nazareth, nella sua lettura del testo profetico, non ha pronunciato queste parole – ha concluso annunciando l’anno della misericordia. É stato forse questo il motivo dello scandalo realizzatosi dopo la sua predica? Non lo sappiamo. In ogni caso il Signore ha offerto il suo commento autentico a queste parole con la morte di croce. “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce…”, dice San Pietro (1 Pt 2, 24). E San Paolo scrive ai Galati: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede” (Gal 3, 13s).

La misericordia di Cristo non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente. Il giorno della vendetta e l’anno della misericordia coincidono nel mistero pasquale, nel Cristo morto e risorto. Questa è la vendetta di Dio: egli stesso, nella persona del Figlio, soffre per noi. Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza – diveniamo disponibili a completare nella nostra carne “quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col 1, 24).


Passiamo alla seconda lettura, alla lettera agli Efesini. Qui si tratta in sostanza di tre cose: in primo luogo, dei ministeri e dei carismi nella Chiesa, come doni del Signore risorto ed asceso al cielo; quindi, della maturazione della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, come condizione e contenuto dell’unità nel corpo di Cristo; ed, infine, della comune partecipazione alla crescita del corpo di Cristo, cioè della trasformazione del mondo nella comunione col Signore.


Soffermiamoci solo su due punti. Il primo è il cammino verso “la maturità di Cristo”; così dice, un po’ semplificando, il testo italiano. Più precisamente dovremmo, secondo il testo greco, parlare della “misura della pienezza di Cristo”, cui siamo chiamati ad arrivare per essere realmente adulti nella fede. Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità. E in che cosa consiste l’essere fanciulli nella fede? Risponde San Paolo: significa essere “sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (Ef 4, 14). Una descrizione molto attuale!


Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). 


Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.


Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo.


“Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo.

Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1).

Veniamo ora al Vangelo, dalla cui ricchezza vorrei estrarre solo due piccole osservazioni. Il Signore ci rivolge queste meravigliose parole: “Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici” (Gv 15, 15). Tante volte sentiamo di essere - come è vero - soltanto servi inutili (cf Lc 17, 10). E, ciò nonostante, il Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, ci dona la sua amicizia. Il Signore definisce l’amicizia in un duplice modo. Non ci sono segreti tra amici: Cristo ci dice tutto quanto ascolta dal Padre; ci dona la sua piena fiducia e, con la fiducia, anche la conoscenza. Ci rivela il suo volto, il suo cuore. Ci mostra la sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato che va fino alla follia della croce. Si affida a noi, ci dà il potere di parlare con il suo io: “questo è il mio corpo...”, “io ti assolvo...”. Affida il suo corpo, la Chiesa, a noi. Affida alle nostre deboli menti, alle nostre deboli mani la sua verità – il mistero del Dio Padre, Figlio e Spirito Santo; il mistero del Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16). Ci ha reso suoi amici – e noi come rispondiamo?


Il secondo elemento, con cui Gesù definisce l’amicizia, è la comunione delle volontà. “Idem velle – idem nolle”, era anche per i Romani la definizione di amicizia. “Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando” (Gv 15, 14). L’amicizia con Cristo coincide con quanto esprime la terza domanda del Padre nostro: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Nell’ora del Getsemani Gesù ha trasformato la nostra volontà umana ribelle in volontà conforme ed unita alla volontà divina. Ha sofferto tutto il dramma della nostra autonomia – e proprio portando la nostra volontà nelle mani di Dio, ci dona la vera libertà: “Non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 21, 39). In questa comunione delle volontà si realizza la nostra redenzione: essere amici di Gesù, diventare amici di Dio. Quanto più amiamo Gesù, quanto più lo conosciamo, tanto più cresce la nostra vera libertà, cresce la gioia di essere redenti. Grazie Gesù, per la tua amicizia!


L’altro elemento del Vangelo - cui volevo accennare - è il discorso di Gesù sul portare frutto: “Vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15, 16). Appare qui il dinamismo dell’esistenza del cristiano, dell’apostolo: vi ho costituito perché andiate… Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine: l’inquietudine di portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo. In verità, l’amore, l’amicizia di Dio ci è stata data perché arrivi anche agli altri. Abbiamo ricevuto la fede per donarla ad altri – siamo sacerdoti per servire altri. E dobbiamo portare un frutto che rimanga. Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. 


L’unica cosa, che rimane in eterno, è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l’amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre l’anima alla gioia del Signore. Allora andiamo e preghiamo il Signore, perché ci aiuti a portare frutto, un frutto che rimane. Solo così la terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio.


Ritorniamo infine, ancora una volta, alla lettera agli Efesini. La lettera dice - con le parole del Salmo 68 - che Cristo, ascendendo in cielo, “ha distribuito doni agli uomini” (Ef 4, 8). Il vincitore distribuisce doni. E questi doni sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Il nostro ministero è un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo – il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia. Amen.

© Copyright 2005 - Libreria Editrice Vaticana

lunedì 16 aprile 2018

La storia di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI: dalla Baviera al Soglio di Pietro. Un documentario speciale


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Un bellissimo documentario sulla biografia di Joseph Ratzinger: dalla nascita in Baviera alla sua elezione al Soglio di Pietro con il nome di Benedetto XVI. Nel video scopriremo i luoghi che lo hanno visto nascere, diventare sacerdote, vescovo e cardinale fino al suo trasferimento a Roma e alla decisione più difficile: accettare di diventare il successore dell'Apostolo Pietro.
Grazie a Gemma :-)
R.

domenica 15 aprile 2018

Joseph Ratzinger, giovane professore. Immagini rarissime ed emozionanti del futuro Benedetto XVI (YouTube)



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Questo video è realizzato con immagini e sequenze video della carriera del Prof. Joseph Ratzinger (futuro Benedetto XVI). Si tratta di un repertorio rarissimo, raccolto grazie al grande lavoro della nostra Gemma che ringraziamo di vero cuore :-)

Buona domenica a tutti!!!
R.

sabato 14 aprile 2018

Il coro del duomo di Ratisbona intona "Christus vincit" alla presenza di Benedetto XVI (YouTube)



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Uno dei momenti più emozionanti e commoventi della visita di Benedetto XVI nella sua amata Baviera.
Grazie a Gemma :-)
Buon sabato a tutti.
R.

venerdì 13 aprile 2018

Benedetto XVI si congeda dalla sua amata Baviera (14.09.2006)



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Al termine del suo Viaggio Apostolico in Baviera, Benedetto XVI rivolge parole commosse ai suoi concittadini manifestando tutto il suo amore per la Patria.
Grazie a Gemma per questa vera "chicca" :-)
Ecco il testo integrale:


VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
A MÜNCHEN, ALTÖTTING E REGENSBURG
(9-14 SETTEMBRE 2006)

CERIMONIA DI CONGEDO
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Aeroporto Internazionale Franz Joseph Strauss, München
Giovedì, 14 settembre 2006

Signor Ministro Presidente,
Illustri Membri del Governo,
Signori Cardinali e venerati Fratelli nell'Episcopato,
Illustri Signori, gentili Signore!

Nel momento di lasciare la Baviera per fare ritorno a Roma, desidero rivolgere a voi qui presenti, e in voi a tutti i cittadini della mia Patria, un cordiale saluto e insieme una parola di ringraziamento proveniente veramente dal profondo del cuore. Porto impresse indelebilmente nell'animo le emozioni suscitate in me dall'entusiasmo e dalla intensa religiosità di vaste moltitudini di fedeli, che si sono devotamente raccolte nell'ascolto della Parola di Dio e nella preghiera e che mi hanno salutato per le strade e nelle piazze. Ho potuto rendermi conto di quante persone, in Baviera, anche oggi si sforzano di camminare sulle strade di Dio in comunione con i loro Pastori, impegnandosi a rendere testimonianza della loro fede nell'attuale mondo secolarizzato e a renderla presente in esso come forza plasmante. Grazie alla infaticabile dedizione degli organizzatori, tutto ha potuto svolgersi nell'ordine e nella tranquillità, nella comunione e nella gioia. La mia prima parola, in questo commiato, deve dunque essere di gratitudine a tutti coloro che hanno collaborato per ottenere questo risultato. Posso solo dire di tutto cuore: "Dio ve ne renda merito!"
Naturalmente, il mio pensiero va innanzitutto a Lei, Signor Ministro Presidente, che ringrazio per le parole da Lei pronunciate, con cui ha reso una grande testimonianza in favore della nostra fede cristiana quale forza plasmante della nostra vita pubblica. Grazie di cuore per questo! Ringrazio le altre Personalità civili ed ecclesiastiche qui convenute, in particolare quelle che hanno contribuito alla perfetta riuscita di questa visita, nel corso della quale ho potuto incontrare dappertutto persone di questa Terra che mi testimoniavano il loro gioioso affetto e a cui anche il mio cuore resta sempre profondamente legato. Sono stati giorni intensi, e nel ricordo ho potuto rivivere tanti eventi del passato che hanno segnato la mia esistenza. 
Ovunque ho ricevuto un'accoglienza piena di premure e di attenzioni, devo dire di più, un’accoglienza all'insegna della più grande cordialità. Questo mi ha intimamente toccato. Posso in qualche misura immaginare le difficoltà, le preoccupazioni, la fatica che l'organizzazione della mia visita in Baviera ha comportato: vi sono state coinvolte molte persone appartenenti sia agli organismi della Chiesa che alle strutture pubbliche tanto della Regione quanto dello Stato e soprattutto anche un grande numero di volontari. A tutti dico un "Dio ve ne renda merito" che parte dal profondo del cuore ed è accompagnato dall'assicurazione della mia preghiera per voi tutti.
Sono venuto in Germania, in Baviera, per riproporre ai miei concittadini le eterne verità del Vangelo come verità e forza attuali e confermare i credenti nell'adesione a Cristo, Figlio di Dio fattosi uomo per la nostra salvezza. Sono convinto nella fede che in Lui, nella sua parola, si trova la via non solo per raggiungere la felicità eterna, ma anche per costruire un futuro degno dell'uomo già su questa nostra terra. Animata da questa consapevolezza, la Chiesa sotto la guida dello Spirito, ha trovato  sempre di nuovo nella Parola di Dio le risposte alle sfide emergenti nel corso della storia. Questo ha cercato di fare, in particolare, anche per i problemi manifestatisi nel contesto della cosiddetta "questione operaia", soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo XIX. Lo sottolineo in questa circostanza, perché proprio oggi, 14 settembre, cade il 25° anniversario della pubblicazione dell'Enciclica Laborem exercenscon la quale il grande Papa Giovanni Paolo II ha indicato nel lavoro "una dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla terra" (n.4) e ha ricordato a tutti che, cito,  "il primo fondamento del valore del lavoro è l'uomo stesso" (n.6). Il lavoro pertanto, egli annotava, è "un bene dell'uomo", perché con esso "l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, diventa più uomo" (n.9). Sulla base di questa intuizione di fondo, il Papa indicava nell'Enciclica alcuni orientamenti che restano attuali anche oggi. A quel testo non privo di valore profetico vorrei rimandare anche i cittadini della mia Patria, nella certezza che da una sua applicazione concreta potranno derivare grandi vantaggi anche per l'odierna situazione sociale in  Germania.
Ed ora, nel congedarmi dalla mia amata Patria, affido il presente ed il futuro della Baviera e della Germania all'intercessione di tutti i Santi che sono vissuti sul territorio tedesco servendo fedelmente Cristo e sperimentando nella loro esistenza la verità di quelle parole che hanno accompagnato come leitmotiv le varie fasi della visita: "Chi crede non è mai solo". Questa esperienza ha fatto sicuramente anche l'autore del nostro inno bavarese. Con le sue parole, con le parole del nostro inno, che sono anche una preghiera, mi piace lasciare ancora un augurio alla mia Patria: "Dio sia con te, Paese dei Bavaresi, terra tedesca, Patria! / Sopra i tuoi vasti territori riposi la sua mano benedicente! / Egli protegga la tua campagna e gli edifici delle tue città / e conservi a te i colori del suo cielo bianco e azzurro!"
A tutti un cordiale "Vergelt's Gott" e "Arrivederci", se Dio vuole.

© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 1 aprile 2018

Benedetto XVI: l’anima è immortale, perché l’uomo in modo singolare sta nella memoria e nell’amore di Dio



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Buona Pasqua a tutti, carissimi Amici! Grazie alla nostra Gemma riviviamo la solennità della Veglia Pasquale dell'aprile 2007.
Il testo dell'omelia del Santo Padre è consultabile qui.

In questo video vediamo anche i riti iniziali della Veglia: la preparazione del Cero pasquale e la Solenne Processione fino all'altare maggiore della Basilica Vaticana.



VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Sabato Santo, 7 aprile 2007

Cari fratelli e sorelle!

Dai tempi più antichi la liturgia del giorno di Pasqua comincia con le parole: Resurrexi et adhuc tecum sum – sono risorto e sono sempre con te; tu hai posto su di me la tua mano. La liturgia vi vede la prima parola del Figlio rivolta al Padre dopo la risurrezione, dopo il ritorno dalla notte della morte nel mondo dei viventi. La mano del Padre lo ha sorretto anche in questa notte, e così Egli ha potuto rialzarsi, risorgere.
La parola è tratta dal Salmo 138 e lì ha inizialmente un significato diverso. Questo Salmo è un canto di meraviglia per l’onnipotenza e l’onnipresenza di Dio, un canto di fiducia in quel Dio che non ci lascia mai cadere dalle sue mani. E le sue mani sono mani buone. L’orante immagina un viaggio attraverso tutte le dimensioni dell’universo – che cosa gli accadrà? “Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra. Se dico: «Almeno l’oscurità mi copra…», nemmeno le tenebre per te sono oscure … per te le tenebre sono come luce” (Sal 138 [139],8-12).
Nel giorno di Pasqua la Chiesa ci dice: Gesù Cristo ha compiuto per noi questo viaggio attraverso le dimensioni dell’universo. Nella Lettera agli Efesini leggiamo che Egli è disceso nelle regioni più basse della terra e che Colui che è disceso è il medesimo che è anche asceso al di sopra di tutti i cieli per riempire l’universo (cfr 4,9s). Così la visione del Salmo è diventata realtà. Nell’oscurità impenetrabile della morte Egli è entrato come luce – la notte divenne luminosa come il giorno, e le tenebre divennero luce. Perciò la Chiesa giustamente può considerare la parola di ringraziamento e di fiducia come parola del Risorto rivolta al Padre: “Sì, ho fatto il viaggio fin nelle profondità estreme della terra, nell’abisso della morte e ho portato la luce; e ora sono risorto e sono per sempre afferrato dalle tue mani”. Ma questa parola del Risorto al Padre è diventata anche una parola che il Signore rivolge a noi: “Sono risorto e ora sono sempre con te”, dice a ciascuno di noi. La mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani. Sono presente perfino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là ti aspetto io e trasformo per te le tenebre in luce.
Questa parola del Salmo, letta come colloquio del Risorto con noi, è allo stesso tempo una spiegazione di ciò che succede nel Battesimo. Il Battesimo, infatti, è più di un lavacro, di una purificazione. È più dell’assunzione in una comunità. È una nuova nascita. Un nuovo inizio della vita. Il passo della Lettera ai Romani, che abbiamo appena ascoltato, dice con parole misteriose che nel Battesimo siamo stati “innestati” nella somiglianza con la morte di Cristo. Nel Battesimo ci doniamo a Cristo – Egli ci assume in sé, affinché poi non viviamo più per noi stessi, ma grazie a Lui, con Lui e in Lui; affinché viviamo con Lui e così per gli altri. Nel Battesimo abbandoniamo noi stessi, deponiamo la nostra vita nelle sue mani, così da poter dire con san Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Se in questo modo ci doniamo, accettando una specie di morte del nostro io, allora ciò significa anche che il confine tra morte e vita diventa permeabile. Al di qua come al di là della morte siamo con Cristo e per questo, da quel momento in avanti, la morte non è più un vero confine. Paolo ce lo dice in modo molto chiaro nella sua Lettera ai Filippesi: “Per me il vivere è Cristo. Se posso essere presso di Lui (cioè se muoio) è un guadagno. Ma se rimango in questa vita, posso ancora portare frutto. Così sono messo alle strette tra queste due cose: essere sciolto – cioè essere giustiziato – ed essere con Cristo, sarebbe assai meglio; ma rimanere in questa vita è più necessario per voi” (cfr 1,21ss). Di qua e di là del confine della morte egli è con Cristo – non esiste più una vera differenza. Sì, è vero: “Alle spalle e di fronte tu mi circondi. Sempre sono nelle tue mani”. Ai Romani Paolo ha scritto: “Nessuno … vive per se stesso e nessuno muore per se stesso … sia che viviamo, sia che moriamo, siamo … del Signore” (Rm 14,7s).
Cari battezzandi, è questa la novità del Battesimo: la nostra vita appartiene a Cristo, non più a noi stessi. Ma proprio per questo non siamo soli neppure nella morte, ma siamo con Lui che vive sempre. Nel Battesimo, insieme con Cristo, abbiamo già fatto il viaggio cosmico fin nelle profondità della morte. Accompagnati da Lui, anzi, accolti da Lui nel suo amore, siamo liberi dalla paura. Egli ci avvolge e ci porta, ovunque andiamo – Egli che è la Vita stessa.
Ritorniamo ancora alla notte del Sabato Santo. 
Nel Credo professiamo circa il cammino di Cristo: “Discese agli inferi”. Che cosa accadde allora? Poiché non conosciamo il mondo della morte, possiamo figurarci questo processo del superamento della morte solo mediante immagini che rimangono sempre poco adatte. Con tutta la loro insufficienza, tuttavia, esse ci aiutano a capire qualcosa del mistero. La liturgia applica alla discesa di Gesù nella notte della morte la parola del Salmo 23 [24]: “Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche!” La porta della morte è chiusa, nessuno può tornare indietro da lì. Non c’è una chiave per questa porta ferrea. Cristo, però, ne possiede la chiave. 
La sua Croce spalanca le porte della morte, le porte irrevocabili. Esse ora non sono più invalicabili. La sua Croce, la radicalità del suo amore è la chiave che apre questa porta. L’amore di Colui che, essendo Dio, si è fatto uomo per poter morire – questo amore ha la forza per aprire la porta. Questo amore è più forte della morte. Le icone pasquali della Chiesa orientale mostrano come Cristo entra nel mondo dei morti. Il suo vestito è luce, perché Dio è luce. “La notte è chiara come il giorno, le tenebre sono come luce” (cfr Sal 138 [139],12). 
Gesù che entra nel mondo dei morti porta le stimmate: le sue ferite, i suoi patimenti sono diventati potenza, sono amore che vince la morte. Egli incontra Adamo e tutti gli uomini che aspettano nella notte della morte. Alla loro vista si crede addirittura di udire la preghiera di Giona: “Dal profondo degli inferi ho gridato, e tu hai ascoltato la mia voce” (Gio 2,3). Il Figlio di Dio nell’incarnazione si è fatto una cosa sola con l’essere umano – con Adamo. Ma solo in quel momento, in cui compie l’atto estremo dell’amore discendendo nella notte della morte, Egli porta a compimento il cammino dell’incarnazione. 
Mediante il suo morire Egli prende per mano Adamo, tutti gli uomini in attesa e li porta alla luce.
Ora, tuttavia, si può domandare: Ma che cosa significa questa immagine? Quale novità è lì realmente accaduta per mezzo di Cristo? L’anima dell’uomo, appunto, è di per sé immortale fin dalla creazione – che cosa di nuovo ha portato Cristo? Sì, l’anima è immortale, perché l’uomo in modo singolare sta nella memoria e nell’amore di Dio, anche dopo la sua caduta. Ma la sua forza non basta per elevarsi verso Dio. Non abbiamo ali che potrebbero portarci fino a tale altezza. E tuttavia, nient’altro può appagare l’uomo eternamente, se non l’essere con Dio. Un’eternità senza questa unione con Dio sarebbe una condanna. L’uomo non riesce a giungere in alto, ma anela verso l’alto: “Dal profondo grido a te…” Solo il Cristo risorto può portarci su fino all’unione con Dio, fin dove le nostre forze non possono arrivare. Egli prende davvero la pecora smarrita sulle sue spalle e la porta a casa. Aggrappati al suo Corpo noi viviamo, e in comunione con il suo Corpo giungiamo fino al cuore di Dio. E solo così è vinta la morte, siamo liberi e la nostra vita è speranza.

È questo il giubilo della Veglia Pasquale: noi siamo liberi. Mediante la risurrezione di Gesù l’amore si è rivelato più forte della morte, più forte del male. L’amore Lo ha fatto discendere ed è al contempo la forza nella quale Egli ascende. 

La forza per mezzo della quale ci porta con sé. Uniti col suo amore, portati sulle ali dell’amore, come persone che amano scendiamo insieme con Lui nelle tenebre del mondo, sapendo che proprio così saliamo anche con Lui. Preghiamo quindi in questa notte: Signore, dimostra anche oggi che l’amore è più forte dell’odio. Che è più forte della morte. Discendi anche nelle notti e negli inferi di questo nostro tempo moderno e prendi per mano coloro che aspettano. Portali alla luce! Sii anche nelle mie notti oscure con me e conducimi fuori! Aiutami, aiutaci a scendere con te nel buio di coloro che sono in attesa, che gridano dal profondo verso di te! Aiutaci a portarvi la tua luce! Aiutaci ad arrivare al “sì” dell’amore, che ci fa discendere e proprio così salire insieme con te! Amen.

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