Gli interrogativi che mi spinsero all'approfondimento della materia
Joseph Ratzinger
Quando nell'autunno del 1953 iniziai il lavoro di preparazione per questo studio, una delle questioni che occupavano un posto di primo piano all'interno dei circoli teologici cattolici di lingua tedesca era la questione concernente la relazione tra storia della salvezza e metafisica.
Si trattava di un problema sorto soprattutto dai contatti con la teologia protestante che, sin dai tempi di Lutero, tendeva a vedere nel pensiero metafisico un allontanamento dall'istanza specifica della fede cristiana la quale non indica semplicemente all'uomo la via verso l'eterno ma verso quel Dio che opera nel tempo e nella storia.
A questo riguardo sorsero interrogativi di carattere differente e di diverso ordine. Come può divenire storicamente presente ciò che è avvenuto? Come può avere significato universale ciò che è unico e irripetibile?
Ma, d'altra parte, la "ellenizzazione" della cristianità, che tentò di vincere lo scandalo del particolare attraverso una miscela di fede e metafisica, non ha forse portato ad uno sviluppo in direzione sbagliata? Non ha creato uno stile statico di pensiero che non è in grado di rendere giustizia al dinamismo dello stile biblico?
Queste domande esercitarono su di me un forte influsso ed io intendevo dare il mio contributo per rispondere ad esse. Alla luce della tradizione comunemente accettata della teologia tedesca, mi pareva ovvio che non si sarebbe potuto fare questo a priori; al contrario, ciò si poteva realizzare solo e proprio nel dialogo con quella tradizione teologica chiamata in questione. Unicamente sulla base di questo tipo di studio poteva aver luogo una formulazione sistematica. Ho cercato di dare un'immagine provvisoria di una siffatta formulazione nel mio libro Einführung in das Christentum, che fu pubblicato poco dopo il Concilio (1968).
Avendo dedicato il mio primo studio ad Agostino ed avendo in tal modo acquistato una certa familiarità con il mondo dei Padri, sembrava ora naturale affrontare il medioevo.
In relazione alle questioni di cui mi occupavo, Bonaventura era un soggetto naturalmente più adatto per questo studio di san Tommaso d'Aquino. In questo modo si trovò un interlocutore per la discussione. Le domande che speravo di rivolgere a questo interlocutore si possono riassumere in termini generali nei concetti di rivelazione-storia-metafisica.
Prima di tutto studiai la natura della rivelazione insieme alla terminologia utilizzata per esprimerla. Sulla base di questo materiale tentai di descrivere la relazione tra storia e metafisica così come la intese Bonaventura. A tutt'oggi è stato possibile pubblicare solo parecchi frammenti del cospicuo materiale emerso da questa ricerca.
A parte le ragioni esterne implicate, vi era anche una ragione interna: essa deve essere individuata nel fatto che, formulando la domanda in questo modo, stiamo già compiendo un approccio a Bonaventura a partire dal nostro concetto di storia, laddove sarebbe importante leggere Bonaventura all'interno della propria struttura, anche se, così facendo, potremmo scoprire una prospettiva a noi completamente estranea e che potrebbe apparire priva di significato in relazione al nostro problema attuale.
Così concentrai sempre più la mia attenzione sulla teologia della storia così come Bonaventura stesso l'aveva sviluppata nella lotta spirituale della sua età. È questo il modo in cui nacque il presente volume.
I risultati furono abbastanza sorprendenti. Divenne evidente che la teologia della storia di Bonaventura rappresentava la lotta per giungere ad una vera comprensione dell'escatologia. In questo modo essa si ancorava all'istanza centrale della questione stessa del Nuovo Testamento. Era chiaro che la discussione che Bonaventura intraprese con Gioacchino da Fiore - lo straordinario profeta di quel periodo - portò ad un cambiamento del concetto di escatologia che è ancora oggi operativo.
Infine risultò ovvio che la teologia della storia non rappresentava un'area isolata del pensiero di Bonaventura. Al contrario, essa era legata alle scelte filosofiche e teologiche di base che costituirono il presupposto della sua partecipazione alle aspre controversie degli anni Sessanta e Settanta del XIII secolo.
Fu in queste controversie che venne trattato il problema della filosofia e della teologia ed anche quello dell'ellenismo e della de-ellenizzazione, nonché la questione in merito al fatto se la fede può essere trasformata in comprensione.
Mi pare chiaro che Bonaventura non poteva tacere su Gioacchino essendo egli Ministro Generale di un ordine che era quasi giunto al suo punto di rottura a causa della questione gioachimita. L'Hexaëmeron è la risposta che egli diede a questo problema in qualità di Generale dell'ordine; è una discussione critica con l'abate calabrese ed i suoi seguaci. Senza Gioacchino quest'opera sarebbe incomprensibile.
Ma la discussione è portata avanti in modo tale che Gioacchino viene interpretato all'interno della tradizione, mentre i gioachimiti lo interpretarono contro la tradizione. Bonaventura non rifiuta totalmente Gioacchino (come aveva fatto Tommaso): egli lo interpreta piuttosto in modo ecclesiale, creando così un'alternativa ai gioachimiti radicali. Sulla base di questa alternativa egli cerca di conservare l'unità dell'ordine.
Tübingen, 15 Agosto 1969
Dalla prefazione all'edizione americana
(©L'Osservatore Romano - 20 gennaio 2008)
Entrare in questo angolo del web dà la sensazione della brezza leggera... ! Ti ravviva!
RispondiElimina