lunedì 18 maggio 2015

Benedetto XVI traccia la figura di San Pietro, l'Apostolo (udienza generale 24.05.06)



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Nella catechesi dell'udienza generale del 24 maggio 2006 Benedetto XVI prosegue la sua lezione sulla figura di San Pietro soffermandosi in particolare sul ruolo di Apostolo. Il testo è consultabile qui.

In particolare:

"In queste catechesi stiamo meditando sulla Chiesa. Abbiamo detto che la Chiesa vive nelle persone e perciò, nell’ultima catechesi, abbiamo cominciato a meditare sulle figure dei singoli Apostoli, iniziando da san Pietro. Abbiamo visto due tappe decisive della sua vita: la chiamata presso il lago di Galilea e poi la confessione di fede: “Tu sei il Cristo, il Messia”. Una confessione, abbiamo detto, ancora insufficiente, iniziale e tuttavia aperta. San Pietro si pone in un cammino di sequela. E così questa confessione iniziale porta in sé, come in germe, già la futura fede della Chiesa. Oggi vogliamo considerare altri due avvenimenti importanti nella vita di san Pietro: la moltiplicazione dei pani – abbiamo sentito nel brano ora letto  la domanda del Signore e la risposta di Pietro – e poi il Signore che chiama Pietro ad essere pastore della Chiesa universale".

"In un mattino di primavera questa missione gli sarà affidata da Gesù risorto. L’incontro avverrà sulle sponde del lago di Tiberiade. E’ l’evangelista Giovanni a riferirci il dialogo che in quella circostanza ha luogo tra Gesù e Pietro. Vi si rileva un gioco di verbi molto significativo. In greco il verbo “filéo” esprime l’amore di amicizia, tenero ma non totalizzante, mentre il verbo “agapáo” significa l’amore senza riserve, totale ed incondizionato. Gesù domanda a Pietro la prima volta: «Simone... mi ami tu (agapâs-me)” con questo amore totale e incondizionato (cfr Gv 21,15)? Prima dell’esperienza del tradimento l’Apostolo avrebbe certamente detto: “Ti amo (agapô-se) incondizionatamente”. Ora che ha conosciuto l’amara tristezza dell’infedeltà, il dramma della propria debolezza, dice con umiltà: “Signore, ti voglio bene (filô-se)”, cioè “ti amo del mio povero amore umano”. Il Cristo insiste: “Simone, mi ami tu con questo amore totale che io voglio?”. E Pietro ripete la risposta del suo umile amore umano: “Kyrie, filô-se”, “Signore, ti voglio bene come so voler bene”. Alla terza volta Gesù dice a Simone soltanto: “Fileîs-me?”, “mi vuoi bene?”. Simone comprende che a Gesù basta il suo povero amore, l’unico di cui è capace, e tuttavia è rattristato che il Signore gli abbia dovuto dire così. Gli risponde perciò: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene (filô-se)”. Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù! E’ proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. Da qui nasce la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine: «Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimi”» (Gv 21,19).

Da quel giorno Pietro ha “seguito” il Maestro con la precisa consapevolezza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l’ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto. Dagli ingenui entusiasmi dell’adesione iniziale, passando attraverso l’esperienza dolorosa del rinnegamento ed il pianto della conversione, Pietro è giunto ad affidarsi a quel Gesù che si è adattato alla sua povera capacità d’amore. E mostra così anche a noi la via, nonostante tutta la nostra debolezza. Sappiamo che Gesù si adegua a questa nostra debolezza. Noi lo seguiamo, con la nostra povera capacità di amore e sappiamo che Gesù è buono e ci accetta. E’ stato per Pietro un lungo cammino che lo ha reso un testimone affidabile, “pietra” della Chiesa, perché costantemente aperto all’azione dello Spirito di Gesù. Pietro stesso si qualificherà come “testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi” (1 Pt 5,1). Quando scriverà queste parole sarà ormai anziano, avviato verso la conclusione della sua vita che sigillerà con il martirio. Sarà in grado, allora, di descrivere la gioia vera e di indicare dove essa può essere attinta: la sorgente è Cristo creduto e amato con la nostra debole ma sincera fede, nonostante la nostra fragilità. Perciò scriverà ai cristiani della sua comunità, e lo dice anche a noi: “Voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime” (1 Pt 1,8-9)".

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