Il Signore mi chiama a "salire sul monte", a dedicarmi ancora di più alla preghiera... (Benedetto XVI, 24 febbraio 2013)
giovedì 31 gennaio 2013
Magnifica libertà. Il "Credo" da ritrovare nel tempo del sé (Sequeri)
Il "Credo" da ritrovare nel tempo del sé
Magnifica libertà
Pierangelo Sequeri
Nei Paesi occidentali, la religione del Sé si avvia a diventare la nuova religione di Stato. Il Sé non è più, come l’inerzia del linguaggio ancora lascia intendere, il tema di una cura personale, intima, per così dire privata. Ora, il Sé è il termine di una suprema devozione, il primo comandamento dell’etica pubblica, il senso stesso dell’impegno collettivo (tutti per uno insomma, o comunque per pochissimi).
L’ambizione suprema del Sé è l’emancipazione da tutti i legami durevoli, la sua massima felicità è ri-creare ogni giorno se stesso.
Nella celebre versione di Stirner, il Sé appare quasi eroico nel suo progetto di autosufficienza; e persino liberale e modesto, nella sua coerente rinuncia a essere fondamento e sostegno per alcuno. Essere l’Unico, per se stesso, appunto. Niente altro. Questo tipo – c’è bisogno di dirlo? – non sa più nulla di che cosa significa essere persona, avere relazione, generare la vita e creare cultura all’altezza dell’umano migliore, che è comune. Questo tipo ce lo svaluta, l’umano comune, anche quando, apparentemente, non fa altro che prendersi cura di sé (appunto). Eppure lo abbiamo generato e gli abbiamo voluto bene; lo abbiamo nutrito e cresciuto, persino sacrificando del nostro; lo introducemmo nel linguaggio e negli affetti; ci organizzammo per consentirgli di attingere al bene comune, che non si era ancora guadagnato, e ci allertiamo ancora adesso, che è grande, per contenere l’autolesionismo al quale potrebbe essere indotto nei suoi momenti di disperazione.
Insomma, questa religione del Sé non crea eroi, né uomini e donne adulti, degni di questo nome. Essa crea il parassita imperfetto: acciughina in barile che si illude di non essere schiavo di niente e di nessuno, mentre se lo comprano e se lo rivendono quelli più svelti di lui (i parassiti perfetti, appunto). La religione del Sé è un capolavoro dell’alienazione. Infatti, l’ha trasformata in autorealizzazione, rendendo sacro l’Io. Incantamento perfetto, che va conquistando le istituzioni, non solo il costume e gli stili di vita. Per uscire da questo incantamento bisogna che qualcuno incominci a uscirsene con la famosa frase: "Il Sé è nudo!".
Il Papa Benedetto XVI, nell’Anno della fede, ha incominciato a commentare il "Credo".
Quello che recitiamo nella Messa (assai diverso da quello che dicono in giro che sia il credo cristiano). Quello in cui Dio è confessato e adorato come l’antitesi perfetta – e persino impensabile – del comandamento narcisistico. Quello che racconta della generazione eterna, in cui Dio è fin dal principio. Quello che racconta della creazione come della grazia in virtù della quale siamo, pensiamo, viviamo. Quello che ci consegna il Figlio per il nostro riscatto da ogni perdizione della storia, e dona lo Spirito per la risurrezione da ogni nichilismo di morte. Quello che fa degli uomini una comunità di origine e di destino, affidata ai loro legami migliori e ai loro affetti più degni, dei quali la comunità cristiana è segno e strumento. Il Papa ha ricordato che il germe di questa fede, che infine risplende nell’irrevocabile legame umano del Figlio, è l’azzardo di Abramo, che accetta di uscire da sé.
In tante nostre società, commenta Benedetto XVI, Dio è diventato «il grande assente», e al suo posto vi sono molti idoli, con tutte le loro ossessioni: a cominciare dal possesso e dall’egocentrismo. I due, insieme, sono semplicemente devastanti. Il credo cristiano «in Dio» è la parola del disincantamento della quale abbiamo di nuovo bisogno, per riprenderci dalla paralisi della pseudo-religione "di Io": una vera e propria macchina della depressione, che ci rende schiavi e ostaggi della disonesta ricchezza. La religione del Sé ci toglie l’orgoglio di appartenere al genere umano, svuota di felicità la nostra meravigliosa attitudine a generare umani dall’animo grande, ci toglie la passione per le sfide più esaltanti della vita comune. Il Dio del "Credo" vuole essere amato come Padre e non subìto come il faraone. In altri termini, vuole «essere creduto». Sarà necessario un lungo periodo di riabilitazione, per ritornare alla magnifica libertà di credere in Dio. Ma possiamo farcela.
© Copyright Avvenire, 31 gennaio 2013 consultabile online anche qui.
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