giovedì 23 maggio 2013

Joseph Ratzinger: Checché ne dicano certi teologi superficiali, il Diavolo è, per la fede cristiana, una presenza misteriosa ma reale, personale, non simbolica. Ed è una realtà potente


Su segnalazione di MedievAle, che ringraziamo di cuore, rileggiamo i seguenti brani tratti da "Rapporto sulla fede", Joseph Ratzinger a colloquio con Vittorio Messori:

CAPITOLO DECIMO

SU ALCUNE "COSE ULTIME"

Il Diavolo e la sua coda

Tra le molte cose dettemi dal card. Ratzinger e anticipate nel servizio giornalistico che ha preceduto questo libro, è un aspetto non centrale che sembra avere monopolizzato l'attenzione di tanti commentatori. Molti articoli (con relativi titoli) sono stati dedicati non tanto alle severe analisi teologiche, esegetiche, ecclesiologiche del Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, quanto, piuttosto, agli accenni (pochi capoversi su decine di cartelle) a quella realtà che la tradizione cristiana indica con il nome di "Diavolo Demonio Satana".

Perché questo accentrarsi dell'attenzione dei commentatori su un tema che pure, ripetiamo, non era affatto centrale nel discorso del Prefetto?

Gusto del pittoresco, curiosità divertita per quello che molti (magari anche tra i cristiani) considerano come una sopravvivenza folkloristica, come un aspetto comunque "inaccettabile per una fede divenuta adulta"? O qualcosa di più, di più profondo, un'inquietudine mascherata dal riso? Serena tranquillità o esorcismo che prende la forma dell'ironia?

Non tocca a noi rispondere. A noi tocca semmai registrare il fatto oggettivo: non c'è argomento come quello del "Diavolo" che risvegli subito il rimescolio frenetico dei mass media della società secolarizzata.

È difficile dimenticare l'eco - immensa e non soltanto ironica, anzi talvolta rabbiosa - suscitata da un papa, Paolo VI, il quale, nell'allocuzione durante l'udienza generale del 15 novembre 1972 ritornò su quanto aveva detto il 29 giugno precedente nella basilica di san Pietro dove, rifacendosi alle condizioni della Chiesa, confidava: "Ho la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio". Aveva poi aggiunto che "se tante volte nel vangelo, sulle labbra di Cristo, ritorna la menzione di questo nemico degli uomini", anche per il nostro tempo egli, Paolo VI, credeva "in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico e per impedire alla Chiesa di prorompere nell'inno della gioia, seminando il dubbio, l'incertezza, la problematica, l'inquietudine, l'insoddisfazione".

Già a quei primi cenni si levarono nel mondo brontolii di protesta.

La quale esplose senza freni - durando mesi, nei media del mondo intero - in quel 15 novembre 1972 divenuto famoso: "Il male che è nel mondo è occasione e effetto d'un intervento in noi e nella nostra società d'un agente oscuro e nemico, il Demonio. Il male non è soltanto una deficienza, ma un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa. Esce dal quadro biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale fantastica delle cause ignote dei nostri malanni".

Dopo una serie di citazioni bibliche ad appoggio del suo discorso, Paolo VI aveva proseguito: "Il Demonio è il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo così che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero e agisce ancora, è l'insidiatore sofistico dell'equilibrio morale dell'uomo, il perfido incantatore che in noi sa insinuarsi (per la via dei sensi, della fantasia, della concupiscenza, della logica utopistica o dei disordinati contatti sociali) per introdurvi deviazioni...".

Il Papa aveva poi lamentato l'insufficiente attenzione al problema da parte della teologia contemporanea: "Sarebbe, questo sul Demonio e sull'influsso che egli può esercitare, un capitolo molto importante da ristudiare della dottrina cattolica, mentre oggi poco lo è".

Sull'argomento, a difesa ovviamente della dottrina ribadita dal papa, intervenne poi la Congregazione per la dottrina della fede con il documento del giugno 1975: "Gli enunciati sul Diavolo sono un'affermazione indiscussa della coscienza cristiana"; se "l'esistenza di Satana e dei demoni non è mai stata fatta oggetto di una dichiarazione dogmatica", è proprio perché sembrava superflua, essendo quella credenza ovvia "per la fede costante e universale della Chiesa basata sulla sua fonte maggiore: l'insegnamento del Cristo, oltre che su quell'espressione concreta della fede vissuta che è la liturgia, che sempre ha insistito sulla esistenza dei demoni e sulla minaccia che essi costituiscono".

A un anno dalla morte, Paolo VI volle ritornare ancora sull'argomento, in un'altra udienza generale: "Non è meraviglia se la nostra società degrada e se la Scrittura acerbamente ci ammonisce che " tutto il mondo (nel senso deteriore del termine) giace sotto il potere del "Maligno", quello che la stessa Scrittura chiama " il Principe di questo mondo "".

Ogni volta, dopo le parole del Papa, furono grida, proteste: e curiosamente, soprattutto in quei giornali e da parte di quei commentatori ai quali nulla dovrebbe importare della riaffermazione di un aspetto di una fede che dicono di rifiutare nella sua totalità. In questa loro prospettiva, l'ironia è giustificata. Ma l'ira, perché?

Un discorso sempre attuale

E stato così puntualmente, anche questa volta, dopo il nostro anticipo delle affermazioni su questo argomento del card. Ratzinger. Diceva quel sommario delle sue parole, inserite nel discorso su certa caduta della tensione missionaria, conseguente al fatto che alcuni autori portano oggi quella che egli chiama "un'enfasi eccessiva sui valori delle religioni non cristiane" (il riferimento del Prefetto era rivolto in quel momento in modo speciale all'Africa):

"Non sembra il caso di esaltare la condizione precristiana, quel tempo degli idoli che era anche il tempo della paura, in un mondo dove Dio è lontano e la terra è abbandonata ai demoni. Come già avvenne nel bacino del Mediterraneo al tempo degli apostoli, così in Africa l'annuncio del Cristo che può vincere le forze del male è stato un'esperienza di liberazione dal terrore. Il paganesimo innocente, sereno, è uno dei tanti miti dell'età contemporanea".

Ratzinger aveva poi continuato: "Checché ne dicano certi teologi superficiali, il Diavolo è, per la fede cristiana, una presenza misteriosa ma reale, personale, non simbolica. Ed è una realtà potente ("il Principe di questo mondo", come lo chiama il Nuovo Testamento, che più e più volte ne ricorda l'esistenza), una malefica libertà sovrumana opposta a quella di Dio: come mostra una lettura realistica della storia, con il suo abisso di atrocità sempre rinnovate e non spiegabili soltanto con l'uomo. Il quale da solo non ha la forza di opporsi a Satana; ma questo non è un altro dio, uniti a Gesù abbiamo la certezza di vincerlo. E Cristo il "Dio vicino" che ha forza e volontà di liberarci: per questo il Vangelo è davvero "buona notizia". E per questo dobbiamo continuare ad annunciarlo a quei regimi di terrore che sono spesso le religioni non cristiane. Dirò di più: la cultura atea dell'Occidente moderno vive ancora grazie alla libertà dalla paura dei demoni portata dal cristianesimo. Ma se questa luce redentrice del Cristo dovesse spegnersi, pur con tutta la sua sapienza e con tutta la sua tecnologia il mondo ricadrebbe nel terrore e nella disperazione. Ci sono già segni di questo ritorno di forze oscure, mentre crescono nel mondo secolarizzato i culti satanici".

È nostro dovere di informatori segnalare che simili dichiarazioni sono (com'è ovvio) del tutto nel quadro della dottrina tradizionale della Chiesa, quella stessa ribadita dal Vaticano II che di "Satana", "Demonio", "Maligno", " antico Serpente ", " Potere delle tenebre ", " Principe di questo mondo " parla in 17 passi e per ben cinque volte lo fa nella Gaudium et spes, il testo più " ottimista " dell'intero Concilio. Eppure, in quel documento i Padri non esitano a scrivere, tra l'altro: "Tutta intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le Potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall'origine del mondo e che durerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno" (G.S., n. 37).

Quanto alle religioni non cristiane, e al Cristo liberatore anche dalla paura, è ben vero che il Vaticano II apre fortunatamente una nuova fase, di dialogo autentico, con le religioni non cristiane ("La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini", Nostra Aetate, n. 2). Ma lo stesso Concilio, nel Decreto sull'attività missionaria, per tre volte nel testo e una volta in una nota, ribadisce la dottrina tradizionale, che è direttamente biblica, come il Concilio stesso ricorda con abbondanza di citazioni scritturali: "Dio ( ... ) inviò suo Figlio a noi con un corpo simile al nostro, per sottrarre a suo mezzo gli uomini dal potere delle tenebre e di Satana (Col 1,13; Atti 10,38)" (Ad gentes, n. 3). "Cristo rovescia il regno del Demonio e allontana la multiforme malizia del peccato" (Ad gentes, n. 9). "Siamo liberati grazie ai sacramenti dell'iniziazione cristiana dal Potere delle tenebre"; e qui, "intorno a questa liberazione dalla schiavitù del demonio e delle tenebre" come dice il testo, una nota ufficiale rinvia a cinque passi del Nuovo Testamento e alla liturgia del Battesimo Romano (n. 14).

Questo constatiamo per dovere di informazione oggettiva, ben consapevoli tuttavia del fatto che è sempre rischioso (e talvolta fuorviante) andare raccogliendo citazioni isolate dal contesto.

Per quanto riguarda infine il riferimento di Ratzinger all'attualità ("crescono nel mondo secolarizzato i culti satanici"), chi è informato sa bene che ciò che emerge nell'attualità ed appare sui giornali è già inquietante, ma non è che la punta di un iceberg che ha le sue basi proprio nelle zone del mondo più avanzate tecnologicamente, a cominciare dalla California e dal Nord Europa.

Tutte le precisazioni e le constatazioni che abbiamo fatto sono necessarie ma al contempo inutili, ignorate come sono a priori da commentatori per i quali ogni accenno a queste realtà inquietanti è "medievale". Dove Medio Evo, naturalmente, è inteso nell'accezione dell'uomo della strada, che di quella "età di mezzo" ha ancora la visione imposta dai libellisti anticristiani e dai romanzieri popolari del Settecento e dell'Ottocento europei.

" Un addio" sospetto

Joseph Ratzinger, forte anche dei suoi vastissimi studi teologici, non è uomo che si lasci impressionare dalle reazioni né di giornalisti né di certuni "specialisti". Si legge in un documento a sua firma questa esortazione tratta dalla Scrittura: "E necessario resistere, forti nella fede, all'errore, anche quando si manifesta sotto l'apparenza di pietà, per potere abbracciare gli erranti nella carità del Signore, professando la verità nella carità".

Non mette di certo al centro della sua riflessione il discorso sul Diavolo (ben consapevole che ciò che è decisivo è semmai la vittoria che su di esso ha riportato il Cristo), ma un simile discorso gli sembra esemplare perché gli permette di denunciare metodi di lavoro teologico che giudica inaccettabili. Anche per questo carattere di "esemplarità" non sembri eccessivo lo spazio dato all'argomento. Qui, del resto (lo vedremo) è in gioco anche l'escatologia, dunque la fondamentale, irrinunciabile fede cristiana nell'esistenza di un'aldilà.

È certo per questo che uno dei suoi libri più noti - Dogma e predicazione - inserisce la trattazione della dottrina tradizionale sul Demonio nei "temi basilari della predicazione". Ed è ancora per questo, crediamo, che - già Prefetto della Congregazione per la fede - ha steso la prefazione al libro di un suo collega nel cardinalato, Léon Joseph Suenens, intenzionato a ribadire la visione cattolica di Satana come "realtà non simbolica, ma personale".

Mi ha parlato del celebre libretto con il quale un suo collega, docente di esegesi all'università di Túbingen, ha voluto, sin dal titolo, dire "addio al Diavolo". (Tra l'altro - è un piccolo aneddoto raccontandomi il quale ha riso di gusto - quel volume gli fu donato dall'autore in occasione della festicciola tra professori per salutarlo dopo che il Papa lo aveva designato arcivescovo di Monaco. Diceva la dedica sul libro: "Al caro collega professor Joseph Ratzinger, dire addio al quale mi costa assai di più che dire addio al diavolo...").

L'amicizia personale con il collega non gli ha impedito allora né gli impedisce adesso di seguire la sua linea di azione: "Noi dobbiamo rispettare le esperienze, le sofferenze, le scelte umane, anche le esigenze concrete che si trovano dietro certe teologie. Ma dobbiamo però contestare con estrema risolutezza che si tratti ancora di teologie cattoliche".

Per lui, quel libro scritto per congedarsi dal Diavolo (e che prende ad esempio di una serie intera che da qualche anno giunge in libreria) non è "cattolico" perché "è superficiale l'affermazione nella quale culmina tutta l'argomentazione: " Nel Nuovo Testamento il concetto di diavolo sta semplicemente al posto del concetto di peccato, di cui il diavolo non è che un'immagine, un simbolo"". Ricorda, Ratzinger, che "quando Paolo VI sottolineò la reale esistenza di Satana e condannò i tentativi di dissolverlo in un concetto astratto, fu quello stesso teologo che - dando voce all'opinione di tanti suoi colleghi rimproverò al Papa di ricadere in una visione arcaica del mondo, di fare confusione tra ciò che nella Scrittura è struttura di fede (il peccato) e ciò che non è che espressione storica, transitoria (Satana)".

Osserva invece il Prefetto (rifacendosi del resto a ciò che già aveva scritto da teologo) che "se si leggono con attenzione questi libri che vorrebbero sbarazzarsi dell'ingombrante presenza diabolica, alla fine se ne esce convinti del contrario: gli evangelisti ne parlano molto e non intendono affatto parlarne in senso simbolico. 
Come Gesù stesso' erano convinti - e così volevano insegnare - che si tratta di una potenza concreta, non certo di un'astrazione. L'uomo è minacciato da essa e ne viene liberato per opera di Cristo, perché Egli solo, nella sua qualità di " più forte ", può legare l'uomo "forte" per usare le stesse parole evangeliche".

"Biblisti o sociologi?"

Ma allora, se l'insegnamento della Scrittura sembra così chiaro, come giustificare la sostituzione (oggi così diffusa tra gli specialisti) con l'astratto "peccato " del concreto "Satana"?

È proprio qui che individua un metodo utilizzato da molta esegesi e da molta teologia contemporanee e che vuole respingere: "In questo caso specifico, si ammette - non può farsi diversamente - che Gesù, gli apostoli, gli evangelisti erano convinti dell'esistenza delle forze demoniache. Ma, nello stesso tempo, si dà per scontato che in questa loro credenza erano " vittime delle forme di pensiero giudaiche di allora ". Ma, siccome si dà anche per scontato che "quelle forme di pensiero non sono più conciliabili con la nostra immagine del mondo ", ecco che per una sorta di gioco di prestigio ciò che si considera incomprensibile all'uomo medio di oggi viene cancellato".

Dunque, continua, "ciò significa che per dire "addio al Diavolo" non ci si appoggia sulla Scrittura (la quale, anzi, afferma proprio il contrario) ma si fa riferimento a noi, alla nostra visione del mondo. Per congedarsi da questo e da ogni altro aspetto della fede scomodo al conformismo contemporaneo non ci si comporta pertanto come esegeti, come interpreti della Scrittura, ma come uomini del nostro tempo".

Da questi metodi discende per lui una conseguenza grave: "Alla fine, l'autorità sulla quale simili specialisti della Bibbia basano il loro giudizio non è la Bibbia stessa, ma la visione del mondo contemporanea al biblista. Il quale parla dunque come filosofo o come sociologo e la sua filosofia non consiste che in una banale, acritica adesione alle sempre provvisorie persuasioni dell'epoca".

Dunque, se ho ben capito, sarebbe il rovesciamento del tradizionale metodo di lavoro teologico: non più la Scrittura che giudica il "mondo", ma il "mondo" che giudica la Scrittura.

"In effetti - dice -. È la ricerca continua di un annuncio che presenti ciò che già sappiamo o che comunque sia gradito a chi ascolta. Comunque, per quanto è del Diavolo, la fede anche di oggi ne confessa, come sempre ha fatto, la realtà misteriosa e insieme oggettiva, personale. Ma il cristiano sa che chi teme Dio non deve temere niente e nessuno: il timore di Dio è fede, qualcosa di ben diverso da un timore servile, da una paura dei demoni. Eppure, il timore di Dio è anche qualcosa di molto diverso da un coraggio millantatore che non vuole vedere la serietà della realtà. È proprio del vero coraggio non nascondersi le dimensioni del pericolo, ma considerarle con realismo".

Secondo il Cardinale, la pastorale della Chiesa deve "trovare il linguaggio adatto per un contenuto sempre valido: la vita è una questione estremamente seria, dobbiamo stare attenti a non rifiutare la proposta di vita eterna, di eterna amicizia col Cristo che viene fatta a ciascuno. Non dobbiamo adagiarci nella mentalità di tanti credenti d'oggi, i quali pensano che basti comportarsi più o meno come si comporta la maggioranza e per forza tutto andrà bene".

Continua: "La catechesi deve tornare ad essere non un'opinione accanto a un'altra ma una certezza che attinge alla fede della Chiesa, con i suoi contenuti che sorpassano di gran lunga l'opinione diffusa. Invece, in non poca catechesi moderna la nozione di vita eterna si trova appena accennata, la questione della morte è solo sfiorata e, la maggior parte delle volte, lo è solo per interrogarsi sul come ritardarne l'arrivo o per renderne meno penose le condizioni. Sparito in tanti cristiani il senso escatologico, la morte è stata circondata dal silenzio, dalla paura o dal tentativo di banalizzarla. Per secoli la Chiesa ci ha insegnato a pregare perché la morte non ci sorprenda all'improvviso, dandoci tempo per prepararci; ora è proprio la morte improvvisa che viene considerata una grazia. Ma non accettare e non rispettare la morte significa non accettare e non rispettare neppure la vita".

Dal purgatorio al limbo

Sembra, dico, che l'escatologia cristiana (quando ancora se ne parla) sia ridotta al solo " paradiso ", anche se questo nome stesso fa problema, lo si scrive tra virgolette; non mancano neppure qui le voci per dissolverlo in qualche mito orientale. Saremmo tutti contenti - è ben chiaro - se nel nostro futuro non fosse possibile altro che la felicità eterna. E in effetti, chi rilegge i vangeli vi trova innanzitutto la buona notizia per eccellenza, l'annuncio consolante dell'amore senza fine e misura di Dio. Ma, accanto a questo, nei vangeli troviamo anche la chiara indicazione che uno scacco è possibile, che un nostro rifiuto dell'amore non è impossibile. Proprio perché " veri ", i vangeli non sono testi al contempo consolanti e impegnativi, proposte rivolte a uomini liberi e quindi aperti a diversi destini? Il purgatorio, ad esempio che fine ha fatto?

Lo vedo scuotere il capo: "Il fatto è che oggi tutti ci crediamo talmente buoni da non potere meritare altro che il paradiso! Qui c'è certamente la responsabilità di una cultura che, a forza di attenuanti e alibi, tende a sottrarre agli uomini il senso della loro colpa, del loro peccato. Qualcuno ha osservato che le ideologie che oggi dominano sono tutte unite da un comune dogma fondamentale: l'ostinata negazione del peccato, cioè proprio di quella realtà che la fede lega all'inferno, al purgatorio. Ma nel silenzio attorno al purgatorio c'è anche qualche altra responsabilità".

Quale?

"Lo scritturismo di origine protestante che è penetrato anche nella teologia cattolica. Per cui si afferma che non sarebbero sufficienti e sufficientemente chiari i testi della Scrittura su quello stato che la Tradizione ha chiamato " purgatorio " (forse il termine è tardivo, ma la realtà appare subito creduta dai cristiani). Ma questo scritturismo, ho già avuto occasione di dirlo, ha poco a che fare con il concetto cattolico di Scrittura, che va letta nella Chiesa e con la sua fede. lo dico che se il purgatorio non esistesse, bisognerebbe inventarlo".

E per qual motivo?

"Perché poche cose sono così spontanee, umane, universalmente diffuse - in ogni tempo, in ogni cultura - della preghiera per i propri cari defunti".

Calvino, il riformatore di Ginevra, fece frustare una donna sorpresa a pregare sulla tomba del figlio e dunque, secondo lui, colpevole di "superstizione".

"La Riforma in teoria non ammette purgatorio, dunque non ammette preghiera per i defunti. In realtà, almeno i luterani tedeschi nella pratica vi sono ritornati e trovano anche delle argomentazioni teologiche degne di attenzione per darle un fondamento. Pregare per i propri cari è un moto troppo spontaneo per soffocarlo; è una testimonianza bellissima di solidarietà, di amore, di aiuto che va al di là delle barriere della morte. Dal mio ricordo o dalla mia dimenticanza dipende un poco della felicità e dell'infelicità di chi mi fu caro ed è passato ora all'altra sponda ma non cessa di avere bisogno del mio amore".

Però, il concetto di " indulgenza -, ottenibile per se stessi in vita o per qualcuno in morte, sembra sparito dalla pratica e forse anche dalla catechesi ufficiale.

"Non direi sparito, direi indebolito, perché non ha evidenza nel pensiero attuale. La catechesi, però, non ha il diritto di ometterne il concetto. Non ci si dovrebbe vergognare di riconoscere che - in certi contesti culturali - la pastorale ha difficoltà a rendere comprensibile una verità della fede. Forse questo è il caso dell' "indulgenza". Ma i problemi di ritraduzione in linguaggio contemporaneo non significano certo che la verità di cui si tratta non sia più tale. E ciò valga per molti altri aspetti della fede".

Sempre a proposito di escatologia, è però sparito il "limbo", quel luogo intermedio dove andrebbero i bambini morti senza battesimo, dunque con la sola "macchia" del peccato originale. Non ce ne è più traccia, ad esempio, nei catechismi ufficiali dell'episcopato italiano.

"Il limbo non è mai stata verità definita di fede. Personalmente - parlando più che mai come teologo e non come Prefetto della Congregazione lascerei cadere questa che è sempre stata soltanto un'ipotesi teologica. Si trattava di una tesi secondaria a servizio di una verità che è assolutamente primaria per la fede: l'importanza del battesimo. Per dirla con le parole stesse di Gesù a Nicodemo: " In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio " (Gv 3,5). Si lasci pure cadere il concetto di " limbo " se è necessario (del resto, gli stessi teologi che lo sostenevano affermavano al contempo che i genitori potevano evitarlo al figlio con il desiderio del suo battesimo e la preghiera); ma non si lasci cadere la preoccupazione che lo sosteneva. Il battesimo non è mai stato, non è né mai sarà cosa accessoria per la fede".

Un servizio al mondo

E qui, dal battesimo risaliamo al peccato e dal peccato allo scomodo argomento da cui eravamo partiti.

Dice, per completare il suo pensiero: "Quanto più si capisce la santità di Dio, tanto più si capisce l'opposizione a ciò che è santo: e cioè, le ingannevoli maschere del Demonio. Esempio massimo di questo è Gesù Cristo stesso: accanto a Lui, il Santo per eccellenza, Satana non poteva nascondersi e la sua realtà era costretta continuamente a rivelarsi. Per questo si potrebbe forse dire che la sparizione della consapevolezza del demoniaco segnala una caduta parallela della santità. Il Diavolo può rifugiarsi nel suo elemento preferito, l'anonimato, quando non risplende, a svelarlo, la luce di chi è unito a Cristo".

Temo proprio, cardinal Ratzinger, che con simili discorsi l'aggrediranno ancora e ancor più violentemente con l'accusa di "oscurantismo".

"Non so che farci. Posso solo ricordare che un teologo così " libero da pregiudizi ", così " moderno " come Harvey Cox scrisse - ed era ancora nella sua fase secolarizzante, demitizzante -che " i mass media (specchio della nostra società) presentando certi modelli di comportamento, proponendo certi ideali umani, fanno appello ai demoni non esorcizzati che stanno in noi e attorno a noi ". Tanto che, per Cox stesso, da parte dei cristiani sarebbe "necessario tornare a chiare parole di esorcismo"".

Dunque, azzardo, la riscoperta dell'esorcismo come una sorta di "servizio sociale"?

Dice: "Chi vede con lucidità i baratri della nostra era vi vede all'opera potenze che si adoperano per disgregare i rapporti tra gli uomini. Il cristiano può allora scoprire che il suo compito di esorcista deve riacquistare quell'attualità che possedette agli inizi della fede. Il termine "esorcismo" non deve evidentemente essere inteso, qui, in senso tecnico ma indicare l'atteggiamento complessivo della fede che " vince il mondo " e ne scaccia il suo " Principe ".
Il cristiano sa - se giunge a scorgere davvero l'abisso - che è debitore di un servizio al mondo. Non lasciamoci contagiare da quella mentalità corrente secondo la quale " con un po' di buona volontà possiamo risolvere tutti i problemi ". In realtà, anche se non avessimo la fede ma fossimo davvero realisti, ci renderemmo conto che senza l'aiuto di una forza superiore - che per il cristiano è solo il suo Signore - siamo prigionieri di una storia insanabile".

Tutto questo non rischia di essere tacciato di pessimismo "?

"No di certo - risponde -, perché se restiamo uniti a Cristo siamo certi di ottenere la vittoria. Ce lo ripete anche Paolo: " Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell'armatura di Dio per potere resistere alle insidie del Diavolo... " (Ef 6,10 s.). Se guardiamo alla cultura laica più moderna, attenta, ci accorgiamo come l'ottimismo facile, ingenuo si stia rovesciando nel suo contrario: il pessimismo radicale, il nichilismo disperato. Può darsi dunque che quei cristiani accusati sino ad ora di essere " pessimisti " debbano aiutare i fratelli ad uscire dalla disperazione, proponendo loro l'ottimismo radicale - non ingannevole, questo - il cui nome è Gesù Cristo".

Degli angeli da non dimenticare

"Del Diavolo - ha detto qualcuno - si finisce sempre col parlare troppo o troppo poco". Denunciato il " troppo poco " di oggi, il Cardinale ci tiene a tornare sul rischio opposto del " troppo ": "Il mistero dell'iniquità è da inserire nella prospettiva cristiana fondamentale, quella della Risurrezione di Gesù Cristo e della vittoria sulle Potenze del Male. In un'ottica del genere, la libertà del cristiano e la sua tranquilla sicurezza " che scaccia il timore " (1 Gv 4,18) assumono tutta la loro dimensione: la verità esclude il timore e, per ciò stesso, consente di riconoscere la potenza del Maligno.
Se l'ambiguità è la caratteristica del fenomeno demoniaco, l'essenza del combattimento del cristiano contro il Demonio consiste nel vivere giorno per giorno alla chiarezza della luce della fede".

È stato poi notato che, per non squilibrare la verità cattolica, va ricordata ai credenti l'altra faccia della verità che la Chiesa, in accordo con la Scrittura, ha sempre professato: l'esistenza cioè degli angeli buoni di Dio, quegli spiriti che vivono in comunione con gli uomini con il compito di aiutarli nella quotidiana lotta.

Siamo naturalmente anche qui nel regno dello "scandaloso" per una mentalità moderna che crede di tutto sapere. Ma nella fede tout se tient, non si possono isolare o espellere mattoni del complesso edificio: agli angeli misteriosamente " decaduti " e ai quali è stato concesso un oscuro ruolo di tentatori, si affianca "la visione luminosa di un popolo spirituale unito agli uomini nella carità. Un mondo che ha grande spazio nella liturgia dell'Occidente e dell'Oriente cristiani e del quale fa parte la fiducia in quell'ulteriore prova di sollecitudine di Dio per gli uomini che è " l'angelo custode " dato a ciascuno al quale si rivolge una delle preghiere più amate e diffuse della cristianità. È una presenza benefica che la coscienza del popolo di Dio ha sempre colto come un segno concreto e ulteriore della Provvidenza, dell'interesse del Padre per i suoi figli".

Ma il Cardinale sottolinea che "la Realtà opposta alle categorie del demoniaco è la Terza Persona della Trinità, è lo Spirito Santo". Spiega: "Satana è per eccellenza il disgregatore, è il dissolutore di ogni rapporto: quello dell'uomo con se stesso e quelli degli uomini tra loro. È dunque il contrario esatto dello Spirito Santo, " Intermediario " assoluto che assicura il Rapporto sul quale tutti gli altri si fondano e dal quale derivano: il Rapporto trinitario, per mezzo del quale il Padre e il Figlio costituiscono una cosa sola, l'unico Dio nell'unità dello Spirito".

Il ritorno dello Spirito

Oggi, osservo, è in atto una riscoperta dello Spirito Santo, forse troppo dimenticato dalla teologia occidentale. È una riscoperta non solo teorica, ma che coinvolge crescenti masse popolari nei movimenti detti di "Rinnovamento carismatico" o "nello Spirito".

"È così - conferma -. Il periodo postconciliare è sembrato corrispondere ben poco alle speranze di Giovanni XXIII che si riprometteva una "novella Pentecoste". Tuttavia, la sua preghiera non è rimasta inascoltata: nel cuore di un mondo inaridito dallo scetticismo razionalistico è nata una nuova esperienza dello Spirito Santo che ha assunto l'ampiezza di un moto di rinnovamento su scala mondiale. Quanto il Nuovo Testamento scrive a proposito dei carismi che apparvero come segni visibili della venuta dello Spirito, non è più soltanto storia antica, finita per sempre: questa storia ridiventa oggi fremente di attualità".

Non è un caso - sottolinea a conferma della sua visione dello Spirito come antitesi al demoniaco che "mentre una teologia riduzionista tratta il Demonio e il mondo degli spiriti cattivi come una semplice etichetta, nel contesto del Rinnovamento è spuntata una nuova, concreta presa di coscienza delle Potenze del male, beninteso accanto alla serena certezza della Potenza di Cristo che tutte le sottomette".

Dovere istituzionale del Cardinale è però - qui come altrove - esaminare le possibili altre facce della medaglia. Per quanto attiene al movimento carismatico, avverte: "Bisogna innanzitutto salvaguardare l'equilibrio, guardarsi da un'enfasi esclusiva sullo Spirito che, lo ricorda Gesù stesso, non " parla da se stesso" ma vive e opera all'interno della vita trinitaria". Una simile enfasi, dice, "potrebbe portare ad opporre a una Chiesa organizzata sulla gerarchia (fondata a sua volta sul Cristo) una Chiesa " carismatica ", basata soltanto sulla "libertà dello Spirito ", una Chiesa che consideri se stessa come d'avvenimento sempre rinnovato".

"Salvaguardare l'equilibrio - continua - significa anche mantenere il giusto rapporto tra istituzione e carisma, tra fede comune della Chiesa ed esperienza personale. Una fede dogmatica senza esperienza personale resta vuota; una pura esperienza senza legami con la fede della Chiesa è cieca. Alla fine, non è il " noi " del gruppo che conta, bensì il grande " noi " della grande Chiesa universale; la quale, essa sola, può fornire il quadro adeguato per Il non spegnere lo Spirito e tenere ciò che è buono secondo l'esortazione dell'Apostolo".

Inoltre, per esaurire il panorama dei "rischi" "occorre guardarsi da un ecumenismo troppo facile per cui gruppi carismatici cattolici possono perdere di vista la loro identità e unirsi in modo acritico a forme di pentecostalismo di origine non cattolica, in nome appunto dello " Spirito " visto come opposto all'istituzione". I gruppi cattolici di Rinnovamento nello Spirito devono dunque "più che mai sentire cum Ecclesia, agire in ogni caso in comunione con il vescovo, anche per evitare i guasti che si presentano ogni volta che la Scrittura è sradicata dal suo contesto comunitario: il fondamentalismo, l'esoterismo, il settarismo".

Dopo avere messo in guardia dai rischi, il Prefetto vede comunque favorevolmente l'irrompere alla ribalta della Chiesa del movimento di Rinnovamento nello Spirito? "Certamente - conferma - si tratta di una speranza, di un positivo segno dei tempi, di un dono di Dio alla nostra epoca. È la riscoperta della gioia e della ricchezza del pregare contro teorie e prassi sempre più irrigidite e rinsecchite nel razionalismo secolarizzato. lo stesso ne ho constatato di persona l'efficacia: a Monaco, dal movimento mi sono giunte alcune buone vocazioni al sacerdozio. Come dicevo, alla pari di ogni realtà affidata all'uomo, anche questa è esposta a equivoci, a fraintendimenti, a esagerazioni. Il pericolo però sarebbe vedere solo i pericoli e non il dono offertoci dello Spirito. La necessaria cautela non cambia dunque il giudizio positivo di fondo".

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