mercoledì 23 gennaio 2013

Nel canto gregoriano la totale subordinazione dell'andamento melodico alla Scrittura (Rossi)

Nel canto gregoriano la totale subordinazione dell'andamento melodico alla Scrittura

Parola scolpita nel suono


di Mattia Rossi


San Paolo, nella lettera ai Romani, sottolinea come la fede nasca dall'ascolto (10, 17): in questo Anno della fede occorre più che mai soffermarsi sulla dichiarazione paolina e rileggerla anche in quel ramo dell'arte sacra, la musica, in cui l'ascolto è determinante. E nel canto gregoriano riscontriamo una piena e perfetta natura esegetica prima ancora che musicale: la totale subordinazione dell'andamento musicale gregoriano alla Parola fa sì che tale forma d'arte diventi lectio divina. La Chiesa, nel gregoriano, non si preoccupa solamente di “pronunciare” un testo, ma di “spiegarlo” e, proponendolo come “canto ufficiale”, garantisce una retta comprensione del fenomeno liturgico in quanto corretta manifestazione sonora del Verbo.

Questo, il canto gregoriano, non lo fa solamente in linea generale, ma anche con i singoli brani che, disseminati qua e là nel repertorio, trattano di fede.
Ecco due esempi, tra quelli più affascinanti, di come il gregoriano affronti il tema della fede.
Tra i brani meglio costruiti, da un punto di vista retorico, dell'intero corpus gregoriano si annovera senza dubbio il communio Lutum fecit della iv domenica di quaresima, detta “del cieco nato”, nel quale si cita il passo evangelico dove si narra il miracolo di Gesù che, spalmando del fango ottenuto con la sua saliva, ridona la vista a un cieco: Lutum fecit ex sputo Dominus, et linivit oculos meos: et abii, et lavi, et vidi, et credidi Deo («Il Signore fece del fango con la saliva e lo spalmò sui miei occhi: sono andato, mi sono lavato, ho veduto e ho creduto in Dio»), recita il testo dell'antifona. Il desiderio, incarnato dal cieco, di maturazione spirituale e di rinascita (simboleggiata dall'acqua della piscina di Siloe) nella fede, è perfettamente dipinto nella struttura compositiva del communio Lutum fecit. Il brano, nella sua generale semplice sillabicità, è interamente costruito in un clima di forte crescendo: a una leggerezza e freschezza ritmica di tutta la prima parte, corrisponde un forte aumento di tensione, accentuato anche dal quadruplice et... et... et... et... del testo, della seconda parte: et abii, et lavi, et vidi, et credidi Deo («sono venuto, mi sono lavato, ho visto e ho creduto in Dio»). Sul secondo verbo (et lavi) si assiste a un primo allargamento del ritmo destinato, poi, a sfociare intensamente sul terzo elemento della frase (et vidi): è in questo punto che il compositore gregoriano pone tutta la carica e la pesantezza ritmica.
Questo atteggiamento spiazza totalmente la nostra concezione: tutta la forza e la tensione musicale sono posti non sul finale, sull'«e ho creduto in Dio», come ci potremmo aspettare, ma sull'«ho visto» creando, così, un clima di forte attesa. È, del resto, una conseguenza della logica umana del cieco: era la vista che gli interessava ottenere. La fede, il credere in Dio, sembra, quasi, una conseguenza naturale del miracolo, tanto che et credidi Deo viene espresso con la semplicità, la naturalezza e la leggerezza con la quale il brano era iniziato. E la conferma di questo andamento musicale proiettivo, espressione di un processo di fede proiettato verso Dio, è posta sull'ultima sillaba di credidi sulla quale troviamo un neuma (“oriscus”) che indica un celere slancio verso ciò che segue (Deo) come se, ancora una volta, il compositore avesse voluto sottolineare il senso del cammino di fede.
Da un punto di vista testuale, risulterà, senza dubbio, più comprensibile l'inserimento in questa piccola antologia del communio della ii domenica di Pasqua Mitte manum nel quale si citano le parole che Gesù rivolge all'incredulo san Tommaso: Mitte manum tuam et cognosce loca clavorum, alleluia. Et noli esse incredulus sed fidelis, alleluia, alleluia («Metti la tua mano e senti il segno dei chiodi, alleluia. E non essere incredulo, ma credente, alleluia, alleluia»). Anche questo brano si presenta come molto semplice e inizia subito con tre termini molto forti e ognuno dei quali risulta, a suo modo, marcato. Con il verbo Mitte, metti, innanzitutto: è l'invito che Gesù rivolge a Tommaso, è l'azione grazie alla quale l'apostolo incredulo può aprirsi alla fede e viene rimarcata con un forte stacco alla prima nota. Manum, la seconda parola, è lo strumento tramite il quale Tommaso approda alla fede: un grande ampliamento della seconda sillaba (num) ingrandisce il termine e lo sottolinea unendolo a quello che segue. Tuam, metti la “tua” mano: è l'invito che Gesù, oggi, nella vitalità della Parola (Ebrei, 4, 12), rivolge all'incredulo Tommaso che c'è in ciascuno di noi: Mitte manum tuam tre parole distintamente sottolineate, ma che formano un'unica frase, un'unica esortazione ad aprirsi alla fede. Anche la congiunzione che segue, et, è fortemente ampliata al fine di creare attesa per la frase seguente: cognosce loca clavorum. Un et molto sospensivo che, dunque, prepara la provocazione di Gesù: «senti il segno dei chiodi!».
L'analisi di questo brano ci permette un'ulteriore riflessione. In genere, si ha un'idea di canto gregoriano come di una raccolta di “canti”: in realtà, quello che noi comodamente etichettiamo come “canto gregoriano” è, prima di tutto, una espressione sonora della Scrittura. E come ogni passo della Scrittura vive in relazione con un altro (si pensi, ad esempio, all'Antico in relazione al Nuovo Testamento), così ogni brano gregoriano rimanda a un altro e, anzi, esiste in funzione dell'altro. Non è una raccolta di singoli canti, ma, parafrasando, l'immagine sonora del “corpo” paolino nel quale ogni brano-membra, esiste solamente nella proiezione di un altro ma sempre e comunque al servizio dell'intero corpo.
Straordinaria, allora, per la comprensione di quanto affermato, è la seconda parte del brano Mitte manum fin qui analizzato, Et noli esse incredulus, sed fidelis: tale frase ha la stessa, precisa melodia di et linivit oculos meos del brano Lutum fecit, analizzato in precedenza. Questa è la retorica del gregoriano: due brani esteriormente slegati fra loro (uno quaresimale, l'altro pasquale) sono, in realtà, fortemente collegati da una identica melodia. È chiaro, dunque, che l'intento del compositore è squisitamente retorico: rinviare tra di loro i due brani in quanto appartenenti a un unico “argomento”, la fede.
In questi due brevi esempi si nota, sufficientemente bene, come occorra più che mai mutare la nostra prospettiva sul gregoriano: prima ancora di considerarlo quale fenomeno musicale, esso rappresenta una manifestazione della «viva ed efficace» (cfr. Ebrei, 4, 12) Parola di Dio. E, per noi ascoltatori di oggi, una stupenda omelia in musica.

(©L'Osservatore Romano 23 gennaio 2013)

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