TRASCRIZIONE
VIA CRUCIS AL COLOSSEO
DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Venerdì Santo, 14 aprile 2006
Cari fratelli e sorelle,
abbiamo accompagnato Gesù nella «Via Crucis». Lo abbiamo accompagnato qui, sulla strada dei martiri, nel Colosseo, dove tanti hanno sofferto per Cristo, hanno dato la vita per il Signore, dove il Signore stesso ha sofferto di nuovo in tanti.
E così abbiamo capito che la «Via Crucis» non è una cosa del passato, e di un determinato punto della terra. La Croce del Signore abbraccia il mondo; la sua «Via Crucis» attraversa i continenti ed i tempi. Nella «Via Crucis» non possiamo essere solo spettatori. Siamo coinvolti pure noi, perciò dobbiamo cercare il nostro posto: dove siamo noi?
Nella «Via Crucis» non c'è la possibilità di essere neutrali. Pilato, l'intellettuale scettico, ha cercato di essere neutrale, di stare fuori; ma, proprio così, ha preso posizione contro la giustizia, per il conformismo della sua carriera.
Dobbiamo cercare il nostro posto.
Nello specchio della Croce abbiamo visto tutte le sofferenze dell'umanità di oggi. Nella Croce di Cristo oggi abbiamo visto la sofferenza dei bambini abbandonati, abusati; le minacce contro la famiglia; la divisione del mondo nella superbia dei ricchi che non vedono Lazzaro davanti alla porta e la miseria di tanti che soffrono fame e sete.
Ma abbiamo anche visto "stazioni" di consolazione. Abbiamo visto la Madre, la cui bontà rimane fedele fino alla morte, e oltre la morte. Abbiamo visto la donna coraggiosa, che sta davanti al Signore e non ha paura di mostrare la solidarietà con questo Sofferente. Abbiamo visto Simone il Cireneo, un africano, che porta con Gesù la Croce.
Abbiamo visto, infine, attraverso queste "stazioni" di consolazione che, come non finisce la sofferenza, anche le consolazioni non finiscono. Abbiamo visto come, sulla "via della Croce", Paolo ha trovato lo zelo della sua fede e ha acceso la luce dell'amore. Abbiamo visto come sant'Agostino ha trovato la sua strada: così san Francesco d'Assisi, san Vincenzo de' Paoli, san Massimiliano Kolbe, Madre Teresa di Calcutta. E così anche noi siamo invitati a trovare la nostra posizione, a trovare con questi grandi, coraggiosi santi, la strada con Gesù e per Gesù: la strada della bontà, della verità; il coraggio dell'amore.
Abbiamo capito che la «Via Crucis» non è semplicemente una collezione delle cose oscure e tristi del mondo. Non è neppure un moralismo alla fine inefficiente. Non è un grido di protesta che non cambia niente. La «Via Crucis» è la via della misericordia, e della misericordia che pone il limite al male: così abbiamo imparato da Papa Giovanni Paolo II. È la via della misericordia e così la via della salvezza. E così veniamo invitati a prendere la via della misericordia e a porre con Gesù il limite al male.
Preghiamo il Signore perché ci aiuti, perché ci aiuti ad essere "contagiati" dalla sua misericordia. Preghiamo la Santa Madre di Gesù, la Madre della Misericordia, affinché anche noi possiamo essere uomini e donne della misericordia e così contribuire alla salvezza del mondo; alla salvezza delle creature; per essere uomini e donne di Dio.
Amen!
© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana
Il Signore mi chiama a "salire sul monte", a dedicarmi ancora di più alla preghiera... (Benedetto XVI, 24 febbraio 2013)
domenica 30 giugno 2013
Papa Francesco: ascoltiamo la coscienza in unione con il Padre come ha fatto Benedetto XVI
Il Papa: Gesù ci vuole liberi, ascoltiamo la coscienza in unione con il Padre come ha fatto Benedetto XVI
Gesù ci invita ad ascoltare la nostra coscienza in piena unione con il Padre, così saremo cristiani liberi e non "telecomandati": è quanto sottolineato da Papa Francesco all’Angelus, in Piazza San Pietro. Il Pontefice ha indicato Benedetto XVI come “grande esempio” in questo senso, giacché ha seguito con coraggio e discernimento la “volontà di Dio che parlava al suo cuore”. Nella Giornata della Carità del Papa, ha quindi espresso particolare gratitudine a quanti sostengono le sue iniziative caritative. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”. Papa Francesco svolge la sua meditazione partendo da questo passo del Vangelo domenicale e osserva che, una volta presa la decisione, Gesù chiede ai suoi discepoli di non “imporre nulla” a quanti incontreranno nel loro cammino:
“Gesù non impone mai: Gesù è umile. Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. E l’umiltà di Gesù è così: Lui ci invita sempre, non impone”.
“Tutto questo – ha osservato – ci fa pensare”, “ci dice, ad esempio, l’importanza che, anche per Gesù, ha avuto la coscienza: l’ascoltare nel suo cuore la voce del Padre e seguirla”:
“Gesù, nella sua esistenza terrena, non era, per così dire, ‘telecomandato’: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo, e a un certo punto ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l’ultima volta; una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui!”
Gesù, ha proseguito, “ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volontà”. E per questo “la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre”.
“E Gesù era libero: in quella decisione era libero! Gesù, a noi cristiani, ci vuole liberi, come Lui. Con quella libertà che viene dal dialogo con il Padre, da questo dialogo con Dio. Non vuole, Gesù, né cristiani egoisti che seguono il proprio Io e non parlano con Dio, né cristiani deboli, cristiani che non hanno volontà, cristiani telecomandati, incapaci di creatività, che cercano sempre di collegarsi alla volontà di un altro, e non sono liberi. Gesù ci vuole liberi e questa libertà, dove si fa? Si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza”.
“Se un cristiano non sa parlare con Dio, non sa sentire Dio nella propria coscienza – è stato il suo monito - non è libero”. “Anche noi – ha avvertito - dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza”:
“Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, che mi piace... Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio”.
La coscienza, ha soggiunto, “è il luogo interiore della mia relazione” con Dio, che “parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele”:
“Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio, meraviglioso: il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio, quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore”.
E “questo esempio”, ha aggiunto, “ci fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire”. La Madonna, “con grande semplicità”, ha poi rammentato, “ascoltava e meditava nell’intimo di se stessa la Parola di Dio e ciò che accadeva a Gesù” e “seguì il suo Figlio con intima convinzione, con ferma speranza”. Di qui l’invocazione affinché Maria ci aiuti “a diventare sempre più uomini e donne di coscienza, liberi nella coscienza”, “capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione”. Al momento dei saluti ai pellegrini, il Pontefice ha ricordato che in Italia si celebra la Giornata della carità del Papa:
“Desidero ringraziare i Vescovi e tutte le parrocchie, specialmente le più povere, per le preghiere e le offerte che sostengono tante iniziative pastorali e caritative del Successore di Pietro in ogni parte del mondo. Grazie a tutti!
© Copyright Radio Vaticana
Gesù ci invita ad ascoltare la nostra coscienza in piena unione con il Padre, così saremo cristiani liberi e non "telecomandati": è quanto sottolineato da Papa Francesco all’Angelus, in Piazza San Pietro. Il Pontefice ha indicato Benedetto XVI come “grande esempio” in questo senso, giacché ha seguito con coraggio e discernimento la “volontà di Dio che parlava al suo cuore”. Nella Giornata della Carità del Papa, ha quindi espresso particolare gratitudine a quanti sostengono le sue iniziative caritative. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”. Papa Francesco svolge la sua meditazione partendo da questo passo del Vangelo domenicale e osserva che, una volta presa la decisione, Gesù chiede ai suoi discepoli di non “imporre nulla” a quanti incontreranno nel loro cammino:
“Gesù non impone mai: Gesù è umile. Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. E l’umiltà di Gesù è così: Lui ci invita sempre, non impone”.
“Tutto questo – ha osservato – ci fa pensare”, “ci dice, ad esempio, l’importanza che, anche per Gesù, ha avuto la coscienza: l’ascoltare nel suo cuore la voce del Padre e seguirla”:
“Gesù, nella sua esistenza terrena, non era, per così dire, ‘telecomandato’: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo, e a un certo punto ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l’ultima volta; una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui!”
Gesù, ha proseguito, “ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volontà”. E per questo “la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre”.
“E Gesù era libero: in quella decisione era libero! Gesù, a noi cristiani, ci vuole liberi, come Lui. Con quella libertà che viene dal dialogo con il Padre, da questo dialogo con Dio. Non vuole, Gesù, né cristiani egoisti che seguono il proprio Io e non parlano con Dio, né cristiani deboli, cristiani che non hanno volontà, cristiani telecomandati, incapaci di creatività, che cercano sempre di collegarsi alla volontà di un altro, e non sono liberi. Gesù ci vuole liberi e questa libertà, dove si fa? Si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza”.
“Se un cristiano non sa parlare con Dio, non sa sentire Dio nella propria coscienza – è stato il suo monito - non è libero”. “Anche noi – ha avvertito - dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza”:
“Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, che mi piace... Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio”.
La coscienza, ha soggiunto, “è il luogo interiore della mia relazione” con Dio, che “parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele”:
“Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio, meraviglioso: il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio, quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore”.
E “questo esempio”, ha aggiunto, “ci fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire”. La Madonna, “con grande semplicità”, ha poi rammentato, “ascoltava e meditava nell’intimo di se stessa la Parola di Dio e ciò che accadeva a Gesù” e “seguì il suo Figlio con intima convinzione, con ferma speranza”. Di qui l’invocazione affinché Maria ci aiuti “a diventare sempre più uomini e donne di coscienza, liberi nella coscienza”, “capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione”. Al momento dei saluti ai pellegrini, il Pontefice ha ricordato che in Italia si celebra la Giornata della carità del Papa:
“Desidero ringraziare i Vescovi e tutte le parrocchie, specialmente le più povere, per le preghiere e le offerte che sostengono tante iniziative pastorali e caritative del Successore di Pietro in ogni parte del mondo. Grazie a tutti!
© Copyright Radio Vaticana
Francesco: Benedetto ha seguito la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore (AdnKronos)
Clicca qui per leggere il commento.
Papa Francesco su Benedetto XVI: questo esempio del nostro Padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire
Ecco la trascrizione delle parole pronunciate da Papa Francesco all'Angelus. La frase in cui definisce Benedetto "nostro Padre" e' stata aggiunta "a braccio":
Papa Francesco: "Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso. Il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro Padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire"
IL TESTO DELL'ANGELUS
IL VIDEO INTEGRALE
PODCAST DI RADIO VATICANA
Papa Francesco: "Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso. Il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro Padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire"
IL TESTO DELL'ANGELUS
IL VIDEO INTEGRALE
PODCAST DI RADIO VATICANA
Papa Bergoglio rende omaggio al suo predecessore (Giansoldati)
Il Papa elogia la scelta di Ratzinger e ricorda l'importanza della coscienza: «Gesù non era telecomandato»
di Franca Giansoldati
CITTA' DEL VATICANO
Papa Bergoglio rende omaggio al suo predecessore.
La rinuncia maturata da Benedetto XVI l'11 febbraio scorso costituisce un passaggio luminoso per tutti i cristiani, poiché frutto di una riflessione profonda e ancorata alla coerenza interiore. «Il Papa Benedetto XVI ci ha dato un grande esempio in questo senso, quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore». Parole che rispecchiano stima e affetto.
Dal giorno della sua elezione, avvenuta il 13 marzo, Francesco in diverse occasioni ha fatto riferimento al pontificato precedente e al teologo Ratzinger, citandolo nelle omelie e in diversi discorsi. Inoltre più di una volta ha espresso per il Papa emerito grande affetto e gratitudine. I rapporti personali tra i due papi sono "familiari" e, nella discrezione più assoluta capita anche che Francesco si rechi al monastero Mater Ecclesiae dove vive Ratzinger in Vaticano.
Poco dopo la sua elezione, dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro, uno dei primi pensieri di Francesco fu per il teologo bavarese: «E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca».
Anche stamattina, durante la preghiera dell'Angelus ha fatto riferimento a Ratzinger, parlando della centralità della coscienza di ogni uomo davanti a Dio. «Gesù, nella sua esistenza terrena, non era “telecomandato” - ha spiegato - Anche i cristiani devono essere non telecomandati ma liberi». Francesco ha sottolineato «l'importanza che, anche per Gesù, ha avuto la coscienza: l'ascoltare nel suo cuore la voce del Padre e seguirla. Gesù, nella sua esistenza terrena, non era per così dire 'telecomandato’: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo e, a un certo punto, ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l'ultima volta». È stata, ha spiegato il pontefice, «una decisione presa nella sua coscienza ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui. Ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo, della sua volontà. E per questo - ha concluso - la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre; e nel Padre, Gesù trovava la forza e la luce per il suo cammino». Poi il Papa dopom l’Angelus ha ricordato che oggi in Italia si celebra la Giornata della carità del Papa. E ha detto che desidera «ringraziare i vescovi e le parrocchie, specialmente le più povere, per le preghiere e e le offerte che sostengono tante iniziative pastorali e caritative del Successore di Pietro in ogni parte del mondo. Grazie a tutti».
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/vaticano/papa_francesco_ratzinger_angelus/notizie/298498.shtml
di Franca Giansoldati
CITTA' DEL VATICANO
Papa Bergoglio rende omaggio al suo predecessore.
La rinuncia maturata da Benedetto XVI l'11 febbraio scorso costituisce un passaggio luminoso per tutti i cristiani, poiché frutto di una riflessione profonda e ancorata alla coerenza interiore. «Il Papa Benedetto XVI ci ha dato un grande esempio in questo senso, quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore». Parole che rispecchiano stima e affetto.
Dal giorno della sua elezione, avvenuta il 13 marzo, Francesco in diverse occasioni ha fatto riferimento al pontificato precedente e al teologo Ratzinger, citandolo nelle omelie e in diversi discorsi. Inoltre più di una volta ha espresso per il Papa emerito grande affetto e gratitudine. I rapporti personali tra i due papi sono "familiari" e, nella discrezione più assoluta capita anche che Francesco si rechi al monastero Mater Ecclesiae dove vive Ratzinger in Vaticano.
Poco dopo la sua elezione, dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro, uno dei primi pensieri di Francesco fu per il teologo bavarese: «E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca».
Anche stamattina, durante la preghiera dell'Angelus ha fatto riferimento a Ratzinger, parlando della centralità della coscienza di ogni uomo davanti a Dio. «Gesù, nella sua esistenza terrena, non era “telecomandato” - ha spiegato - Anche i cristiani devono essere non telecomandati ma liberi». Francesco ha sottolineato «l'importanza che, anche per Gesù, ha avuto la coscienza: l'ascoltare nel suo cuore la voce del Padre e seguirla. Gesù, nella sua esistenza terrena, non era per così dire 'telecomandato’: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo e, a un certo punto, ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l'ultima volta». È stata, ha spiegato il pontefice, «una decisione presa nella sua coscienza ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui. Ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo, della sua volontà. E per questo - ha concluso - la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre; e nel Padre, Gesù trovava la forza e la luce per il suo cammino». Poi il Papa dopom l’Angelus ha ricordato che oggi in Italia si celebra la Giornata della carità del Papa. E ha detto che desidera «ringraziare i vescovi e le parrocchie, specialmente le più povere, per le preghiere e e le offerte che sostengono tante iniziative pastorali e caritative del Successore di Pietro in ogni parte del mondo. Grazie a tutti».
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/vaticano/papa_francesco_ratzinger_angelus/notizie/298498.shtml
Papa Francesco: Benedetto XVI ci ha dato un grande esempio seguendo la sua coscienza. Gesù non era telecomandato, seguiva la coscienza (Izzo)
PAPA: BENEDETTO XVI CI HA DATO GRANDE ESEMPIO SEGUENDO COSCIENZA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
"Benedetto XVI ci ha dato un grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere".
Con queste parole il nuovo Papa ha esaltato all'Angelus le qualita' morali del suo predecessore, che "ha seguito con grande senso di discernimento e coraggio - ha scandito Francesco - la sua coscienza, cioe' la volonta' di Dio che parlava al suo cuore". "Un esempio meraviglioso - ha spiegato - di cosa vuol dire seguire la volonta' di Gesu' nella coscienza".
"L'esempio del nostro padre - ha ripetuto - che ci fa bene, fa bene a ciascuno di noi seguirlo" .
Il Pontefice - eletto in seguito alla scelta dell'86enne Joseph Ratzinger che, sentendo venir meno le forze fische e d'animo ha voluto rinunciare al Ministero Petrino per il bene della Chiesa - gia' il 16 marzo riconobbe pubblicamente, era la sua prima udienza, l'azione dello Spirito Santo nella decisione di "Papa Benedetto", come lo ha chiamato anche oggi.
La sua meditazione all'Angelus e' stata tutta incentrata sul primato della coscienza. E si e' conclusa con un'invocazione alla Vergine che "con grande semplicita', ascoltava e meditava nell'intimo di se stessa la Parola di Dio". "Ci aiuti Maria - ha pregato Francesco - a diventare sempre piu' uomini e donne di coscienza, capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione".
© Copyright (AGI)
PAPA: GESU' NON ERA TELECOMANDATO, SEGUIVA COSCIENZA
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
"Gesu', nella sua esistenza terrena, non era, per cosi' dire, telecomandato".
Papa Francesco ha voluto chiarirlo nella riflessione proposta oggi ai 60 mila fedeli di piazza San Pietro, dedicata al primato della coscienza del quale il Signore stesso - con il suo Sacrificio - rappresenta il primo esempio. "Gesu' - ha spiegato - a noi cristiani ci vuole liberi come lui, non cristiani egositi che seguono il proprio io, telecomandati che cercano un collegamento con un altro. Se non segue Dio nella propria coscienza un uomo non e' libero".
"La coscienza - ha spiegato il Papa - e' lo spazio interiore dell'ascolto della verita', del bene, dell'ascolto di Dio; e' il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele".
Il Vangelo di oggi, ha ricordato il Papa, descrive "la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l'ultima volta; una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui".
Per Francesco, "Gesu' ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volonta'. E per questo la decisione era ferma, perche' presa insieme con il Padre. E nel Padre Gesu' trovava la forza e la luce per il suo cammino".
"II Vangelo - ha osservato Papa Bergoglio - mostra un passaggio molto importante nella vita di Cristo: Gerusalemme e' la meta finale, dove Gesu', nella sua ultima Pasqua, deve morire e risorgere, e cosi' portare a compimento la sua missione di salvezza".
"Dopo quella ferma decisione - infatti - punta dritto al traguardo, e anche alle persone che incontra e che gli chiedono di seguirlo, dice chiaramente quali sono le condizioni: non avere una dimora stabile; sapersi distaccare dagli affetti familiari; non cedere alla nostalgia del passato".
© Copyright (AGI)
Salvatore Izzo
(AGI) - CdV, 30 giu.
"Benedetto XVI ci ha dato un grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere".
Con queste parole il nuovo Papa ha esaltato all'Angelus le qualita' morali del suo predecessore, che "ha seguito con grande senso di discernimento e coraggio - ha scandito Francesco - la sua coscienza, cioe' la volonta' di Dio che parlava al suo cuore". "Un esempio meraviglioso - ha spiegato - di cosa vuol dire seguire la volonta' di Gesu' nella coscienza".
"L'esempio del nostro padre - ha ripetuto - che ci fa bene, fa bene a ciascuno di noi seguirlo" .
Il Pontefice - eletto in seguito alla scelta dell'86enne Joseph Ratzinger che, sentendo venir meno le forze fische e d'animo ha voluto rinunciare al Ministero Petrino per il bene della Chiesa - gia' il 16 marzo riconobbe pubblicamente, era la sua prima udienza, l'azione dello Spirito Santo nella decisione di "Papa Benedetto", come lo ha chiamato anche oggi.
La sua meditazione all'Angelus e' stata tutta incentrata sul primato della coscienza. E si e' conclusa con un'invocazione alla Vergine che "con grande semplicita', ascoltava e meditava nell'intimo di se stessa la Parola di Dio". "Ci aiuti Maria - ha pregato Francesco - a diventare sempre piu' uomini e donne di coscienza, capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione".
© Copyright (AGI)
PAPA: GESU' NON ERA TELECOMANDATO, SEGUIVA COSCIENZA
Salvatore Izzo
"Gesu', nella sua esistenza terrena, non era, per cosi' dire, telecomandato".
Papa Francesco ha voluto chiarirlo nella riflessione proposta oggi ai 60 mila fedeli di piazza San Pietro, dedicata al primato della coscienza del quale il Signore stesso - con il suo Sacrificio - rappresenta il primo esempio. "Gesu' - ha spiegato - a noi cristiani ci vuole liberi come lui, non cristiani egositi che seguono il proprio io, telecomandati che cercano un collegamento con un altro. Se non segue Dio nella propria coscienza un uomo non e' libero".
"La coscienza - ha spiegato il Papa - e' lo spazio interiore dell'ascolto della verita', del bene, dell'ascolto di Dio; e' il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele".
Il Vangelo di oggi, ha ricordato il Papa, descrive "la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l'ultima volta; una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui".
Per Francesco, "Gesu' ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volonta'. E per questo la decisione era ferma, perche' presa insieme con il Padre. E nel Padre Gesu' trovava la forza e la luce per il suo cammino".
"II Vangelo - ha osservato Papa Bergoglio - mostra un passaggio molto importante nella vita di Cristo: Gerusalemme e' la meta finale, dove Gesu', nella sua ultima Pasqua, deve morire e risorgere, e cosi' portare a compimento la sua missione di salvezza".
"Dopo quella ferma decisione - infatti - punta dritto al traguardo, e anche alle persone che incontra e che gli chiedono di seguirlo, dice chiaramente quali sono le condizioni: non avere una dimora stabile; sapersi distaccare dagli affetti familiari; non cedere alla nostalgia del passato".
© Copyright (AGI)
Una delegazione di Frisinga è andata a trovare Benedetto XVI
Clicca qui per leggere la notizia e vedere la foto segnalateci da Fabiola.
Papa Francesco: l'esempio di Benedetto XVI che ha seguito la sua coscienza, cioè la volontà di Dio (Ambrogetti)
Clicca qui per leggere il commento.
sabato 29 giugno 2013
Joseph Ratzinger, la nuova vita del Papa emerito in Vaticano: le foto su "Oggi"
Clicca qui per vedere le foto segnalateci da Laura e Carmelina.
Papa Francesco fa pulizia con le carte segrete passate da Benedetto XVI (Marchese Ragona)
Il Papa fa pulizia con le carte segrete passate da Ratzinger
Francesco non perde tempo e avvia la "rivoluzione vaticana". Collaborazione con i pm: cambiare la banca è il primo passo
Fabio Marchese Ragona
In molti lo avevano capito sin da subito, da quei primissimi giorni del suo pontificato: «Bergoglio farà pulizia dentro il Vaticano». E così è stato.
Quello scatolone bianco messo in bella mostra, lo scorso 23 marzo, durante l'incontro storico tra i due papi a Castel Gandolfo aveva fatto intendere che qualcosa Oltretevere stava davvero per cambiare.
Se all'interno del pacco vi fossero le carte del Vatileaks, documenti riguardanti lo Ior o semplice corrispondenza, nessuno potrà mai saperlo; l'unica cosa certa è che da quel giorno il clima di veleni regnante fino a poco tempo prima, aveva iniziato a lasciare spazio a un clima di cambiamento senza precedenti.
Papa Francesco non ha perso tempo: il suo primo passo importante per avviare la «rivoluzione vaticana» è stato quello di nominare un gruppo di otto cardinali-consiglieri che, da ottobre, lo aiuteranno a riformare la Curia romana e lo Ior, il discusso istituto per le opere di religione. Qualche giorno fa inoltre Francesco, dopo aver nominato un prelato di sua fiducia per l'istituto finanziario, ha istituito una commissione pontificia di referenti, presieduta dal cardinale Raffaele Farina, che dovrà acquisire dati e documenti dello Ior per consegnarli direttamente al Papa, che vuol capire bene i meccanismi dell'istituto prima della riforma.
Cambiare la «banca vaticana» è, infatti, uno dei «pallini» del Pontefice argentino e l'arresto, ieri mattina, di monsignor Nunzio Scarano, nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Roma sull'istituto finanziario d'Oltretevere, non può che far comprendere come grazie a Bergoglio le acque dentro le sacre mura stiano iniziando a ripulirsi.
Don Scarano, classe 1952, originario di Salerno con una passione per l'immobiliare, era stato sospeso un mese fa dall'incarico di responsabile della contabilità nella sezione straordinaria dell'Apsa, l'amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, una sorta di Banca Centrale vaticana. I superiori avevano sospeso Scarano in via cautelativa, dopo aver saputo di un'altra indagine a suo carico da parte della Procura di Salerno. Da quel giorno tra le stradine del Vaticano non si è parlato d'altro: don Nunzio, essendo dipendente della Santa Sede, era titolare anche di un conto allo Ior, frequentava da cliente l'istituto e chi lo conosce dentro la città leonina, lo descrive come un sacerdote preciso e attento, ma dalla faccia d'angelo e con le tasche piene di soldi. Nonostante ciò in molti, tra laici ed ecclesiastici, credono nella sua buona fede, almeno fino a quando non ci sarà un pronunciamento definitivo della giustizia nei suoi confronti.
«Non bisogna scandalizzarsi» dice al Giornale il cardinale Velasio De Paolis, porporato di Curia e membro dell'Apsa, «bisogna aspettare la verità, e che i giudici facciano il loro cammino - spiega -. Dobbiamo sempre essere onesti. Anche noi sacerdoti possiamo sbagliare, siamo esseri umani, non siamo infallibili. Ma è anche vero che, se innocenti, siamo esposti di più a essere colpiti». Il cardinale, 77 anni, presidente emerito della prefettura degli Affari economici della Santa Sede (la «Corte dei Conti» vaticana) è convinto che prima di emettere giudizi su monsignor Scarano sia necessario aspettare l'eventuale ultimo grado di giudizio o comunque la decisione della magistratura: «C'è sempre tempo per condannare - dice il porporato -, ma se la persona che si condanna adesso pubblicamente poi viene assolta, questa rimarrà per sempre rovinata».
Di certo c'è che dentro il Palazzo Apostolico, la notizia dell'arresto di monsignor Scarano (chiamato da molti «monsignor 500» per la sua abitudine a pagare con banconote di grossa taglia) è arrivata come un fulmine a ciel sereno: «Il lavoro di pulizia del Papa sta portando buoni frutti» sussurra un altro anziano cardinale, «la Curia deve cambiare e mi pare che le cose stiano andando per il verso giusto». Nel frattempo il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha fatto sapere che la Santa Sede «non ha ancora ricevuto alcuna richiesta sulla questione dalle competenti autorità italiane, ma conferma la sua disponibilità a una piena collaborazione».
© Copyright Il Giornale, 29 giugno 2013
Francesco non perde tempo e avvia la "rivoluzione vaticana". Collaborazione con i pm: cambiare la banca è il primo passo
Fabio Marchese Ragona
In molti lo avevano capito sin da subito, da quei primissimi giorni del suo pontificato: «Bergoglio farà pulizia dentro il Vaticano». E così è stato.
Quello scatolone bianco messo in bella mostra, lo scorso 23 marzo, durante l'incontro storico tra i due papi a Castel Gandolfo aveva fatto intendere che qualcosa Oltretevere stava davvero per cambiare.
Se all'interno del pacco vi fossero le carte del Vatileaks, documenti riguardanti lo Ior o semplice corrispondenza, nessuno potrà mai saperlo; l'unica cosa certa è che da quel giorno il clima di veleni regnante fino a poco tempo prima, aveva iniziato a lasciare spazio a un clima di cambiamento senza precedenti.
Papa Francesco non ha perso tempo: il suo primo passo importante per avviare la «rivoluzione vaticana» è stato quello di nominare un gruppo di otto cardinali-consiglieri che, da ottobre, lo aiuteranno a riformare la Curia romana e lo Ior, il discusso istituto per le opere di religione. Qualche giorno fa inoltre Francesco, dopo aver nominato un prelato di sua fiducia per l'istituto finanziario, ha istituito una commissione pontificia di referenti, presieduta dal cardinale Raffaele Farina, che dovrà acquisire dati e documenti dello Ior per consegnarli direttamente al Papa, che vuol capire bene i meccanismi dell'istituto prima della riforma.
Cambiare la «banca vaticana» è, infatti, uno dei «pallini» del Pontefice argentino e l'arresto, ieri mattina, di monsignor Nunzio Scarano, nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Roma sull'istituto finanziario d'Oltretevere, non può che far comprendere come grazie a Bergoglio le acque dentro le sacre mura stiano iniziando a ripulirsi.
Don Scarano, classe 1952, originario di Salerno con una passione per l'immobiliare, era stato sospeso un mese fa dall'incarico di responsabile della contabilità nella sezione straordinaria dell'Apsa, l'amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, una sorta di Banca Centrale vaticana. I superiori avevano sospeso Scarano in via cautelativa, dopo aver saputo di un'altra indagine a suo carico da parte della Procura di Salerno. Da quel giorno tra le stradine del Vaticano non si è parlato d'altro: don Nunzio, essendo dipendente della Santa Sede, era titolare anche di un conto allo Ior, frequentava da cliente l'istituto e chi lo conosce dentro la città leonina, lo descrive come un sacerdote preciso e attento, ma dalla faccia d'angelo e con le tasche piene di soldi. Nonostante ciò in molti, tra laici ed ecclesiastici, credono nella sua buona fede, almeno fino a quando non ci sarà un pronunciamento definitivo della giustizia nei suoi confronti.
«Non bisogna scandalizzarsi» dice al Giornale il cardinale Velasio De Paolis, porporato di Curia e membro dell'Apsa, «bisogna aspettare la verità, e che i giudici facciano il loro cammino - spiega -. Dobbiamo sempre essere onesti. Anche noi sacerdoti possiamo sbagliare, siamo esseri umani, non siamo infallibili. Ma è anche vero che, se innocenti, siamo esposti di più a essere colpiti». Il cardinale, 77 anni, presidente emerito della prefettura degli Affari economici della Santa Sede (la «Corte dei Conti» vaticana) è convinto che prima di emettere giudizi su monsignor Scarano sia necessario aspettare l'eventuale ultimo grado di giudizio o comunque la decisione della magistratura: «C'è sempre tempo per condannare - dice il porporato -, ma se la persona che si condanna adesso pubblicamente poi viene assolta, questa rimarrà per sempre rovinata».
Di certo c'è che dentro il Palazzo Apostolico, la notizia dell'arresto di monsignor Scarano (chiamato da molti «monsignor 500» per la sua abitudine a pagare con banconote di grossa taglia) è arrivata come un fulmine a ciel sereno: «Il lavoro di pulizia del Papa sta portando buoni frutti» sussurra un altro anziano cardinale, «la Curia deve cambiare e mi pare che le cose stiano andando per il verso giusto». Nel frattempo il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha fatto sapere che la Santa Sede «non ha ancora ricevuto alcuna richiesta sulla questione dalle competenti autorità italiane, ma conferma la sua disponibilità a una piena collaborazione».
© Copyright Il Giornale, 29 giugno 2013
L’operazione trasparenza di Benedetto XVI e il peso dei veleni (Gagliarducci)
L’operazione trasparenza di Benedetto XVI e il peso dei veleni
Raccontano in Vaticano che da tempo Nunzio Scarano, l’impiegato dell’Apsa arrestato ieri, non era visto di buon occhio nei corridoi vaticani. Che da tempo era stato fatto sapere che sarebbe stato...
Raccontano in Vaticano che da tempo Nunzio Scarano, l’impiegato dell’Apsa arrestato ieri, non era visto di buon occhio nei corridoi vaticani. Che da tempo era stato fatto sapere che sarebbe stato meglio allontanarlo dall’incarico. E che questo non è mai avvenuto. Fino ai fatti di ieri. Ma Nunzio Scarano - ha ricordato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede - «era già stato sospeso da oltre un mese», non appena «i superiori erano stati informati che era indagato», come da Regolamento della Curia Romana. Il Papa è stao informato, e l’Autorità di Informazione Finanziaria, intanto, sta seguendo il problema, e sta valutando che decisioni prendere.
Le frasi di padre Lombardi e le indiscrezioni sull’attività di padre Scarano all’interno dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica raccontano due facce di una stessa medaglia. La prima, che troppe volte, e troppo spesso, resistenze interne o anche una certa incuria di Curia hanno impedito ai dicasteri romani di muoversi. La seconda, che l’Autorità di Informazione Finanziaria voluta da Benedetto XVI è ormai il nodo su cui si centra tutto il controllo delle finanze vaticane. Perché sotto Benedetto XVI è stata avviata una operazione trasparenza senza precedenti, che adegua le strutture finanziarie della Santa Sede ai segni dei tempi (in linguaggio ecclesiastico) e agli standard internazionali (in linguaggio laico).
Papa Francesco ha ripreso con forza in mano l’operazione trasparenza avviata da Benedetto XVI. Più volte, nelle sue omelie private e pubbliche, nei suoi discorsi, ha sottolineato l’esigenza di una «Chiesa povera per i poveri», spiegando poi che «questo non è pauperismo». La finanza non è il fine per il Vaticano. È un mezzo attraverso il quale aiutare le missioni sparse per il mondo, facendo arrivare magari il denaro in canali sicuri alle suore in Vietnam per poter costruire un ospedale.
Tutto questo Papa Francesco lo sa. E lo sapeva anche Benedetto XVI. Già sotto il suo pontificato, la Santa Sede aveva firmato un accordo monetario con l’Europa, e aveva avviato il processo di modernizzazione della struttura finanziaria. Prima la legge antiriciclaggio, poi l’ingresso in Moneyval, il comitato del Consiglio Europeo che valuta l’aderenza dei Paesi membri agli standard internazionali, e poi una revisione della legge antiriciclaggio, sollecitata proprio dall’Europa. E nel frattempo, i veleni, il dibattito interno allo stesso Vaticano; la sfiducia votata al presidente del board dei laici dello Ior Gotti Tedeschi dal suo stesso consiglio; la lunga attesa per un nuovo presidente, individuato poi nel tedesco von Freyberg, impegnato ora in una grande operazione di comunicazione positiva. Situazioni che, aggiunte alla vecchiaia, alle lotte di potere mai sopportate, a quel mordere e divorare già censito da Papa Ratzinger, hanno logorato Benedetto XVI. Papa Francesco ora è chiamato a prendere con vigore l’operazione di trasparenza, e a imprimergli la svolta decisiva.
And. Gag.
© Copyright Il Tempo, 29 giugno 2013
Raccontano in Vaticano che da tempo Nunzio Scarano, l’impiegato dell’Apsa arrestato ieri, non era visto di buon occhio nei corridoi vaticani. Che da tempo era stato fatto sapere che sarebbe stato...
Raccontano in Vaticano che da tempo Nunzio Scarano, l’impiegato dell’Apsa arrestato ieri, non era visto di buon occhio nei corridoi vaticani. Che da tempo era stato fatto sapere che sarebbe stato meglio allontanarlo dall’incarico. E che questo non è mai avvenuto. Fino ai fatti di ieri. Ma Nunzio Scarano - ha ricordato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede - «era già stato sospeso da oltre un mese», non appena «i superiori erano stati informati che era indagato», come da Regolamento della Curia Romana. Il Papa è stao informato, e l’Autorità di Informazione Finanziaria, intanto, sta seguendo il problema, e sta valutando che decisioni prendere.
Le frasi di padre Lombardi e le indiscrezioni sull’attività di padre Scarano all’interno dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica raccontano due facce di una stessa medaglia. La prima, che troppe volte, e troppo spesso, resistenze interne o anche una certa incuria di Curia hanno impedito ai dicasteri romani di muoversi. La seconda, che l’Autorità di Informazione Finanziaria voluta da Benedetto XVI è ormai il nodo su cui si centra tutto il controllo delle finanze vaticane. Perché sotto Benedetto XVI è stata avviata una operazione trasparenza senza precedenti, che adegua le strutture finanziarie della Santa Sede ai segni dei tempi (in linguaggio ecclesiastico) e agli standard internazionali (in linguaggio laico).
Papa Francesco ha ripreso con forza in mano l’operazione trasparenza avviata da Benedetto XVI. Più volte, nelle sue omelie private e pubbliche, nei suoi discorsi, ha sottolineato l’esigenza di una «Chiesa povera per i poveri», spiegando poi che «questo non è pauperismo». La finanza non è il fine per il Vaticano. È un mezzo attraverso il quale aiutare le missioni sparse per il mondo, facendo arrivare magari il denaro in canali sicuri alle suore in Vietnam per poter costruire un ospedale.
Tutto questo Papa Francesco lo sa. E lo sapeva anche Benedetto XVI. Già sotto il suo pontificato, la Santa Sede aveva firmato un accordo monetario con l’Europa, e aveva avviato il processo di modernizzazione della struttura finanziaria. Prima la legge antiriciclaggio, poi l’ingresso in Moneyval, il comitato del Consiglio Europeo che valuta l’aderenza dei Paesi membri agli standard internazionali, e poi una revisione della legge antiriciclaggio, sollecitata proprio dall’Europa. E nel frattempo, i veleni, il dibattito interno allo stesso Vaticano; la sfiducia votata al presidente del board dei laici dello Ior Gotti Tedeschi dal suo stesso consiglio; la lunga attesa per un nuovo presidente, individuato poi nel tedesco von Freyberg, impegnato ora in una grande operazione di comunicazione positiva. Situazioni che, aggiunte alla vecchiaia, alle lotte di potere mai sopportate, a quel mordere e divorare già censito da Papa Ratzinger, hanno logorato Benedetto XVI. Papa Francesco ora è chiamato a prendere con vigore l’operazione di trasparenza, e a imprimergli la svolta decisiva.
And. Gag.
© Copyright Il Tempo, 29 giugno 2013
Le dimissioni di Benedetto XVI e il successivo Conclave sono uno spartiacque impossibile da rimuovere (Franco)
Clicca qui per leggere l'articolo.
Fa piacere vedere con quanta sollecitudine ed attenzione i giornali seguono l'opera di pulizia di Papa Francesco. Stamattina in tanti ammettono che l'operazione trasparenza, in realta', e' iniziata con Benedetto XVI. Mi sembra un importante passo in avanti che pero' mi porta ad una domanda: perche' Joseph Ratzinger non e' stato appoggiato con la stessa efficacia dai mass media? Tutta la rimozione della sporcizia sulla pedofilia e sulle finanze vaticane non solo meritava attenzione ma sarebbe stato saggio che godesse del sostegno di tutti, dentro e fuori la chiesa.
Ora tale sostegno c'e', ma rimane il rammarico nel constatare come sia stato deleterio l'anticipo di antipatia dei mezzi di comunicazione verso Benedetto XVI che ha impedito un aiuto concreto nei confronti del suo lavoro.
Fa piacere vedere con quanta sollecitudine ed attenzione i giornali seguono l'opera di pulizia di Papa Francesco. Stamattina in tanti ammettono che l'operazione trasparenza, in realta', e' iniziata con Benedetto XVI. Mi sembra un importante passo in avanti che pero' mi porta ad una domanda: perche' Joseph Ratzinger non e' stato appoggiato con la stessa efficacia dai mass media? Tutta la rimozione della sporcizia sulla pedofilia e sulle finanze vaticane non solo meritava attenzione ma sarebbe stato saggio che godesse del sostegno di tutti, dentro e fuori la chiesa.
Ora tale sostegno c'e', ma rimane il rammarico nel constatare come sia stato deleterio l'anticipo di antipatia dei mezzi di comunicazione verso Benedetto XVI che ha impedito un aiuto concreto nei confronti del suo lavoro.
venerdì 28 giugno 2013
Benedetto XVI: Ireneo non si limita a definire il concetto di Tradizione. La Tradizione di cui egli parla, ben diversa dal tradizionalismo, è una Tradizione sempre internamente animata dallo Spirito Santo, che la rende viva e la fa essere rettamente compresa dalla Chiesa. Stando al suo insegnamento, la fede della Chiesa va trasmessa in modo che appaia quale deve essere, cioè «pubblica», «unica», «pneumatica», «spirituale»
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 28 marzo 2007
Sant’Ireneo di Lione
Cari fratelli e sorelle,
nelle catechesi sulle grandi figure della Chiesa dei primi secoli arriviamo oggi alla personalità eminente di sant’Ireneo di Lione. Le notizie biografiche su di lui provengono dalla sua stessa testimonianza, tramandata a noi da Eusebio nel quinto libro della Storia Ecclesiastica. Ireneo nacque con tutta probabilità a Smirne (oggi Izmir, in Turchia) verso il 135-140, dove ancor giovane fu alla scuola del Vescovo Policarpo, discepolo a sua volta dell’apostolo Giovanni. Non sappiamo quando si trasferì dall’Asia Minore in Gallia, ma lo spostamento dovette coincidere con i primi sviluppi della comunità cristiana di Lione: qui, nel 177, troviamo Ireneo annoverato nel collegio dei presbiteri. Proprio in quell’anno egli fu mandato a Roma, latore di una lettera della comunità di Lione al Papa Eleuterio. La missione romana sottrasse Ireneo alla persecuzione di Marco Aurelio, nella quale caddero almeno quarantotto martiri, tra cui lo stesso Vescovo di Lione, il novantenne Potino, morto di maltrattamenti in carcere. Così, al suo ritorno, Ireneo fu eletto Vescovo della città. Il nuovo Pastore si dedicò totalmente al ministero episcopale, che si concluse verso il 202-203, forse con il martirio.
Ireneo è innanzitutto un uomo di fede e un Pastore. Del buon Pastore ha il senso della misura, la ricchezza della dottrina, l’ardore missionario. Come scrittore, persegue un duplice scopo: difendere la vera dottrina dagli assalti degli eretici, ed esporre con chiarezza le verità della fede.
A questi fini corrispondono esattamente le due opere che di lui ci rimangono: i cinque libri Contro le eresie, e l’Esposizione della predicazione apostolica (che si può anche chiamare il più antico «catechismo della dottrina cristiana»). In definitiva, Ireneo è il campione della lotta contro le eresie. La Chiesa del II secolo era minacciata dalla cosiddetta gnosi, una dottrina la quale affermava che la fede insegnata nella Chiesa sarebbe solo un simbolismo per i semplici, che non sono in grado di capire cose difficili; invece, gli iniziati, gli intellettuali – gnostici, si chiamavano – avrebbero capito quanto sta dietro questi simboli, e così avrebbero formato un cristianesimo elitario, intellettualista. Ovviamente questo cristianesimo intellettualista si frammentava sempre più in diverse correnti con pensieri spesso strani e stravaganti, ma attraenti per molti. Un elemento comune di queste diverse correnti era il dualismo, cioè si negava la fede nell’unico Dio Padre di tutti, Creatore e Salvatore dell’uomo e del mondo. Per spiegare il male nel mondo, essi affermavano l’esistenza, accanto al Dio buono, di un principio negativo. Questo principio negativo avrebbe prodotto le cose materiali, la materia.
Radicandosi saldamente nella dottrina biblica della creazione, Ireneo confuta il dualismo e il pessimismo gnostico che svalutavano le realtà corporee. Egli rivendicava decisamente l’originaria santità della materia, del corpo, della carne, non meno che dello spirito. Ma la sua opera va ben oltre la confutazione dell’eresia: si può dire infatti che egli si presenta come il primo grande teologo della Chiesa, che ha creato la teologia sistematica; egli stesso parla del sistema della teologia, cioè dell’interna coerenza di tutta la fede. Al centro della sua dottrina sta la questione della «Regola della fede» e della sua trasmissione. Per Ireneo la «Regola della fede» coincide in pratica con il Credo degli Apostoli, e ci dà la chiave per interpretare il Vangelo. Il Simbolo apostolico, che è una sorta di sintesi del Vangelo, ci aiuta a capire che cosa vuol dire, come dobbiamo leggere il Vangelo stesso.
Di fatto il Vangelo predicato da Ireneo è quello che egli ha ricevuto da Policarpo, Vescovo di Smirne, e il Vangelo di Policarpo risale all’apostolo Giovanni, di cui Policarpo era discepolo. E così il vero insegnamento non è quello inventato dagli intellettuali al di là della fede semplice della Chiesa. Il vero Evangelo è quello impartito dai Vescovi, che lo hanno ricevuto in una catena ininterrotta dagli Apostoli. Questi non hanno insegnato altro che questa fede semplice, che è anche la vera profondità della rivelazione di Dio. Così – ci dice Ireneo – non c’è una dottrina segreta dietro il comune Credo della Chiesa. Non esiste un cristianesimo superiore per intellettuali. La fede pubblicamente confessata dalla Chiesa è la fede comune di tutti. Solo questa fede è apostolica, viene dagli Apostoli, cioè da Gesù e da Dio. Aderendo a questa fede trasmessa pubblicamente dagli Apostoli ai loro successori, i cristiani devono osservare quanto i Vescovi dicono, devono considerare specialmente l’insegnamento della Chiesa di Roma, preminente e antichissima. Questa Chiesa, a causa della sua antichità, ha la maggiore apostolicità, infatti trae origine dalle colonne del Collegio apostolico, Pietro e Paolo.
Con la Chiesa di Roma devono accordarsi tutte le Chiese, riconoscendo in essa la misura della vera tradizione apostolica, dell’unica fede comune della Chiesa. Con tali argomenti, qui molto brevemente riassunti, Ireneo confuta dalle fondamenta le pretese di questi gnostici, di questi intellettuali: anzitutto essi non posseggono una verità che sarebbe superiore a quella della fede comune, perché quanto essi dicono non è di origine apostolica, è inventato da loro; in secondo luogo, la verità e la salvezza non sono privilegio e monopolio di pochi, ma tutti le possono raggiungere attraverso la predicazione dei successori degli Apostoli, e soprattutto del Vescovo di Roma.
In particolare – sempre polemizzando con il carattere «segreto» della tradizione gnostica e notandone gli esiti molteplici e fra loro contraddittori – Ireneo si preoccupa di illustrare il genuino concetto di Tradizione apostolica, che possiamo riassumere in tre punti.
a) La Tradizione apostolica è «pubblica», non privata o segreta.
Per Ireneo non c’è alcun dubbio che il contenuto della fede trasmessa dalla Chiesa è quello ricevuto dagli Apostoli e da Gesù, dal Figlio di Dio. Non esiste altro insegnamento che questo.
Pertanto chi vuole conoscere la vera dottrina basta che conosca «la Tradizione che viene dagli Apostoli e la fede annunciata agli uomini»: Tradizione e fede che «sono giunte fino a noi attraverso la successione dei Vescovi» (Contro le eresie 3,3,3-4). Così successione dei Vescovi – principio personale – e Tradizione apostolica – principio dottrinale – coincidono.
b) La Tradizione apostolica è «unica».
Mentre infatti lo gnosticismo è suddiviso in molteplici sètte, la Tradizione della Chiesa è unica nei suoi contenuti fondamentali, che – come abbiamo visto – Ireneo chiama appunto regula fidei o veritatis: e così perché è unica, crea unità attraverso i popoli, attraverso le culture diverse, attraverso i popoli diversi; è un contenuto comune come la verità, nonostante la diversità delle lingue e delle culture. C’è una frase molto preziosa di sant’Ireneo nel primo libro Contro le eresie: «La Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, custodisce con cura [la fede degli Apostoli], come se abitasse una casa sola; allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica e la stessa: le Chiese fondate nelle Germanie non hanno ricevuto né trasmettono una fede diversa, né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo» (1,10,1-2). Si vede già in questo momento, siamo intorno all’anno 200, l’universalità della Chiesa, la sua cattolicità e la forza unificante della verità, che unisce queste realtà così diverse, dalla Germania, alla Spagna, all’Italia, all’Egitto, alla Libia, nella comune verità rivelataci da Cristo.
c) Infine, la Tradizione apostolica è – come lui dice nella lingua greca nella quale ha scritto il suo libro – «pneumatica», cioè guidata dallo Spirito Santo (in greco «spirito» si dice pneuma). Non si tratta infatti di una trasmissione affidata all’abilità di uomini più o meno dotti, ma allo Spirito di Dio, che garantisce la fedeltà della trasmissione della fede.
E’ questa la «vita» della Chiesa, ciò che rende la Chiesa sempre fresca e giovane, cioè feconda di molteplici carismi. Chiesa e Spirito per Ireneo sono inseparabili: «Questa fede», leggiamo ancora nel terzo libro Contro le eresie, «l’abbiamo ricevuta dalla Chiesa e la custodiamo: la fede, per opera dello Spirito di Dio, come un deposito prezioso custodito in un vaso di valore ringiovanisce sempre e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene ... Dove è la Chiesa, lì è lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa e ogni grazia» (3,24,1).
Come si vede, Ireneo non si limita a definire il concetto di Tradizione. La Tradizione di cui egli parla, ben diversa dal tradizionalismo, è una Tradizione sempre internamente animata dallo Spirito Santo, che la rende viva e la fa essere rettamente compresa dalla Chiesa. Stando al suo insegnamento, la fede della Chiesa va trasmessa in modo che appaia quale deve essere, cioè «pubblica», «unica», «pneumatica», «spirituale».
A partire da ciascuna di queste caratteristiche si può condurre un fruttuoso discernimento circa l'autentica trasmissione della fede nell’oggi della Chiesa. Più in generale, nella dottrina di Ireneo la dignità dell’uomo, corpo e anima, è saldamente ancorata nella creazione divina, nell’immagine di Cristo e nell’opera permanente di santificazione dello Spirito. Tale dottrina è come una «via maestra» per chiarire insieme a tutte le persone di buona volontà l’oggetto e i confini del dialogo sui valori, e per dare slancio sempre nuovo all’azione missionaria della Chiesa, alla forza della verità, che è la fonte di tutti i veri valori del mondo.
© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana
Piazza San Pietro
Mercoledì, 28 marzo 2007
Sant’Ireneo di Lione
Cari fratelli e sorelle,
nelle catechesi sulle grandi figure della Chiesa dei primi secoli arriviamo oggi alla personalità eminente di sant’Ireneo di Lione. Le notizie biografiche su di lui provengono dalla sua stessa testimonianza, tramandata a noi da Eusebio nel quinto libro della Storia Ecclesiastica. Ireneo nacque con tutta probabilità a Smirne (oggi Izmir, in Turchia) verso il 135-140, dove ancor giovane fu alla scuola del Vescovo Policarpo, discepolo a sua volta dell’apostolo Giovanni. Non sappiamo quando si trasferì dall’Asia Minore in Gallia, ma lo spostamento dovette coincidere con i primi sviluppi della comunità cristiana di Lione: qui, nel 177, troviamo Ireneo annoverato nel collegio dei presbiteri. Proprio in quell’anno egli fu mandato a Roma, latore di una lettera della comunità di Lione al Papa Eleuterio. La missione romana sottrasse Ireneo alla persecuzione di Marco Aurelio, nella quale caddero almeno quarantotto martiri, tra cui lo stesso Vescovo di Lione, il novantenne Potino, morto di maltrattamenti in carcere. Così, al suo ritorno, Ireneo fu eletto Vescovo della città. Il nuovo Pastore si dedicò totalmente al ministero episcopale, che si concluse verso il 202-203, forse con il martirio.
Ireneo è innanzitutto un uomo di fede e un Pastore. Del buon Pastore ha il senso della misura, la ricchezza della dottrina, l’ardore missionario. Come scrittore, persegue un duplice scopo: difendere la vera dottrina dagli assalti degli eretici, ed esporre con chiarezza le verità della fede.
A questi fini corrispondono esattamente le due opere che di lui ci rimangono: i cinque libri Contro le eresie, e l’Esposizione della predicazione apostolica (che si può anche chiamare il più antico «catechismo della dottrina cristiana»). In definitiva, Ireneo è il campione della lotta contro le eresie. La Chiesa del II secolo era minacciata dalla cosiddetta gnosi, una dottrina la quale affermava che la fede insegnata nella Chiesa sarebbe solo un simbolismo per i semplici, che non sono in grado di capire cose difficili; invece, gli iniziati, gli intellettuali – gnostici, si chiamavano – avrebbero capito quanto sta dietro questi simboli, e così avrebbero formato un cristianesimo elitario, intellettualista. Ovviamente questo cristianesimo intellettualista si frammentava sempre più in diverse correnti con pensieri spesso strani e stravaganti, ma attraenti per molti. Un elemento comune di queste diverse correnti era il dualismo, cioè si negava la fede nell’unico Dio Padre di tutti, Creatore e Salvatore dell’uomo e del mondo. Per spiegare il male nel mondo, essi affermavano l’esistenza, accanto al Dio buono, di un principio negativo. Questo principio negativo avrebbe prodotto le cose materiali, la materia.
Radicandosi saldamente nella dottrina biblica della creazione, Ireneo confuta il dualismo e il pessimismo gnostico che svalutavano le realtà corporee. Egli rivendicava decisamente l’originaria santità della materia, del corpo, della carne, non meno che dello spirito. Ma la sua opera va ben oltre la confutazione dell’eresia: si può dire infatti che egli si presenta come il primo grande teologo della Chiesa, che ha creato la teologia sistematica; egli stesso parla del sistema della teologia, cioè dell’interna coerenza di tutta la fede. Al centro della sua dottrina sta la questione della «Regola della fede» e della sua trasmissione. Per Ireneo la «Regola della fede» coincide in pratica con il Credo degli Apostoli, e ci dà la chiave per interpretare il Vangelo. Il Simbolo apostolico, che è una sorta di sintesi del Vangelo, ci aiuta a capire che cosa vuol dire, come dobbiamo leggere il Vangelo stesso.
Di fatto il Vangelo predicato da Ireneo è quello che egli ha ricevuto da Policarpo, Vescovo di Smirne, e il Vangelo di Policarpo risale all’apostolo Giovanni, di cui Policarpo era discepolo. E così il vero insegnamento non è quello inventato dagli intellettuali al di là della fede semplice della Chiesa. Il vero Evangelo è quello impartito dai Vescovi, che lo hanno ricevuto in una catena ininterrotta dagli Apostoli. Questi non hanno insegnato altro che questa fede semplice, che è anche la vera profondità della rivelazione di Dio. Così – ci dice Ireneo – non c’è una dottrina segreta dietro il comune Credo della Chiesa. Non esiste un cristianesimo superiore per intellettuali. La fede pubblicamente confessata dalla Chiesa è la fede comune di tutti. Solo questa fede è apostolica, viene dagli Apostoli, cioè da Gesù e da Dio. Aderendo a questa fede trasmessa pubblicamente dagli Apostoli ai loro successori, i cristiani devono osservare quanto i Vescovi dicono, devono considerare specialmente l’insegnamento della Chiesa di Roma, preminente e antichissima. Questa Chiesa, a causa della sua antichità, ha la maggiore apostolicità, infatti trae origine dalle colonne del Collegio apostolico, Pietro e Paolo.
Con la Chiesa di Roma devono accordarsi tutte le Chiese, riconoscendo in essa la misura della vera tradizione apostolica, dell’unica fede comune della Chiesa. Con tali argomenti, qui molto brevemente riassunti, Ireneo confuta dalle fondamenta le pretese di questi gnostici, di questi intellettuali: anzitutto essi non posseggono una verità che sarebbe superiore a quella della fede comune, perché quanto essi dicono non è di origine apostolica, è inventato da loro; in secondo luogo, la verità e la salvezza non sono privilegio e monopolio di pochi, ma tutti le possono raggiungere attraverso la predicazione dei successori degli Apostoli, e soprattutto del Vescovo di Roma.
In particolare – sempre polemizzando con il carattere «segreto» della tradizione gnostica e notandone gli esiti molteplici e fra loro contraddittori – Ireneo si preoccupa di illustrare il genuino concetto di Tradizione apostolica, che possiamo riassumere in tre punti.
a) La Tradizione apostolica è «pubblica», non privata o segreta.
Per Ireneo non c’è alcun dubbio che il contenuto della fede trasmessa dalla Chiesa è quello ricevuto dagli Apostoli e da Gesù, dal Figlio di Dio. Non esiste altro insegnamento che questo.
Pertanto chi vuole conoscere la vera dottrina basta che conosca «la Tradizione che viene dagli Apostoli e la fede annunciata agli uomini»: Tradizione e fede che «sono giunte fino a noi attraverso la successione dei Vescovi» (Contro le eresie 3,3,3-4). Così successione dei Vescovi – principio personale – e Tradizione apostolica – principio dottrinale – coincidono.
b) La Tradizione apostolica è «unica».
Mentre infatti lo gnosticismo è suddiviso in molteplici sètte, la Tradizione della Chiesa è unica nei suoi contenuti fondamentali, che – come abbiamo visto – Ireneo chiama appunto regula fidei o veritatis: e così perché è unica, crea unità attraverso i popoli, attraverso le culture diverse, attraverso i popoli diversi; è un contenuto comune come la verità, nonostante la diversità delle lingue e delle culture. C’è una frase molto preziosa di sant’Ireneo nel primo libro Contro le eresie: «La Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, custodisce con cura [la fede degli Apostoli], come se abitasse una casa sola; allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica e la stessa: le Chiese fondate nelle Germanie non hanno ricevuto né trasmettono una fede diversa, né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo» (1,10,1-2). Si vede già in questo momento, siamo intorno all’anno 200, l’universalità della Chiesa, la sua cattolicità e la forza unificante della verità, che unisce queste realtà così diverse, dalla Germania, alla Spagna, all’Italia, all’Egitto, alla Libia, nella comune verità rivelataci da Cristo.
c) Infine, la Tradizione apostolica è – come lui dice nella lingua greca nella quale ha scritto il suo libro – «pneumatica», cioè guidata dallo Spirito Santo (in greco «spirito» si dice pneuma). Non si tratta infatti di una trasmissione affidata all’abilità di uomini più o meno dotti, ma allo Spirito di Dio, che garantisce la fedeltà della trasmissione della fede.
E’ questa la «vita» della Chiesa, ciò che rende la Chiesa sempre fresca e giovane, cioè feconda di molteplici carismi. Chiesa e Spirito per Ireneo sono inseparabili: «Questa fede», leggiamo ancora nel terzo libro Contro le eresie, «l’abbiamo ricevuta dalla Chiesa e la custodiamo: la fede, per opera dello Spirito di Dio, come un deposito prezioso custodito in un vaso di valore ringiovanisce sempre e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene ... Dove è la Chiesa, lì è lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa e ogni grazia» (3,24,1).
Come si vede, Ireneo non si limita a definire il concetto di Tradizione. La Tradizione di cui egli parla, ben diversa dal tradizionalismo, è una Tradizione sempre internamente animata dallo Spirito Santo, che la rende viva e la fa essere rettamente compresa dalla Chiesa. Stando al suo insegnamento, la fede della Chiesa va trasmessa in modo che appaia quale deve essere, cioè «pubblica», «unica», «pneumatica», «spirituale».
A partire da ciascuna di queste caratteristiche si può condurre un fruttuoso discernimento circa l'autentica trasmissione della fede nell’oggi della Chiesa. Più in generale, nella dottrina di Ireneo la dignità dell’uomo, corpo e anima, è saldamente ancorata nella creazione divina, nell’immagine di Cristo e nell’opera permanente di santificazione dello Spirito. Tale dottrina è come una «via maestra» per chiarire insieme a tutte le persone di buona volontà l’oggetto e i confini del dialogo sui valori, e per dare slancio sempre nuovo all’azione missionaria della Chiesa, alla forza della verità, che è la fonte di tutti i veri valori del mondo.
© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana
Le radici dell'astio nei confronti di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Kung invoca un nuovo Concilio. Nel 2013? No...nel 1985
LE RADICI DELL'ASTIO NEI CONFRONTI DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI. LO SPECIALE DEL BLOG
Cari amici, eccoci al quarto tassello del nostro studio.
Siamo di nuovo a Kung che, negli anni, non ha mai cambiato strategia. Scrive un articolo in tedesco che poi viene tradotto in tutte le lingue. Allora, come ora, e' Repubblica che si incarica del compito per l'Italia.
Anche questo articolo, risalente al 1985, sembra scritto un giorno fa.
Kung rispolvera il suo argomento del cuore: un Concilio Vaticano III. Certo! Fa impressione la data di questa riflessione. A vent'anni dalla chiusura del Vaticano II si invoca la convocazione di una nuova Assemblea. E per discutere che cosa? I temi che ancora oggi sono sul tappeto per Kung: celibato dei preti, sessualità, liberta' di coscienza e di insegnamento della teologia (come se non ci fosse gia'!), apertura al mondo, ecumenismo all'acqua di rose etc.
L'articolo e' un attacco a Giovanni Paolo II ed all'allora cardinale Ratzinger.
Si parla addirittura di inquisizione. Ma dove? Ma quando? Vediamo oggi i frutti della liberta' di coscienza e soprattutto di insegnamento di tanti teologi, soprattutto nel nord Europa.
E' ancora piu' chiaro dove affondano le radici dell'astio nei confronti di Ratzinger-Benedetto XVI.
Egli, in perfetta sintonia con Papa Wojtyla, ha parlato della Verita' del Cristianesimo mettendo in guardia verso l'apertura indiscriminata alle istanze del relativismo.
Ovvio che questo approccio doveva essere fermamente combattuto da chi, invece, sognava una Chiesa che non parlasse chiaro ma in modo sfumato.
Se essa avesse dato retta a Kung gia' dal 1985 dove sarebbe ora?
Difficile dirlo cosi' come e' difficile non ammettere che Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger, sul piano teologico, si sono scontrati con chi godeva della massima considerazioni sui mass media e nelle universita'.
Il potere della telecrazia...e ritorniamo alla splendida omelia pronunciata dall'allora arcivescovo di Monaco e Frisinga il 10 agosto 1978, a pochi giorni dalla morte di Paolo VI. Clicca qui per rileggere il testo.
R.
CHIEDO UN NUOVO CONCILIO
05 ottobre 1985 — pagina 26 sezione: CULTURA
di HANS KUNG
E' VERO che il Concilio Vaticano II viene enfaticamente evocato da Giovanni Paolo II, così come da Ratzinger. Ma entrambi contrappongono a tutti gli "spiriti maligni del Concilio" il "vero Concilio", che, lungi dal segnare un nuovo inizio, è semplicemente la continuazione del passato.
Gli innegabili testi conservatori del Vaticano II, imposti dal gruppo curiale (la "nota praevia" sui privilegi papali venne formalmente imposta al Concilio da Paolo VI), sono interpretati con lo sguardo rivolto risolutamente al passato, mentre le sue epocali aperture al futuro vengono ignorate in punti fondamentali: invece delle parole programmatiche del Concilio, di nuovo le parole d' ordine di un magistero autoritario; invece dell' "aggiornamento" nello spirito del Vangelo, di nuovo la cosiddetta "dottrina cattolica" tradizionale; invece della "collegialità" del Papa con i vescovi, di nuovo un irrigidito centralismo romano; invece dell' "apertura" al mondo moderno, di nuovo una crescente lamentazione e deprecazione del presunto "adattamento"; invece dell' "ecumenismo", di nuovo l' accentuazione di tutto ciò che è strettamente cattolico-romano; non si parla più della distinzione tra Chiesa di Cristo e Chiesa cattolico-romana, tra la sostanza della dottrina della fede e il suo rivestimento linguistico storico, e di una "gerarchia delle verità".
Con tutto ciò il Vaticano non galleggia come un semplice turacciolo sulle onde di una corrente mondiale conservatrice. No, esso fa politica, molto attivamente e, per quanto riguarda l' America centrale e latina (come ha ammesso pubblicamente e con energia il presidente Reagan) addirittura in diretto accordo con la Casa Bianca. Il tutto senza preoccuparsi della delusione e della frustrazione della base: ad esempio persino i più modesti desiderata intraecclesiali ed ecumenici dei sinodi tedesco, austriaco e svizzero - che hanno lavorato per anni con idealismo e con largo sacrificio di tempo e di denaro -, sono stati respinti senza alcuna giustificazione da una Curia soddisfatta di sè; chi continua a interessarsi a che vengano accolti? E intanto il numero dei praticanti, dei battesimi e dei matrimoni in chiesa continua a diminuire...
Nonostante tutto, il giuridismo, il clericalismo e il trionfalismo romani, pur aspramente criticati dai vescovi del Concilio, rinascono a vita nuova, ringiovaniti artificialmente e in veste rammodernata: soprattutto nel "nuovo" diritto ecclesiastico (Cic), che, contro le intenzioni del Concilio, non pone alcun limite al potere del Papa, della Curia e dei nunzi; anzi, riduce l' importanza dei Concili ecumenici, assegna compiti puramente consultivi alle conferenze episcopali, riconduce i laici alla piena sudditanza nei confronti della gerarchia e ignora sistematicamente la dimensione ecumenica. Questo "diritto" della Chiesa viene tradotto dalla Curia in una politica molto pratica, anche durante le frequenti assenze del Papa, mediante una quantità di nuovi documenti, decreti, esortazioni e istruzioni: dai decreti sul paradiso e l' inferno fino al rifiuto, altamente ideologico, dell' ordinazione delle donne; dal divieto della predicazione dei laici (ora valido anche per i relatori e le relatrici pastorali formati teologicamente) fino alla proibizione del servizio delle donne all' altare; dal diretto intervento curiale nei grandi ordini religiosi (elezione del generale dei gesuiti, statuto delle carmelitane, visita inquisitoria delle congregazioni femminili americane) fino ai ben noti procedimenti disciplinari nei confronti dei teologi.
Al tempo del Concilio sarebbe sembrato incredibile: l' Inquisizione, che cambia continuamente il proprio nome (ora si chiama "Congregazione per la dottrina della fede") e un po' anche i propri metodi (ora ricorre a un tono più dolce, a "colloqui informativi" e ad azioni dietro le quinte), ma non certo i propri princìpi (procedura segreta, rifiuto della visione degli atti, dell' assistenza giuridica e dell' appello: la stessa autorità accusa e giudica), è tornata a lavorare a pieno regime, specialmente contro i moralisti nord-americani, i dogmatici dell' Europa centrale, i teologi latino-americani e africani della liberazione. Viene invece favorita con tutti i mezzi l' organizzazione segreta spagnola "Opus Dei", un' istituzione teologicamente e politicamente reazionaria, immischiata nelle banche, nelle università e nei governi, che ostenta tratti medievali e controriformistici e che questo Papa, il quale le era vicino già a Cracovia, ha sottratto al controllo dei vescovi. La catena delle contraddizioni si prolunga: un continuo parlare di diritti umani, ma nessuna giustizia concreta per i teologi e per le suore; violente proteste contro le discriminazioni nella società, ma all' interno della Chiesa la discriminazione viene praticata nei confronti delle donne; una lunga enciclica sulla misericordia, ma nessuna misericordia concreta per i divorziati e i sacerdoti sposati (circa 70.000, di cui 7.000 nella sola Germania) e così via. Anche sotto questo profilo, "anni magri". Più discordia che concordia Sull' utilità dei viaggi papali si è parlato molto nei mass media, e nessuno contesta che per singole persone e per determinati paesi questi viaggi abbiano avuto un significato positivo. Alcuni impulsi spirituali saranno pur scaturiti dagli innumerevoli discorsi, appelli e servizi religiosi. Ma per la Chiesa vista nel suo complesso? In molti paesi i viaggi papali non hanno forse suscitato grandi speranze di cambiamenti, speranze che poi sono state amaramente deluse? Forse che in una sola delle tante nazioni visitate si è fatto qualcosa di decisivo per migliorare la situazione? Per quanto riguarda la sua patria polacca, il Papa ha indubbiamente sopravvalutato la propria possibilità di imporre reali mutamenti politici; ed ora deve assistere impotente allo spettacolo di un popolo passato dall' entusiasmo alla rassegnazione. Nell' Europa occidentale e negli Stati Uniti, gli antagonismi tra quanti, nella Chiesa, guardano conciliarmente in avanti e i tradizionalisti, invece che superati, sono stati rafforzati e inaspriti; spesso, invece di curare le ferite della Chiesa, questo Papa le inasprisce, favorendo così, involontariamente, più la discordia che la concordia. Una censura vaticana preventiva impedisce per lo più che nei suoi viaggi il Papa si confronti con i veri problemi del clero e del popolo; egli non va per ascoltare, ma per insegnare. Quando però - come in Svizzera e in Olanda - è costretto a confrontarsi con domande non censurate, risulta evidente quanto poco, in realtà, il magistero abbia da dire sui bisogni più pressanti degli uomini e dei loro pastori. Ciò salta agli occhi soprattutto per ciò che riguarda i problemi delle donne. Contro le donne moderne, che cercano una forma di vita adeguata ai tempi, questo Papa conduce una battaglia quasi spettrale: dal divieto alle donne di servire all' altare al divieto della contraccezione, a quello dell' ordinazione delle donne e della modernizzazione degli ordini femminili. Ma non ci si illuda: la questione femminile è destinata a diventare sempre più il test di questo pontificato. In America latina, a causa della campagna vaticana contro la teologia della liberazione - oltre che per la "penitenza del silenzio" imposta al professore brasiliano Leonardo Boff e per l' indegno trattamento riservato da Roma a cardinali e vescovi latino-americani - il Papa ha finito per perdere la simpatia di cui godeva in quei paesi. Ora anche là ci si comincia a rendere sempre più chiaramente conto dell' ambiguità di molti dei suoi appelli sociali. E anche in Africa, dove all' inizio l' entusiasmo delle masse era particolarmente grande, si va diffondendo la freddezza, come è accaduto per i viaggi papali in Svizzera e in Olanda (dove per la prima volta sono stati notevolmente pochi i curiosi!): al di là di tutte le adesioni verbali all' "africanizzazione" della Chiesa, il Papa ha polemizzato duramente con la "teologia africana" e non ha dimostrato la minima comprensione per tradizioni tribali - certamente problematiche, ma profondamente radicate - come il "matrimonio graduale" (prima un figlio e poi il matrimonio) e il primitivo ordinamento poligamico (che, com' è noto, si incontra anche presso i Patriarchi di Israele), e anche il matrimonio dei preti, di fatto largamente tollerato. L' annuncio programmatico "Crescete e moltiplicatevi", fatto risuonare per tutta l' Africa, assieme alla condanna (in sè contraddittoria) dell' aborto e della contraccezione, secondo molti commenti della stampa, rende il Papa corresponsabile dell' esplosione demografica, della fame e della penosa miseria cronica di milioni e milioni di bambini. La canonizzazione come "martire della castità" di una suora assassinata e la consacrazione di una cattedrale (l' architetto è italiano) costata trentacinque milioni di marchi, la più grande dell' Africa, ad Abidjan nel cuore di una povertà indescrivibile, ignorano la realtà africana quanto le prediche in favore della continenza sessuale (o del metodo Ogino-Knaus) e del celibato. Molti si chiedono: a che servono tutti i discorsi sociali in favore dell' umanità, della giustizia e della pace, se la Chiesa risulta assente soprattutto su quei problemi politico-sociali ai quali essa potrebbe arrecare un contributo determinante? Ciò vale, non da ultimo, per l' intero campo dell' ecumenismo. E' triste constatare come in nessun punto, sotto questo pontificato, sia stato raggiunto un reale progresso ecumenico. Al contrario; i non cattolici parlano di campagne propagandistiche cattolico-romane del Papa, in quanto in pratica i loro rappresentanti vengono ricevuti come statisti, e non come partners di pari dignità. Tutto ciò ha portato al raffredarsi, estremamente preoccupante, del clima ecumenico, alla delusione e alla frustrazione tra le persone di sentimenti ecumenici di tutte le Chiese e, purtroppo, anche al rinascere dei vecchi complessi anticattolici di paura e degli atteggiamenti difensivi scomparsi durante i "sette anni grassi". Il Rapporto sulla fede di Ratzinger ci dirà chiaramente che cosa si deve pensare dei solenni discorsi romani in materia di ecumenismo. Il ristagno intraecclesiale e quello ecumenico - blocco dei mutamenti reali e inflazione delle parole inconcludenti - vanno di pari passo. Vescovi tra due fuochi Per fortuna, però, il movimento conciliare ed ecumenico, benchè ostacolato continuamente dall' alto, va avanti nella base, nelle singole comunità. La conseguenza non può essere che una crescente estraniazione della "Chiesa dall' alto" dalla "Chiesa dal basso"; estraniazione che arriva all' indifferenza. Più che mai oggi dipende dal singolo parroco e dai singoli laici impegnati che una comunità sia pastoralmente viva, liturgicamente attiva, ecumenicamente impegnata e socialmente interessata. Ma tra Roma e le comunità ci sono i vescovi; e ad essi in questa crisi spetta un ruolo decisivo. I vescovi - che in molti paesi d' Europa, America, Africa e anche Asia, sono notevolmente più aperti ai bisogni e alle speranze degli uomini che non molti curiali del quartier generale - si trovano attualmente tra due fuochi: quello delle attese della base e quello degli ordini di Roma. A volte il Papa in persona interviene presso di loro affinchè prendano pubblicamente posizione contro l' ordinazione delle donne o la contraccezione. Anzi gli càpita di andare addirittura in bestia se - di fronte alla crescente carenza di sacerdoti e a una pastorale languente (fra cinque o dieci anni non solo nella Svizzera di lingua tedesca, ma anche in altri paesi solo la metà delle parrocchie potrebbe essere curata da parroci!) - deve confrontarsi col fatto di decine di migliaia di sacerdoti sposati, i cui rappresentanti proprio recentemente hanno tenuto alle porte di Roma un loro proprio sinodo, chiedendo di venire riammessi al servizio della Chiesa. In vista dei mutamenti a lungo termine, per il Vaticano - come per ogni altro sistema politico - è di capitale importanza la politica personale. E in vista dell' attuale svolta della politica romana, il privilegio (riservato alla Curia dai casi della storia) delle nomine dei vescovi è indubbiamente lo strumento principale, se si prescinde dalle nomine dei cardinali, da sempre competenza di Roma, e dall' appoggio accordato ai teologi ligi al sistema. Solo poche diocesi hanno conservato alcuni limitati diritti dell' antica elezione del vescovo da parte del clero e del popolo (elezione che, come è noto, costituisce un fondamentale punto controverso anche tra il Vaticano e la Repubblica Popolare Cinese, che è favorevole all' autoamministrazione delle Chiese). La strategia a lungo termine di Roma (come conferma anche Ratzinger) è più che mai quella di sostituire l' episcopato aperto del periodo post-conciliare con vescovi dottrinariamente ligi (in maniera particolarmente deplorevole in Olanda; a Parigi, a Detroit e in Vaticano sono stati preferiti candidati di origine polacca o slava), che vengono sottoposti ad esame per ciò che riguarda la loro ortodossia ed impegnati con giuramento: press' a poco come avviene nell' Urss per gli alti funzionari. Ma non è soltanto nei grandi ordini dei gesuiti, dei domenicani e dei francescani che si avanzano riserve nei confronti del Papa autoritario; nella stessa Curia romana ci si lamenta e si ironizza sulla "slavofilia" del Papa e sulla "polonizzazione" della Chiesa. Un appello Lo strumento tattico adeguato alla strategia a lungo termine di un' ampia restaurazione e di una definitiva sottomissione dell' ancora troppo autonomo episcopato è, per il Vaticano, l' imminente sinodo dei vescovi. Esso si propone di verificare i risultati del Vaticano II e di formularne criteri interpretativi, le linee direttrici e le delimitazioni (cattolico - non cattolico!). Si noti bene: invece di un sinodo "ordinario" (per il quale i vescovi stessi potrebbero eleggere i loro rappresentati) Roma ha convocato, senza urgenza, un sinodo "straordinario". In questo tipo di sinodo hanno posto soltanto i presidenti delle conferenze episcopali: gente piuttosto conservatrice, e in ogni caso approvata da Roma. Non che essi abbiano potere decisionale, solo il papa può decidere; e in tal modo la collegialità, proclamata solennemente dal Concilio, in Vaticano è rimasta lettera morta. Anzi, a Roma si è quasi riusciti a ridurre il sinodo dei vescovi a un puro e semplice organo di consenso. Così anche in questo sinodo tutto è guidato ancora una volta dall' apparato curiale, che, già dal punto di vista numerico, con i suoi cardinali di Curia e con i membri di nomina pontificia, vi è super-rappresentato e che, oltre alla preparazione dei documenti nello spirito ratzingeriano, controlla saldamente anche l' ordine del giorno e l' orientamento dei lavori. La separazione tra i poteri continua a rimanere estranea al diritto ecclesiastico cattolico. E i teologi critici (per la Curia il Vaticano II è stato un deplorevole "concilio dei teologi") vengono tenuti lontani. Quindi, secondo la dichiarata concezione romana, le cose dovrebbero svolgersi molto rapidamente: in due settimane si conta di venire a capo di tutti i problemi. In verità, in queste condizioni, a un vescovo che volesse criticare l' attuale corso sarebbe necessaria la libertà apostolica di un Paolo che, secondo la sua stessa testimonianza (Galati 2, 11 ss.), "resistette in faccia" a Pietro, perchè "non si comportava rettamente secondo la verità del Vangelo"... Ad ogni modo le acque hanno incominciato a muoversi: un vescovo francese ha criticato il Rapporto sulla fede del cardinale Ratzinger come "proposte di vacanza" (propos de vacances), delle quali non si saprebbe dire se il rapporteur le esprime come privato, come teologo o come titolare di un ufficio. Ecco dunque le domande fondamentali: i conti della Curia torneranno anche questa volta? I vescovi diranno la verità? Esprimeranno - opportune importune - anche i "tabuizzati" bisogni e le speranze delle loro comunità e del loro clero? Spezzeranno, se necessario, l' incantesimo curiale, così come al Vaticano II lo spezzarono i cardinali Frings e Lienart, protestando contro l' intera procedura autoritaria e avviando un processo di riflessione? E' chiaro che i vescovi, come già i loro predecessori al Concilio, si troveranno di fronte a un difficile dilemma: o cercare il futuro nel passato e integrarsi nel corso restauratore della Curia romana (ma allora - come si è visto chiaramente in Olanda - dovranno affrontare una pericolosa prova di forza con l' episcopato, il clero e il popolo). Oppure progettare il futuro nel presente e, come già al Vaticano II, rischiare con libertà cristiana anche il conflitto con la Curia; in tal caso, patrocinando risolutamente la coerente continuazione del rinnovamento conciliare, si assicureranno l' ampio consenso del popolo e dei loro parroci. Dovrebbe far riflettere i vescovi quello che un gruppo di parroci di Monaco ha scritto a proposito del Rapporto sulla fede del loro antico vescovo (Sddeutsche Zeitung del 17/18 agosto 1983): "La nostra pratica pastorale ci ha fatto confrontare con alcuni infelici fenomeni derivanti dal rinnovamento conciliare; sappiamo però anche che una Chiesa che volesse ritornare a prima del Vaticano II, si allontanerebbe dalla società moderna e sarebbe destinata ad assumere un' importanza marginale. E chi - come Ratzinger - si eleva, in maniera così trionfalistica, al di sopra di tutto ciò che non è o non sembra essere cattolico-romano, si pone al di fuori di ogni possibilità di dialogo". In effetti, chi, dopo una rivoluzione come il Vaticano II, crede di poter restaurare l' Ancien Règime, si illude, come già si illusero Metternich e gli altri restauratori del "nuovo equilibrio". Di qui - in solidarietà con questi confratelli e innumerevoli cattolici - l' appello di un uomo che vent' anni fa, in qualità di teologo conciliare, contribuito alla configurazione del Vaticano II: al sinodo e nelle diocesi possano i vescovi agire come in quel Concilio. Possano essi impegnarsi, nello spirito del Vangelo e obbedendo alla propria coscienza, in favore delle comunità e dei sacerdoti loro affidati; ma in primo luogo in favore della gioventù, che vive sempre più lontana dalla Chiesa, e delle donne, che, a causa di una gerarchia maschilista, autoritaria e celibetaria se ne vanno silenziosamente in numero crescente; e anche in favore di quanti hanno fallito nel matrimonio o nei confronti della legge del celibato; dei teologi e delle suore, demoralizzati o ingiustamente puniti; dell' intesa definitiva tra le Chiese cristiane, del dialogo senza preconcetti con ebrei, musulmani e credenti di altre fedi, e, non da ultimo, di fronte al ritorno dell' Inquisizione, in favore della libertà di pensiero, di coscienza e di insegnamento nella nostra Chiesa cattolica. Un sinodo dei vescovi può raggiungere tutti questi obiettivi? No. Per questo, c' è bisogno di un terzo Concilio Vaticano.
(traduzione dal tedesco di Giovanni Moretto)
© Copyright Repubblica, 5 ottobre 1985
Cari amici, eccoci al quarto tassello del nostro studio.
Siamo di nuovo a Kung che, negli anni, non ha mai cambiato strategia. Scrive un articolo in tedesco che poi viene tradotto in tutte le lingue. Allora, come ora, e' Repubblica che si incarica del compito per l'Italia.
Anche questo articolo, risalente al 1985, sembra scritto un giorno fa.
Kung rispolvera il suo argomento del cuore: un Concilio Vaticano III. Certo! Fa impressione la data di questa riflessione. A vent'anni dalla chiusura del Vaticano II si invoca la convocazione di una nuova Assemblea. E per discutere che cosa? I temi che ancora oggi sono sul tappeto per Kung: celibato dei preti, sessualità, liberta' di coscienza e di insegnamento della teologia (come se non ci fosse gia'!), apertura al mondo, ecumenismo all'acqua di rose etc.
L'articolo e' un attacco a Giovanni Paolo II ed all'allora cardinale Ratzinger.
Si parla addirittura di inquisizione. Ma dove? Ma quando? Vediamo oggi i frutti della liberta' di coscienza e soprattutto di insegnamento di tanti teologi, soprattutto nel nord Europa.
E' ancora piu' chiaro dove affondano le radici dell'astio nei confronti di Ratzinger-Benedetto XVI.
Egli, in perfetta sintonia con Papa Wojtyla, ha parlato della Verita' del Cristianesimo mettendo in guardia verso l'apertura indiscriminata alle istanze del relativismo.
Ovvio che questo approccio doveva essere fermamente combattuto da chi, invece, sognava una Chiesa che non parlasse chiaro ma in modo sfumato.
Se essa avesse dato retta a Kung gia' dal 1985 dove sarebbe ora?
Difficile dirlo cosi' come e' difficile non ammettere che Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger, sul piano teologico, si sono scontrati con chi godeva della massima considerazioni sui mass media e nelle universita'.
Il potere della telecrazia...e ritorniamo alla splendida omelia pronunciata dall'allora arcivescovo di Monaco e Frisinga il 10 agosto 1978, a pochi giorni dalla morte di Paolo VI. Clicca qui per rileggere il testo.
R.
CHIEDO UN NUOVO CONCILIO
05 ottobre 1985 — pagina 26 sezione: CULTURA
di HANS KUNG
E' VERO che il Concilio Vaticano II viene enfaticamente evocato da Giovanni Paolo II, così come da Ratzinger. Ma entrambi contrappongono a tutti gli "spiriti maligni del Concilio" il "vero Concilio", che, lungi dal segnare un nuovo inizio, è semplicemente la continuazione del passato.
Gli innegabili testi conservatori del Vaticano II, imposti dal gruppo curiale (la "nota praevia" sui privilegi papali venne formalmente imposta al Concilio da Paolo VI), sono interpretati con lo sguardo rivolto risolutamente al passato, mentre le sue epocali aperture al futuro vengono ignorate in punti fondamentali: invece delle parole programmatiche del Concilio, di nuovo le parole d' ordine di un magistero autoritario; invece dell' "aggiornamento" nello spirito del Vangelo, di nuovo la cosiddetta "dottrina cattolica" tradizionale; invece della "collegialità" del Papa con i vescovi, di nuovo un irrigidito centralismo romano; invece dell' "apertura" al mondo moderno, di nuovo una crescente lamentazione e deprecazione del presunto "adattamento"; invece dell' "ecumenismo", di nuovo l' accentuazione di tutto ciò che è strettamente cattolico-romano; non si parla più della distinzione tra Chiesa di Cristo e Chiesa cattolico-romana, tra la sostanza della dottrina della fede e il suo rivestimento linguistico storico, e di una "gerarchia delle verità".
Con tutto ciò il Vaticano non galleggia come un semplice turacciolo sulle onde di una corrente mondiale conservatrice. No, esso fa politica, molto attivamente e, per quanto riguarda l' America centrale e latina (come ha ammesso pubblicamente e con energia il presidente Reagan) addirittura in diretto accordo con la Casa Bianca. Il tutto senza preoccuparsi della delusione e della frustrazione della base: ad esempio persino i più modesti desiderata intraecclesiali ed ecumenici dei sinodi tedesco, austriaco e svizzero - che hanno lavorato per anni con idealismo e con largo sacrificio di tempo e di denaro -, sono stati respinti senza alcuna giustificazione da una Curia soddisfatta di sè; chi continua a interessarsi a che vengano accolti? E intanto il numero dei praticanti, dei battesimi e dei matrimoni in chiesa continua a diminuire...
Nonostante tutto, il giuridismo, il clericalismo e il trionfalismo romani, pur aspramente criticati dai vescovi del Concilio, rinascono a vita nuova, ringiovaniti artificialmente e in veste rammodernata: soprattutto nel "nuovo" diritto ecclesiastico (Cic), che, contro le intenzioni del Concilio, non pone alcun limite al potere del Papa, della Curia e dei nunzi; anzi, riduce l' importanza dei Concili ecumenici, assegna compiti puramente consultivi alle conferenze episcopali, riconduce i laici alla piena sudditanza nei confronti della gerarchia e ignora sistematicamente la dimensione ecumenica. Questo "diritto" della Chiesa viene tradotto dalla Curia in una politica molto pratica, anche durante le frequenti assenze del Papa, mediante una quantità di nuovi documenti, decreti, esortazioni e istruzioni: dai decreti sul paradiso e l' inferno fino al rifiuto, altamente ideologico, dell' ordinazione delle donne; dal divieto della predicazione dei laici (ora valido anche per i relatori e le relatrici pastorali formati teologicamente) fino alla proibizione del servizio delle donne all' altare; dal diretto intervento curiale nei grandi ordini religiosi (elezione del generale dei gesuiti, statuto delle carmelitane, visita inquisitoria delle congregazioni femminili americane) fino ai ben noti procedimenti disciplinari nei confronti dei teologi.
Al tempo del Concilio sarebbe sembrato incredibile: l' Inquisizione, che cambia continuamente il proprio nome (ora si chiama "Congregazione per la dottrina della fede") e un po' anche i propri metodi (ora ricorre a un tono più dolce, a "colloqui informativi" e ad azioni dietro le quinte), ma non certo i propri princìpi (procedura segreta, rifiuto della visione degli atti, dell' assistenza giuridica e dell' appello: la stessa autorità accusa e giudica), è tornata a lavorare a pieno regime, specialmente contro i moralisti nord-americani, i dogmatici dell' Europa centrale, i teologi latino-americani e africani della liberazione. Viene invece favorita con tutti i mezzi l' organizzazione segreta spagnola "Opus Dei", un' istituzione teologicamente e politicamente reazionaria, immischiata nelle banche, nelle università e nei governi, che ostenta tratti medievali e controriformistici e che questo Papa, il quale le era vicino già a Cracovia, ha sottratto al controllo dei vescovi. La catena delle contraddizioni si prolunga: un continuo parlare di diritti umani, ma nessuna giustizia concreta per i teologi e per le suore; violente proteste contro le discriminazioni nella società, ma all' interno della Chiesa la discriminazione viene praticata nei confronti delle donne; una lunga enciclica sulla misericordia, ma nessuna misericordia concreta per i divorziati e i sacerdoti sposati (circa 70.000, di cui 7.000 nella sola Germania) e così via. Anche sotto questo profilo, "anni magri". Più discordia che concordia Sull' utilità dei viaggi papali si è parlato molto nei mass media, e nessuno contesta che per singole persone e per determinati paesi questi viaggi abbiano avuto un significato positivo. Alcuni impulsi spirituali saranno pur scaturiti dagli innumerevoli discorsi, appelli e servizi religiosi. Ma per la Chiesa vista nel suo complesso? In molti paesi i viaggi papali non hanno forse suscitato grandi speranze di cambiamenti, speranze che poi sono state amaramente deluse? Forse che in una sola delle tante nazioni visitate si è fatto qualcosa di decisivo per migliorare la situazione? Per quanto riguarda la sua patria polacca, il Papa ha indubbiamente sopravvalutato la propria possibilità di imporre reali mutamenti politici; ed ora deve assistere impotente allo spettacolo di un popolo passato dall' entusiasmo alla rassegnazione. Nell' Europa occidentale e negli Stati Uniti, gli antagonismi tra quanti, nella Chiesa, guardano conciliarmente in avanti e i tradizionalisti, invece che superati, sono stati rafforzati e inaspriti; spesso, invece di curare le ferite della Chiesa, questo Papa le inasprisce, favorendo così, involontariamente, più la discordia che la concordia. Una censura vaticana preventiva impedisce per lo più che nei suoi viaggi il Papa si confronti con i veri problemi del clero e del popolo; egli non va per ascoltare, ma per insegnare. Quando però - come in Svizzera e in Olanda - è costretto a confrontarsi con domande non censurate, risulta evidente quanto poco, in realtà, il magistero abbia da dire sui bisogni più pressanti degli uomini e dei loro pastori. Ciò salta agli occhi soprattutto per ciò che riguarda i problemi delle donne. Contro le donne moderne, che cercano una forma di vita adeguata ai tempi, questo Papa conduce una battaglia quasi spettrale: dal divieto alle donne di servire all' altare al divieto della contraccezione, a quello dell' ordinazione delle donne e della modernizzazione degli ordini femminili. Ma non ci si illuda: la questione femminile è destinata a diventare sempre più il test di questo pontificato. In America latina, a causa della campagna vaticana contro la teologia della liberazione - oltre che per la "penitenza del silenzio" imposta al professore brasiliano Leonardo Boff e per l' indegno trattamento riservato da Roma a cardinali e vescovi latino-americani - il Papa ha finito per perdere la simpatia di cui godeva in quei paesi. Ora anche là ci si comincia a rendere sempre più chiaramente conto dell' ambiguità di molti dei suoi appelli sociali. E anche in Africa, dove all' inizio l' entusiasmo delle masse era particolarmente grande, si va diffondendo la freddezza, come è accaduto per i viaggi papali in Svizzera e in Olanda (dove per la prima volta sono stati notevolmente pochi i curiosi!): al di là di tutte le adesioni verbali all' "africanizzazione" della Chiesa, il Papa ha polemizzato duramente con la "teologia africana" e non ha dimostrato la minima comprensione per tradizioni tribali - certamente problematiche, ma profondamente radicate - come il "matrimonio graduale" (prima un figlio e poi il matrimonio) e il primitivo ordinamento poligamico (che, com' è noto, si incontra anche presso i Patriarchi di Israele), e anche il matrimonio dei preti, di fatto largamente tollerato. L' annuncio programmatico "Crescete e moltiplicatevi", fatto risuonare per tutta l' Africa, assieme alla condanna (in sè contraddittoria) dell' aborto e della contraccezione, secondo molti commenti della stampa, rende il Papa corresponsabile dell' esplosione demografica, della fame e della penosa miseria cronica di milioni e milioni di bambini. La canonizzazione come "martire della castità" di una suora assassinata e la consacrazione di una cattedrale (l' architetto è italiano) costata trentacinque milioni di marchi, la più grande dell' Africa, ad Abidjan nel cuore di una povertà indescrivibile, ignorano la realtà africana quanto le prediche in favore della continenza sessuale (o del metodo Ogino-Knaus) e del celibato. Molti si chiedono: a che servono tutti i discorsi sociali in favore dell' umanità, della giustizia e della pace, se la Chiesa risulta assente soprattutto su quei problemi politico-sociali ai quali essa potrebbe arrecare un contributo determinante? Ciò vale, non da ultimo, per l' intero campo dell' ecumenismo. E' triste constatare come in nessun punto, sotto questo pontificato, sia stato raggiunto un reale progresso ecumenico. Al contrario; i non cattolici parlano di campagne propagandistiche cattolico-romane del Papa, in quanto in pratica i loro rappresentanti vengono ricevuti come statisti, e non come partners di pari dignità. Tutto ciò ha portato al raffredarsi, estremamente preoccupante, del clima ecumenico, alla delusione e alla frustrazione tra le persone di sentimenti ecumenici di tutte le Chiese e, purtroppo, anche al rinascere dei vecchi complessi anticattolici di paura e degli atteggiamenti difensivi scomparsi durante i "sette anni grassi". Il Rapporto sulla fede di Ratzinger ci dirà chiaramente che cosa si deve pensare dei solenni discorsi romani in materia di ecumenismo. Il ristagno intraecclesiale e quello ecumenico - blocco dei mutamenti reali e inflazione delle parole inconcludenti - vanno di pari passo. Vescovi tra due fuochi Per fortuna, però, il movimento conciliare ed ecumenico, benchè ostacolato continuamente dall' alto, va avanti nella base, nelle singole comunità. La conseguenza non può essere che una crescente estraniazione della "Chiesa dall' alto" dalla "Chiesa dal basso"; estraniazione che arriva all' indifferenza. Più che mai oggi dipende dal singolo parroco e dai singoli laici impegnati che una comunità sia pastoralmente viva, liturgicamente attiva, ecumenicamente impegnata e socialmente interessata. Ma tra Roma e le comunità ci sono i vescovi; e ad essi in questa crisi spetta un ruolo decisivo. I vescovi - che in molti paesi d' Europa, America, Africa e anche Asia, sono notevolmente più aperti ai bisogni e alle speranze degli uomini che non molti curiali del quartier generale - si trovano attualmente tra due fuochi: quello delle attese della base e quello degli ordini di Roma. A volte il Papa in persona interviene presso di loro affinchè prendano pubblicamente posizione contro l' ordinazione delle donne o la contraccezione. Anzi gli càpita di andare addirittura in bestia se - di fronte alla crescente carenza di sacerdoti e a una pastorale languente (fra cinque o dieci anni non solo nella Svizzera di lingua tedesca, ma anche in altri paesi solo la metà delle parrocchie potrebbe essere curata da parroci!) - deve confrontarsi col fatto di decine di migliaia di sacerdoti sposati, i cui rappresentanti proprio recentemente hanno tenuto alle porte di Roma un loro proprio sinodo, chiedendo di venire riammessi al servizio della Chiesa. In vista dei mutamenti a lungo termine, per il Vaticano - come per ogni altro sistema politico - è di capitale importanza la politica personale. E in vista dell' attuale svolta della politica romana, il privilegio (riservato alla Curia dai casi della storia) delle nomine dei vescovi è indubbiamente lo strumento principale, se si prescinde dalle nomine dei cardinali, da sempre competenza di Roma, e dall' appoggio accordato ai teologi ligi al sistema. Solo poche diocesi hanno conservato alcuni limitati diritti dell' antica elezione del vescovo da parte del clero e del popolo (elezione che, come è noto, costituisce un fondamentale punto controverso anche tra il Vaticano e la Repubblica Popolare Cinese, che è favorevole all' autoamministrazione delle Chiese). La strategia a lungo termine di Roma (come conferma anche Ratzinger) è più che mai quella di sostituire l' episcopato aperto del periodo post-conciliare con vescovi dottrinariamente ligi (in maniera particolarmente deplorevole in Olanda; a Parigi, a Detroit e in Vaticano sono stati preferiti candidati di origine polacca o slava), che vengono sottoposti ad esame per ciò che riguarda la loro ortodossia ed impegnati con giuramento: press' a poco come avviene nell' Urss per gli alti funzionari. Ma non è soltanto nei grandi ordini dei gesuiti, dei domenicani e dei francescani che si avanzano riserve nei confronti del Papa autoritario; nella stessa Curia romana ci si lamenta e si ironizza sulla "slavofilia" del Papa e sulla "polonizzazione" della Chiesa. Un appello Lo strumento tattico adeguato alla strategia a lungo termine di un' ampia restaurazione e di una definitiva sottomissione dell' ancora troppo autonomo episcopato è, per il Vaticano, l' imminente sinodo dei vescovi. Esso si propone di verificare i risultati del Vaticano II e di formularne criteri interpretativi, le linee direttrici e le delimitazioni (cattolico - non cattolico!). Si noti bene: invece di un sinodo "ordinario" (per il quale i vescovi stessi potrebbero eleggere i loro rappresentati) Roma ha convocato, senza urgenza, un sinodo "straordinario". In questo tipo di sinodo hanno posto soltanto i presidenti delle conferenze episcopali: gente piuttosto conservatrice, e in ogni caso approvata da Roma. Non che essi abbiano potere decisionale, solo il papa può decidere; e in tal modo la collegialità, proclamata solennemente dal Concilio, in Vaticano è rimasta lettera morta. Anzi, a Roma si è quasi riusciti a ridurre il sinodo dei vescovi a un puro e semplice organo di consenso. Così anche in questo sinodo tutto è guidato ancora una volta dall' apparato curiale, che, già dal punto di vista numerico, con i suoi cardinali di Curia e con i membri di nomina pontificia, vi è super-rappresentato e che, oltre alla preparazione dei documenti nello spirito ratzingeriano, controlla saldamente anche l' ordine del giorno e l' orientamento dei lavori. La separazione tra i poteri continua a rimanere estranea al diritto ecclesiastico cattolico. E i teologi critici (per la Curia il Vaticano II è stato un deplorevole "concilio dei teologi") vengono tenuti lontani. Quindi, secondo la dichiarata concezione romana, le cose dovrebbero svolgersi molto rapidamente: in due settimane si conta di venire a capo di tutti i problemi. In verità, in queste condizioni, a un vescovo che volesse criticare l' attuale corso sarebbe necessaria la libertà apostolica di un Paolo che, secondo la sua stessa testimonianza (Galati 2, 11 ss.), "resistette in faccia" a Pietro, perchè "non si comportava rettamente secondo la verità del Vangelo"... Ad ogni modo le acque hanno incominciato a muoversi: un vescovo francese ha criticato il Rapporto sulla fede del cardinale Ratzinger come "proposte di vacanza" (propos de vacances), delle quali non si saprebbe dire se il rapporteur le esprime come privato, come teologo o come titolare di un ufficio. Ecco dunque le domande fondamentali: i conti della Curia torneranno anche questa volta? I vescovi diranno la verità? Esprimeranno - opportune importune - anche i "tabuizzati" bisogni e le speranze delle loro comunità e del loro clero? Spezzeranno, se necessario, l' incantesimo curiale, così come al Vaticano II lo spezzarono i cardinali Frings e Lienart, protestando contro l' intera procedura autoritaria e avviando un processo di riflessione? E' chiaro che i vescovi, come già i loro predecessori al Concilio, si troveranno di fronte a un difficile dilemma: o cercare il futuro nel passato e integrarsi nel corso restauratore della Curia romana (ma allora - come si è visto chiaramente in Olanda - dovranno affrontare una pericolosa prova di forza con l' episcopato, il clero e il popolo). Oppure progettare il futuro nel presente e, come già al Vaticano II, rischiare con libertà cristiana anche il conflitto con la Curia; in tal caso, patrocinando risolutamente la coerente continuazione del rinnovamento conciliare, si assicureranno l' ampio consenso del popolo e dei loro parroci. Dovrebbe far riflettere i vescovi quello che un gruppo di parroci di Monaco ha scritto a proposito del Rapporto sulla fede del loro antico vescovo (Sddeutsche Zeitung del 17/18 agosto 1983): "La nostra pratica pastorale ci ha fatto confrontare con alcuni infelici fenomeni derivanti dal rinnovamento conciliare; sappiamo però anche che una Chiesa che volesse ritornare a prima del Vaticano II, si allontanerebbe dalla società moderna e sarebbe destinata ad assumere un' importanza marginale. E chi - come Ratzinger - si eleva, in maniera così trionfalistica, al di sopra di tutto ciò che non è o non sembra essere cattolico-romano, si pone al di fuori di ogni possibilità di dialogo". In effetti, chi, dopo una rivoluzione come il Vaticano II, crede di poter restaurare l' Ancien Règime, si illude, come già si illusero Metternich e gli altri restauratori del "nuovo equilibrio". Di qui - in solidarietà con questi confratelli e innumerevoli cattolici - l' appello di un uomo che vent' anni fa, in qualità di teologo conciliare, contribuito alla configurazione del Vaticano II: al sinodo e nelle diocesi possano i vescovi agire come in quel Concilio. Possano essi impegnarsi, nello spirito del Vangelo e obbedendo alla propria coscienza, in favore delle comunità e dei sacerdoti loro affidati; ma in primo luogo in favore della gioventù, che vive sempre più lontana dalla Chiesa, e delle donne, che, a causa di una gerarchia maschilista, autoritaria e celibetaria se ne vanno silenziosamente in numero crescente; e anche in favore di quanti hanno fallito nel matrimonio o nei confronti della legge del celibato; dei teologi e delle suore, demoralizzati o ingiustamente puniti; dell' intesa definitiva tra le Chiese cristiane, del dialogo senza preconcetti con ebrei, musulmani e credenti di altre fedi, e, non da ultimo, di fronte al ritorno dell' Inquisizione, in favore della libertà di pensiero, di coscienza e di insegnamento nella nostra Chiesa cattolica. Un sinodo dei vescovi può raggiungere tutti questi obiettivi? No. Per questo, c' è bisogno di un terzo Concilio Vaticano.
(traduzione dal tedesco di Giovanni Moretto)
© Copyright Repubblica, 5 ottobre 1985
Ior, Valli: L’operazione trasparenza nasce con Ratzinger, che forse ha pagato anche per questo (Dessì)
Ior, Valli: "Francesco lo farà diventare una banca etica". Turco: "E' un tumore che la Chiesa deve estirpare"
Ignazio Dessì
Qualche giorno fa Papa Francesco ha annunciato una commissione d’inchiesta sullo Ior, giusto un attimo prima insomma che scoppiasse il caso del vescovo di Salerno Nunzio Scarano, finito in manette insieme a uno 007 e a un broker con l’accusa di truffa ai danni dello Stato, calunnia e corruzione in seguito a una indagine sull' Istituto Opere Religiose. Ancora una volta l’istituto bancario vaticano invischiato dunque in fatti poco chiari.Ma cos’è lo Ior? Fondato ufficialmente da Pio XII nel 1942, ma con radici risalenti molto più indietro nel tempo, è lo strumento con cui il Vaticano cerca di fare investimenti a beneficio di opere religiose e umanitarie. Almeno ufficialmente. Ma la banca è legata anche ad avvenimenti poco edificanti che riportano alla mente nomi come quelli del Banco Ambrosiano, di Calvi o di Marcinkus, capitoli di una storia a dir poco tormentata. “Per anni e anni – spiega Aldo Maria Valli, vaticanista del Tg1, autore del libro “Il forziere dei Papi. Storie, volti e misteri dello Ior” – questo ente ha vissuto all’insegna di una ambiguità di fondo, quella di operare come organo della Santa Sede, vincolato da tutti i controlli italiani e internazionali in fatto di normative bancarie, e di sentirsi dire, davanti all’implicazione in qualche caso scabroso, che non essendone un organo centrale la Santa Sede non c'entra nulla”.Se ci son stati periodi di estrema chiusura da parte della Chiesa, stiamo assistendo però in questi giorni a qualcosa di nuovo, alimentato dalle decisioni del nuovo Papa Francesco. “Sicuramente Bergoglio ci sta mettendo lo zampino pesantemente – ammette Valli – e la decisione di istituire una commissione per indagare su cosa sia lo Ior, per vedere se la sua funzione sia in linea con la missione evangelizzatrice e di carità della Chiesa, la dice lunga. Il Santo Padre vuole capire cosa ha in mano e cosa ha ricevuto in eredità”. Anche se in verità lo zampino ha cominciato a mettercelo Benedetto XVI. L’operazione trasparenza nasce infatti con lui, che forse ha pagato anche per questo. “Con Ratzinger lo Ior – spiega il vaticanista - si apre alle normative internazionali e mette i suoi conti a disposizione dell’istituto europeo di controllo”. Stiamo certamente assistendo a una rivoluzione e Francesco ha intenzione di portare fino in fondo il cammino iniziato. Del resto ha detto “lo Ior è necessario fino a un certo punto”, facendo pensare a un progetto veramente diverso da ciò che conosciamo. Perfino qualcosa di imprevedibile. “Allo stato non sappiamo se il Papa vorrà mantenere lo Ior in vita o sopprimerlo – dice Valli - ma sicuramente si può pensare a una riforma consistente”.Una riforma che alla fine “potrebbe far somigliare lo Ior a una sorta di Banca Etica a disposizione di chi ha bisogno, sia all’interno della chiesa che fuori, con una logica non più di speculazione finanziaria, come avvenuto finora, ma di vero aiuto ai bisognosi”. Una inversione di prospettiva a 360 gradi con alla base una visione completamente diversa dell’economia. Un passo da compiere magari dopo un periodo di commissariamento. “Al momento non ci sono segnali precisi – chiarisce ancora Valli – ma la nascita della commissione con pieni poteri chiamata a riferire direttamente al Papa, mette comunque i vertici sotto osservazione”. Ed allora nasce una domanda: la Chiesa può fare a meno dello Ior? “La mia opinione personale – dice Valli - è che la Chiesa non solo può farne a meno ma deve farne a meno. Se davvero come ha detto Francesco deve essere povera e per i poveri, deve farlo. Si tratta di essere coerenti con quanto il Papa sta predicando ormai da mesi, un ente finanziario come quello attuale è incompatibile con questa visione della Chiesa e fa male alla sua immagine”.Un punto di vista non dissimile da quello di Maurizio Turco, coautore del libro Paradiso Ior, che si spinge però a conclusioni più radicali. “Il libro – spiega Turco - raccoglie una serie di episodi criminali che hanno la duplice caratteristica di essere sempre stati scoperti da altri e mai denunciati dal Vaticano, come in quest’ultimo caso”. Nonostante negli ultimi anni ci siano stati “tentativi del tutto mediatici per far credere che qualcosa stesse cambiando”, precisa lo scrittore. Certo l’opera mediatica era precedente a Bergoglio, non rapportabile nemmeno a Ratzinger, ed essenzialmente interna alla Curia che si rendeva conto che uno Ior con certe caratteristiche non poteva più reggere. Il libro vuole essere “un dossier per il Papa – rivela Turco - affinché si renda conto, attraverso i particolari dei casi citati, che una realtà come lo Stato Vaticano, con le sue immunità e il suo essere borderline tra uno stato religioso e uno stato come gli altri, non gli consentirà mai di avere una banca davvero trasparente”. Si è sempre detto che lo Ior serve alla Chiesa per operare in quei luoghi dove i cristiani soffrono, ma “dove i cristiani soffrono, guarda caso, i soldi non glieli fai arrivare col bonifico bancario. Nel caso Polonia – in cui Calvi finì impiccato non avendo onorato gli impegni per finanziare Solidarnosc - i soldi sono stati inviati nascosti nei sottofondi delle auto. Quanto alla Banca etica di cui si parla, vogliono farla sotto il capello dello Stato Vaticano, ovvero una monarchia assoluta. E non esiste uno Stato di tal fatta al mondo che possa entrare nelle Withe List per quanto riguarda gli accordi internazionali sull’antiterrorismo e il riciclaggio, perché gli organismi di controllo li nominano gli stessi che dovrebbero essere controllati”.Da questo punto di vista quindi “per me Bergoglio con la sua commissione è sinonimo di speranza e non di illusione a cui potrebbe seguire la delusione”. La speranza che l’organizzazione Santa Sede recuperi quella che è la propria missione. Perché una cosa è certa: lo Ior non c’entra nulla con la missione della Chiesa e non serve alla Chiesa. Ha solo consentito storicamente a privati di fare certe operazioni, ed anche stavolta leggiamo che monsignor Scarano ha portato 20 milioni in Italia per conto di alcuni suoi amici. In definitiva perché una confessione religiosa dovrebbe aver bisogno di una Banca? Questa è la domanda. La risposta è semplice e scontata. Lo Ior in definitiva è un tumore all’interno della Chiesa, un male che tutto inquina, e va estirpato”.
http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/13/06/ior-valli-turco-intervista.html?news
Ignazio Dessì
Qualche giorno fa Papa Francesco ha annunciato una commissione d’inchiesta sullo Ior, giusto un attimo prima insomma che scoppiasse il caso del vescovo di Salerno Nunzio Scarano, finito in manette insieme a uno 007 e a un broker con l’accusa di truffa ai danni dello Stato, calunnia e corruzione in seguito a una indagine sull' Istituto Opere Religiose. Ancora una volta l’istituto bancario vaticano invischiato dunque in fatti poco chiari.Ma cos’è lo Ior? Fondato ufficialmente da Pio XII nel 1942, ma con radici risalenti molto più indietro nel tempo, è lo strumento con cui il Vaticano cerca di fare investimenti a beneficio di opere religiose e umanitarie. Almeno ufficialmente. Ma la banca è legata anche ad avvenimenti poco edificanti che riportano alla mente nomi come quelli del Banco Ambrosiano, di Calvi o di Marcinkus, capitoli di una storia a dir poco tormentata. “Per anni e anni – spiega Aldo Maria Valli, vaticanista del Tg1, autore del libro “Il forziere dei Papi. Storie, volti e misteri dello Ior” – questo ente ha vissuto all’insegna di una ambiguità di fondo, quella di operare come organo della Santa Sede, vincolato da tutti i controlli italiani e internazionali in fatto di normative bancarie, e di sentirsi dire, davanti all’implicazione in qualche caso scabroso, che non essendone un organo centrale la Santa Sede non c'entra nulla”.Se ci son stati periodi di estrema chiusura da parte della Chiesa, stiamo assistendo però in questi giorni a qualcosa di nuovo, alimentato dalle decisioni del nuovo Papa Francesco. “Sicuramente Bergoglio ci sta mettendo lo zampino pesantemente – ammette Valli – e la decisione di istituire una commissione per indagare su cosa sia lo Ior, per vedere se la sua funzione sia in linea con la missione evangelizzatrice e di carità della Chiesa, la dice lunga. Il Santo Padre vuole capire cosa ha in mano e cosa ha ricevuto in eredità”. Anche se in verità lo zampino ha cominciato a mettercelo Benedetto XVI. L’operazione trasparenza nasce infatti con lui, che forse ha pagato anche per questo. “Con Ratzinger lo Ior – spiega il vaticanista - si apre alle normative internazionali e mette i suoi conti a disposizione dell’istituto europeo di controllo”. Stiamo certamente assistendo a una rivoluzione e Francesco ha intenzione di portare fino in fondo il cammino iniziato. Del resto ha detto “lo Ior è necessario fino a un certo punto”, facendo pensare a un progetto veramente diverso da ciò che conosciamo. Perfino qualcosa di imprevedibile. “Allo stato non sappiamo se il Papa vorrà mantenere lo Ior in vita o sopprimerlo – dice Valli - ma sicuramente si può pensare a una riforma consistente”.Una riforma che alla fine “potrebbe far somigliare lo Ior a una sorta di Banca Etica a disposizione di chi ha bisogno, sia all’interno della chiesa che fuori, con una logica non più di speculazione finanziaria, come avvenuto finora, ma di vero aiuto ai bisognosi”. Una inversione di prospettiva a 360 gradi con alla base una visione completamente diversa dell’economia. Un passo da compiere magari dopo un periodo di commissariamento. “Al momento non ci sono segnali precisi – chiarisce ancora Valli – ma la nascita della commissione con pieni poteri chiamata a riferire direttamente al Papa, mette comunque i vertici sotto osservazione”. Ed allora nasce una domanda: la Chiesa può fare a meno dello Ior? “La mia opinione personale – dice Valli - è che la Chiesa non solo può farne a meno ma deve farne a meno. Se davvero come ha detto Francesco deve essere povera e per i poveri, deve farlo. Si tratta di essere coerenti con quanto il Papa sta predicando ormai da mesi, un ente finanziario come quello attuale è incompatibile con questa visione della Chiesa e fa male alla sua immagine”.Un punto di vista non dissimile da quello di Maurizio Turco, coautore del libro Paradiso Ior, che si spinge però a conclusioni più radicali. “Il libro – spiega Turco - raccoglie una serie di episodi criminali che hanno la duplice caratteristica di essere sempre stati scoperti da altri e mai denunciati dal Vaticano, come in quest’ultimo caso”. Nonostante negli ultimi anni ci siano stati “tentativi del tutto mediatici per far credere che qualcosa stesse cambiando”, precisa lo scrittore. Certo l’opera mediatica era precedente a Bergoglio, non rapportabile nemmeno a Ratzinger, ed essenzialmente interna alla Curia che si rendeva conto che uno Ior con certe caratteristiche non poteva più reggere. Il libro vuole essere “un dossier per il Papa – rivela Turco - affinché si renda conto, attraverso i particolari dei casi citati, che una realtà come lo Stato Vaticano, con le sue immunità e il suo essere borderline tra uno stato religioso e uno stato come gli altri, non gli consentirà mai di avere una banca davvero trasparente”. Si è sempre detto che lo Ior serve alla Chiesa per operare in quei luoghi dove i cristiani soffrono, ma “dove i cristiani soffrono, guarda caso, i soldi non glieli fai arrivare col bonifico bancario. Nel caso Polonia – in cui Calvi finì impiccato non avendo onorato gli impegni per finanziare Solidarnosc - i soldi sono stati inviati nascosti nei sottofondi delle auto. Quanto alla Banca etica di cui si parla, vogliono farla sotto il capello dello Stato Vaticano, ovvero una monarchia assoluta. E non esiste uno Stato di tal fatta al mondo che possa entrare nelle Withe List per quanto riguarda gli accordi internazionali sull’antiterrorismo e il riciclaggio, perché gli organismi di controllo li nominano gli stessi che dovrebbero essere controllati”.Da questo punto di vista quindi “per me Bergoglio con la sua commissione è sinonimo di speranza e non di illusione a cui potrebbe seguire la delusione”. La speranza che l’organizzazione Santa Sede recuperi quella che è la propria missione. Perché una cosa è certa: lo Ior non c’entra nulla con la missione della Chiesa e non serve alla Chiesa. Ha solo consentito storicamente a privati di fare certe operazioni, ed anche stavolta leggiamo che monsignor Scarano ha portato 20 milioni in Italia per conto di alcuni suoi amici. In definitiva perché una confessione religiosa dovrebbe aver bisogno di una Banca? Questa è la domanda. La risposta è semplice e scontata. Lo Ior in definitiva è un tumore all’interno della Chiesa, un male che tutto inquina, e va estirpato”.
http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/13/06/ior-valli-turco-intervista.html?news
giovedì 27 giugno 2013
Benedetto XVI visita la tomba di Giovanni Paolo II con i giovani. Il video sul canale YouTube del blog
Grazie al lavoro della nostra Gemma vediamo questo bel video nel quale Benedetto XVI rende omaggio alla tomba di Giovanni Paolo II insieme ai giovani della Gmg diocesana.
LINK DIRETTO SU YOUTUBE
LINK DIRETTO SU YOUTUBE
mercoledì 26 giugno 2013
Le radici dell'astio nei confronti di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Già nel 1985 i teologi si scagliavano contro il Prefetto della Cdf. Le argomentazioni? Le medesime di oggi!
LE RADICI DELL'ASTIO NEI CONFRONTI DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI. LO SPECIALE DEL BLOG
Siamo al terzo tassello del nostro studio. Nel gennaio 1985 Repubblica manda alle stampe la seguente "inchiesta", che potremmo chiamare lo "sfogatoio" di tutti coloro che si sentivano (e si sentono) punzecchiati dalle parole di verita' pronunciate dall'allora cardinale Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Ecco l'equazione preferita di Kung: Ratzinger e' un profeta di sventura?
Davvero? Io direi che era ed e' semplicemente un profeta senza bisogno di aggettivi. Non c'e' una parola o una frase che non si siano puntualmente verificate nel corso degli anni.
Curioso il richiamo alla "Gaudium et spes". Chi potrebbe dire oggi che Ratzinger aveva torto?
Da morire dal ridere la frase di Kung sul fatto che il suo ex collega abbia fatto carriera. Eh si'...il futuro Benedetto XVI era cosi' attaccato al potere che ha rinunciato a tutto caricandosi della croce di tutti e per tutti.
E' francamente "tenero" che a quasi trent'anni di distanza questo teologo svizzero ripeta sempre e sempre e sempre i soliti concetti...
Trovo particolarmente "fastidiose" le affermazioni di Alberigo. Oggi non si potrebbero piu' esprimere certi concetti sui Tedeschi e sui Polacchi perche' politicamente scorretti :-)
O sbaglio?
Comunque la frase di Alberigo e' importante per capire che cosa e' accaduto in questi trent'anni.
Ratzinger ha sempre fatto il parafulmine. E' stato lui ad accettare questo ruolo, intendiamoci! Io, per esempio, non l'avrei fatto :-)
Quello che e' certo e' che nessuno si e' messo accanto a lui per cercare di dimezzare l'effetto dei fulmini...
Dall'articolo seguente si capisce che i teologi (e in generale i commentatori), non potendo (volendo?) colpire direttamente Wojtyla, prendevano di mira Ratzinger la cui lealta' verso il Pontefice era chiara a tutti.
Per tutto il Pontificato di Giovanni Paolo II l'allora cardinale Ratzinger si e' assunto ogni responsabilita' e si e' esposto in prima persona per proteggere il Papa.
Messori ha infatti raccontato che l'unica volta che il Prefetto della Cdf prese carta e penna per rispondere agli attacchi fu quando fu preso di mira Papa Wojtyla con considerazioni del tutto simili a quelle espresse da Alberigo tanto da farmi pensare che forse la risposta fosse proprio per lui. Clicca qui per l'articolo che riporta il fatto.
Oggi esistono ancora uomini cosi'? La domanda e' retorica. Sappiamo perfettamente che NESSUNO, durante il Pontificato di Benedetto XVI, si e' fatto avanti per portare la croce al suo posto anche per un breve tratto di strada.
Come abbiamo detto piu' volte a Benedetto e' mancata una figura fondamentale: il "Ratzinger di Ratzinger".
Come conseguenza di questa pura e semplice verita' possiamo tranquillamente affermare che tutto cio' che poteva essere criticato sotto Giovanni Paolo II era "colpa" di Ratzinger e tutto cio' che poteva essere oggetto di discussione sotto Benedetto XVI ricadeva sempre nella sfera di azione di Ratzinger.
Che coerenza!
E adesso? Chissa'...
La luna di miele impedisce di approfondire la questione ma vediamo che l'atteggiamento non e' cambiato: si celebra la discontinuita', si mettono in luce le differenze fra il Papa regnante ed il Papa emerito esaltando il primo a spese del secondo. In fondo non e' cambiato nulla. Il "Ratzinger di Bergoglio" continua ad avere un solo nome: Ratzinger.
Forse un giorno eminenti sociologi, storici ma soprattutto psichiatri saranno indotti a studiare il fenomeno ed a spiegare ai nostri nipoti come mai un uomo mite e' diventato il capro espiatorio di tutti.
Leggiamo questo articolo che mostra perfettamente il clima degli anni Ottanta.
R.
QUEL DIAVOLO DI RATZINGER...
12 gennaio 1985 — pagina 7 sezione: INCHIESTE
di DOMENICO DEL RIO
"RATZINGER è un profeta di sventura, uno di quelli biasimati da papa Giovanni nel discorso di apertura del Concilio".
A dare un giudizio così secco è Hans Kung, il teologo "biasimato" a sua volta dal Sant' Uffizio, che, al contrario di Boff e di Schillebeeckx, si è sempre rifiutato di venire a Roma a farsi interrogare e giudicare. Mandava a dire che non aveva tempo. Ma che cosa diceva papa Giovanni in quel suo famoso discorso di apertura? Era l' 11 ottobre 1962, e nella basilica vaticana splendente di luci, Roncalli parlava con la quella voce cantilenante. "Nell' esercizio quotidiano del nostro ministero pastorale", diceva, "ci feriscono talora l' orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni essi non vedono che prevaricazione e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando; e si comportano come se nulla avessero imparato dalla storia, che pure è maestra di vita. A noi sembra di dover dissentire da cotesti profeti di sventura, che annunciano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo".
Quel giorno, a sentire quella descrizione di profeti di sventura, tutti pensarono al cardinale Ottaviani, che allora reggeva il Sant' Uffizio e definiva se stesso "il carabiniere della Chiesa". Ora, parlando di Ratzinger, il paragone con Ottaviani viene spontaneo a qualcuno. Dice Giuseppe Alberigo: "Il modo con cui Ratzinger concepisce la funzione della sua Congregazione per la dottrina della fede richiama quello di Ottaviani.
Anzi, mi chiedo se in fondo il povero Ottaviani, ai suoi tempi, non abbia avuto meno spazio di quanto riesce ad avere Ratzinger oggi. Ottaviani aveva di fronte un papa, Pio XII, che era secondo me, a un livello teologico superiore a quello di Wojtyla. Se oggi il prefetto del Sant' Uffizio ritiene di muoversi in una certa direzione, non credo che il papa gli ponga dei problemi. Anche per il solito rapporto che c' è tra un ex professore polacco e un ex professore tedesco. E' ovvio che il polacco soccomba".
Ma perchè Ratzinger è un "profeta di sventura"? "Perchè la sua visione delle cose è piena di pessimismo", spiega Kung.
"E' la posizione di un uomo che ha paura e perciò, per reazione, agisce da inquisitore. Ha paura che la Chiesa cambi, paura di dover constatare che questa sua azione, che dura da vent' anni, per imporre agli altri la propria visione, non ha successo.
Anche il suo rievocare il diavolo è una proiezione della sua paura.
Lui e quelli come lui che cosa sono mai riusciti a cambiare nella Chiesa, nella mente dei fedeli? Niente.
La gente pensa in modo diverso in fatto di divorzio, di sacramenti ai divorziati. La pensa diversamente sul ruolo che le donne dovrebbero avere nella comunità cristiana.
Il Popolo di Dio cammina per conto suo, e intanto a Roma si colleziona tutto ciò che di negativo c' è nella Chiesa". E, dunque, che uomo è infine questo Ratzinger? "Che uomo è?", si sfoga ancora Kng. "Basta vedere come tratta i suoi colleghi in teologia.
Giudizi negativi su tutti. Per lui c' è un solo buon teologo nella Chiesa: Joseph Ratzinger. E' l' orgoglio dell' uomo di potere che è salito in lui". "Ratzinger, quest' anno", racconta Paul Valadier, direttore della rivista "Etudes", "è venuto in Francia, ha tenuto due conferenze, una a Lione e una a Parigi, sulla catechesi, anzi per dir meglio, contro la catechesi approvata dai vescovi francesi. Devo dire che non ha lasciato certo una buona impressione, si è visto che non era bene informato, che parlava in maniera molto astratta, teorica, lontana dalla realtà. In questo modo non ha certamente aumentato la propria autorità. Del resto, non si capisce bene quale ruolo egli svolga, essendo teologo e insieme prefetto del Sant' Uffizio. In pratica si presenta solamente come il capo di un vecchio tribunale inquisitorio". Schillebeeckx, il teologo domenicano olandese, già inquisito dalla Sacra Congregazione per la dottrina della fede, narra del suo ultimo incontro con il prefetto del Sant' Uffizio. E' stato alla fine di settembre, a Roma, ma di quel colloquio si era avuta solo la notizia. "Non ho voluto dare pubblicità all' incontro", dice Schillebeeckx, "perchè era la stessa settimana in cui era stato chiamato a Roma Leonardo Boff.
Non volevo aumentare la tensione. D' altra parte, non ero stato convocato da Ratzinger. Mi aveva chiamato il superiore generale dell' Ordine, il quale evidentemente aveva avuto nuovamente un dossier su di me. E' stato il padre generale, l' irlandese Damian Byrne, che mi ha pregato di andare insieme a lui da Ratzinger. L' incontro è stato breve, una ventina di minuti soltanto, e non ha avuto aspetti drammatici come quello di Boff.
Ratzinger è stato molto cortese. Voleva sapere quale sarebbe stato il tenore del mio nuovo libro sui ministeri nella Chiesa, che sto per pubblicare a giorni. Gli ho detto che, secondo me, non ci sarà nulla che contraddica direttamente dichiarazioni emanate dal Sant' Uffizio sul sacerdozio ministeriale. Ratzinger non mi ha chiesto altro nè mi ha detto se ha intenzione di vedermi ancora o no. Mi ha congedato avvertendomi, però, che attende di esaminare il mio nuovo libro e che io devo aspettarmi una nuova valutazione di Roma sulla mia opera".
Un Ratzinger sospettoso? "Oh, sì", sorride Schillebeeckx, "credo che egli abbia sempre qualche sospetto quando io scrivo un libro. Sospettoso, scontento e pessimista lo è sempre stato, anche fin dai tempi del Concilio. Nelle riunioni di teologi che facevamo a Roma (ne facevamo una ogni quindici giorni, c' erano Rahner, Congar, ecc.), quando affrontammo lo schema della "Gaudium et spes", il documento conciliare sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Ratzinger sosteneva che il testo era troppo ottimista nei confronti del mondo e voleva che si accentuasse maggiormente quello che si chiama peccato originale. Forse bisognerebbe ricordare che Ratzinger ha avuto la sua abilitazione teologica con un lavoro su Sant' Agostino. Egli è più agostiniano che tomista, cioè non avverte completamente quello che dice San Tommaso: che la grazia divina suppone la natura. Penso che questa sia una deficienza in Ratzinger in quanto teologo". "Ho conosciuto Ratzinger durante il Concilio e poi qui in Germania", osserva Wolfgang Seibel, il gesuita direttore della rivista "Stimmen der Zeit", di Monaco, la città dove Ratzinger è stato arcivescovo prima di essere chiamato a Roma: "Egli ha sempre avuto uno stile piuttosto individuale di dirigere la diocesi, senza molti collegamenti con la Conferenza episcopale tedesca.
Non gli sono mai piaciute le strutture organizzate dentro la Chiesa.
Forse per questo parla male ora delle Conferenze episcopali. Probabilmente ha avuto delle esperienze poco piacevoli nei rapporti con l' episcopato. D' altra parte, mi sembra anche più cambiato da diversi anni. Lui dice che sono stati gli altri a cambiare e perciò si è messo a fare queste battaglie contro quello che egli chiama "l' antispirito del Concilio". Ma non è vero. E' lui che è diventato più conservatore. Ha assunto un atteggiamento sempre più critico verso l' evoluzione avvenuta dopo il Concilio. Più volte si è espresso in questo senso, ma nell' ultima intervista a Jesus sembra aver concentrato tutto il suo spirito pessimistico". Il pensiero critico e pessimistico del cardinale Prefetto del Sant' Uffizio verso il Concilio, anzi sembra verso tutti i Concili, è stato documentato dalla rivista bolognese "Il regno", nel numero uscito in questi giorni. Dice il direttore della rivista, Alfio Filippi: "Abbiamo ricostruito la figura di Ratzinger teologo in questi anni, e si vede che non è affatto quello studioso aperto di cui si era parlato. Adesso si è accentuato, col nuovo ruolo che ha a Roma, l' aspetto autoritario e conservatore delle sue prese di posizione in campo teologico. Basterebbe leggere l' intervento che ha avuto a Bogotà, alla fine del marzo scorso, in una riunione di vescovi latino-americani. Il testo è stato pubblicato integralmente ora dalla "Rivista ecclesiastica brasiliana". Ratzinger traccia un panorama mondiale dello stato attuale della teologia cattolica. E' una visione impressionante, tutta a tinte fosche: in ogni parte del mondo, in Europa, in America del nord, in America latina, in Africa, tutto va male, la teologia segue strade pericolose.
Secondo lui, crolla tutto: la fede in Dio, il concetto di soprannaturale, i valori morali, la morale sessuale, perfino la distinzione fra uomo e donna, il mondo cerca la salvezza, ma solo in se stesso".
"Il regno" riporta alcuni giudizi catastrofici che, già dieci anni fa, il "profeta di sventura" Joseph Ratzinger dava sul Concilio Vaticano II e sull' avvenire della Chiesa. Ratzinger cominciava col porsi domande retoriche: "Il Concilio è stata una falsa strada, dalla quale occorre far marcia indietro per salvare la Chiesa? Le gioie e le speranze si sono rovesciate in tristezza e angoscia?". Ma poi terminava: "L' ingenuo ottimismo del Concilio e l' autoesaltazione di molti, che lo hanno fatto e propagandato, giustificano in modo inquietante le più fosche diagnosi dei primi uomini di Chiesa sul pericolo dei Concili. Non tutti i Concili validi si sono rivelati, alla prova dei fatti della storia, Concili utili; di taluni, alla fine, rimane solo un gran niente".
© Copyright Repubblica, 12 gennaio 1985