Il filosofo Rémi Brague riflette sulla scelta del Pontefice
Esiste anche il coraggio dell'umiltà
Rinunciando alla sua carica, Benedetto XVI ha avuto il coraggio di «spogliarsi di tutto e di cedere il posto a un altro, che non si sceglie» dando prova della «stessa disponibilità a obbedire allo Spirito di Giovanni Paolo II» spiega Rémi Brague -- il filosofo francese titolare della cattedra Romano Guardini alla Ludwig-Maximilian Universität di Monaco -- a Charles de Pechpeyrou, il giornalista dell'agenzia I.Media che lo sta intervistando. Questo Papa -- sottolinea -- ha avuto il coraggio di «dare un calcio al formicaio pedofilo», un gesto che anche «istituti laici come scuole, club sportivi, case specializzare per disabili, orfanotrofi e così via farebbero bene a imitare».
Brague, professore emerito di Filosofia medievale e araba presso l'Université de Paris i Panthéon-Sorbonne, vincitore del Premio Ratzinger nell'ottobre scorso, dice di aver appreso la notizia «con né più né meno sorpresa di tutti gli altri. Guardando indietro, mi sono ricordato dell'impressione che il Papa mi aveva fatto quando l'ho visto da vicino a ottobre. Intellettualmente, tutto era a posto. Ma fisicamente, dimagrito e curvo sul suo bastone, sembrava non farcela più. Joseph Ratzinger non aveva nessuna voglia di essere Papa e aveva preparato la pensione tranquilla che sognava. È già un fatto straordinario che abbia resistito così a lungo».
«Serve davvero -- continua il filosofo -- una situazione eccezionale per giustificare le sue dimissioni? Mi sembra di no. Basta sentirsi, in coscienza, incapaci di compiere la propria missione. Il Papa non è una persona sacra, ma il portatore di una funzione».
Confrontare e incasellare in una classifica di merito i Pontefici del Novecento è una moda diffusa ma non aggiunge niente alla comprensione della storia, ribadisce Brague: «non c'è nulla di più insensato di opporre Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che nutrivano la massima stima l'uno per l'altro o, peggio ancora, di organizzare tra i due un match di santità. Esiste forse una sola forma di coraggio? Può consistere nel rimanere fino alla fine, nella debolezza e nella sofferenza, come segno del Crocifisso di cui il Papa è vicario. Ma può consistere anche nell'accettare, dopo essere stati al centro dell'attenzione, di spogliarsi di tutto». A ben guardare, giudicando i fatti secondo le logiche del mondo, «un Papa non ha molto potere» e non può «governare a colpi di ukase» dato che, continua il filosofo riecheggiando la celebre frase di Stalin sulle inesistenti divisioni del Pontefice, «non dispone di un esercito per costringere i fedeli ad obbedirgli».
E continua con un apparente paradosso: «non dimentichiamo che non è il capo della Chiesa. Benedetto XVI è abbastanza teologo per sapere che il solo capo, la sola “testa” della Chiesa, è Cristo risorto. Il ruolo del Papa è custodire e di trasmettere, senza dispersioni, il deposito della fede ricevuto dagli apostoli. Non può, dunque, in nessun caso fare ciò che vuole. Nomina i vescovi solo dopo numerose consultazioni presso le Chiese locali. E, ad ogni modo, come regola generale, le decisioni più cariche di conseguenze si prendono discretamente, non attirano l'attenzione dei media e mostrano le proprie conseguenze solo a lungo termine».
Anche lo Spirito Santo, presenza non meno reale perché invisibile in ogni conclave, «non è un uragano che spinge laddove non si vuole andare; è piuttosto una luce che illumina la mente e fa vedere più nitidamente dove è il bene della Chiesa. Non ha molto a che vedere con il comfort degli eletti.
Nel conclave la maggior parte dei cardinali -- continua Brague con la consueta ironia -- rasenta i muri e cerca piuttosto di evitare la corvée».
(©L'Osservatore Romano 27 febbraio 2013)
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