lunedì 31 dicembre 2018

Benedetto XVI: "Non sono le coordinate storico-politiche a condizionare le scelte di Dio, ma, al contrario, è l’avvenimento dell’Incarnazione a "riempire" di valore e di significato la storia" (Te Deum 2006)



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Il 31 dicembre 2006, in occasione della Celebrazione dei Vespri e del Te Deum di ringraziamento, Benedetto XVI tenne un'omelia particolarmente importante sulla dimensione del tempo e sul ruolo della Vergine, Madre di Dio.
Grazie come sempre a Gemma :-)
Buona fine anno a tutti...
R.


CELEBRAZIONE DEI VESPRI E DEL TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO PER LA FINE DELL’ANNO


OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana

Domenica, 31 dicembre 2006


Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
distinte Autorità,
cari fratelli e sorelle!

Siamo raccolti nella Basilica Vaticana per rendere grazie al Signore al termine dell’anno, e cantare insieme il Te Deum. Ringrazio di cuore voi tutti che avete voluto unirvi a me in una circostanza così significativa. Saluto in primo luogo i Signori Cardinali, i venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, i religiosi e le religiose, le persone consacrate ed i tanti fedeli laici che rappresentano l’intera comunità ecclesiale di Roma. In modo speciale saluto il Sindaco di Roma e le altre Autorità presenti. In questa sera del 31 dicembre si incrociano due diverse prospettive: una è legata alla fine dell’anno civile, l’altra alla solennità liturgica di Maria Santissima Madre di Dio, che conclude l’ottava del Santo Natale. Il primo evento è comune a tutti, il secondo è proprio dei credenti. Il loro incrociarsi conferisce a questa celebrazione vespertina un carattere singolare, in un particolare clima spirituale che invita alla riflessione.
Il primo tema, molto suggestivo, è quello collegato con la dimensione del tempo. Nelle ultime ore di ogni anno solare assistiamo al ripetersi di taluni "riti" mondani che, nell’attuale contesto, sono prevalentemente improntati al divertimento, vissuto spesso come evasione dalla realtà, quasi ad esorcizzarne gli aspetti negativi e a propiziare improbabili fortune. Quanto diverso deve essere l’atteggiamento della Comunità cristiana! La Chiesa è chiamata a vivere queste ore facendo propri i sentimenti della Vergine Maria. Insieme a Lei è invitata a tenere lo sguardo fisso sul Bambino Gesù, nuovo Sole apparso all’orizzonte dell’umanità e, confortata dalla sua luce, a premurarsi di presentargli "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono" (Conc. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 1).
Si confrontano dunque due diverse valutazioni della dimensione "tempo", una quantitativa e l’altra qualitativa. Da una parte, il ciclo solare con i suoi ritmi; dall’altra, quella che san Paolo chiama la "pienezza del tempo" (Gal 4,4), cioè il momento culminante della storia dell’universo e del genere umano, quando il Figlio di Dio nacque nel mondo. Il tempo delle promesse si è compiuto e, quando la gravidanza di Maria è giunta al suo termine, "la terra – come dice un Salmo – ha dato il suo frutto" (Sal 66,7). La venuta del Messia, preannunziata dai Profeti, è l’avvenimento qualitativamente più importante di tutta la storia, alla quale conferisce il suo senso ultimo e pieno. Non sono le coordinate storico-politiche a condizionare le scelte di Dio, ma, al contrario, è l’avvenimento dell’Incarnazione a "riempire" di valore e di significato la storia. Questo, noi che veniamo dopo duemila anni da quell’evento, possiamo affermarlo, per così dire, anche a posteriori, dopo aver conosciuto tutta la vicenda di Gesù, fino alla sua morte e risurrezione. Noi siamo testimoni, contemporaneamente, della sua gloria e della sua umiltà, del valore immenso della sua venuta e dell’infinito rispetto di Dio per noi uomini e per la nostra storia. Egli non ha riempito il tempo riversandosi in esso dall’alto, ma "dall’interno", facendosi piccolo seme per condurre l’umanità fino alla sua piena maturazione. Questo stile di Dio ha fatto sì che ci sia voluto un lungo tempo di preparazione per giungere da Abramo a Gesù Cristo, e che dopo la venuta del Messia la storia non sia finita, ma abbia continuato il suo corso, apparentemente uguale, in realtà ormai visitata da Dio e orientata verso la seconda e definitiva venuta del Signore, alla fine dei tempi. Di tutto ciò è simbolo reale, potremmo dire è sacramento la Maternità di Maria, che è al tempo stesso un evento umano e divino.
Nel brano della Lettera ai Galati, che poco fa abbiamo ascoltato, san Paolo afferma: "Dio mandò il suo Figlio, nato da donna" (Gal4,4). Origene commenta: "Osserva bene come non ha detto: nato tramite una donna, bensì: nato da una donna" (Commento alla Lettera ai GalatiPG 14, 1298). Questa acuta osservazione del grande esegeta e scrittore ecclesiastico è importante: infatti, se il Figlio di Dio fosse nato solamente "tramite" una donna, non avrebbe realmente assunto la nostra umanità, cosa che invece ha fatto prendendo carne "da" Maria. La maternità di Maria, dunque, è vera e pienamente umana. Nell’espressione "Dio mandò il suo Figlio nato da donna" si trova condensata la verità fondamentale su Gesù come Persona divina che ha pienamente assunto la nostra natura umana. Egli è il Figlio di Dio, è generato da Lui, e al tempo stesso è figlio di una donna, Maria. Viene da lei. E’ da Dio e daMaria. Per questo la Madre di Gesù si può e si deve chiamare Madre di Dio. Questo titolo, che in greco suona Theotókos, compare per la prima volta, probabilmente proprio nell’area di Alessandria d’Egitto, dove nella prima metà del terzo secolo visse, appunto, Origene. Esso però fu definito dogmaticamente solo due secoli dopo, nel 431, dal Concilio di Efeso, città nella quale ho avuto la gioia di recarmi in pellegrinaggio un mese fa, durante il viaggio apostolico in Turchia. Proprio ripensando a questa indimenticabile visita, come non esprimere tutta la mia filiale gratitudine alla Santa Madre di Dio per la speciale protezione che in quei giorni di grazia mi ha accordato?
Theotókos, Madre di Dio: ogni volta che recitiamo l’Ave Maria, ci rivolgiamo alla Vergine con questo titolo, supplicandola di pregare "per noi peccatori". Al termine di un anno, sentiamo il bisogno di invocare in modo tutto speciale la materna intercessione di Maria Santissima per la città di Roma, per l’Italia, per l’Europa e per il mondo intero. A Lei, che è la Madre della Misericordia incarnata, affidiamo soprattutto le situazioni nelle quali solo la grazia del Signore può recare pace, conforto, giustizia. "Nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,37), si sentì dire la Vergine dall’Angelo che le annunciava la sua divina maternità. Maria credette, e per questo è beata (cfr Lc 1,45). Ciò che è impossibile all’uomo, diventa possibile per chi crede (cfr Mc 9,23). Perciò, mentre si chiude il 2006 e si intravede già l’alba del 2007, domandiamo alla Madre di Dio che ci ottenga il dono di una fede matura: una fede che vorremmo assomigliasse per quanto possibile alla sua, una fede limpida, genuina, umile e al tempo stesso coraggiosa, intrisa di speranza e di entusiasmo per il Regno di Dio, una fede scevra di ogni fatalismo e tutta protesa a cooperare in piena e gioiosa obbedienza alla divina volontà, nell’assoluta certezza che Dio non vuole altro che amore e vita, sempre e per tutti.
Ottienici, o Maria, una fede autentica e pura. Che tu sia sempre ringraziata e benedetta, santa Madre di Dio! Amen!
     
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martedì 25 dicembre 2018

Benedetto XVI: Uomo moderno, adulto eppure talora debole nel pensiero e nella volontà, lasciati prender per mano dal Bambino di Betlemme; non temere, fidati di Lui! (Urbi et Orbi, 25.12.2005)



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Il 25 dicembre 2005, in occasione del primo Messaggio Urbi et Orbi natalizio del suo Pontificato, Benedetto XVI pronunciò parole molto importanti e intense, che possiamo riascoltare in questo video. Di seguito la trascrizione integrale.
Grazie come sempre a Gemma.
Tantissimi auguri di Buon Natale a tutti voi e alle vostre famiglie :-)
R.


MESSAGGIO URBI ET ORBI

DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI


NATALE 2005

Vi annunzio una grande gioia… oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore: Cristo Signore” (Lc 2,10-11). Questa notte abbiamo riascoltato le parole dell’Angelo ai pastori, ed abbiamo rivissuto il clima di quella Notte santa, la Notte di Betlemme, quando il Figlio di Dio si è fatto uomo e, nascendo in una povera grotta, ha posto la sua dimora fra noi. In questo giorno solenne risuona l’annuncio dell’Angelo ed è invito anche per noi, uomini e donne del terzo millennio, ad accogliere il Salvatore. Non esiti l’odierna umanità a farlo entrare nelle proprie case, nelle città, nelle nazioni e in ogni angolo della terra! E’ vero, nel corso del millennio da poco concluso e specialmente negli ultimi secoli, tanti sono stati i progressi compiuti in campo tecnico e scientifico; vaste sono le risorse materiali di cui oggi possiamo disporre. L’uomo dell’era tecnologica rischia però di essere vittima degli stessi successi della sua intelligenza e dei risultati delle sue capacità operative, se va incontro ad un’atrofia spirituale, ad un vuoto del cuore. Per questo è importante che apra la propria mente e il proprio cuore al Natale di Cristo, evento di salvezza capace di imprimere rinnovata speranza all’esistenza di ogni essere umano.  
Svegliati, uomo: poiché per te Dio si è fatto uomo” (Sant’Agostino, Discorsi, 185). Svegliati, uomo del terzo millennio! A Natale l’Onnipotente si fa bambino e chiede aiuto e protezione. Il suo modo di essere Dio mette in crisi il nostro modo di essere uomini; il suo bussare alle nostre porte ci interpella, interpella la nostra libertà e ci chiede di rivedere il nostro rapporto con la vita e il nostro modo di concepirla. L’età moderna è spesso presentata come risveglio dal sonno della ragione, come il venire alla luce dell’umanità che emergerebbe da un periodo buio. Senza Cristo, però, la luce della ragione non basta a illuminare l’uomo e il mondo. Per questo la parola evangelica del giorno di Natale - “Veniva nel mondo / la luce vera, / quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9) – echeggia più che mai come annuncio di salvezza per tutti. “Nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (Cost. Gaudium et spes, 22).La Chiesa ripete senza stancarsi questo messaggio di speranza, ribadito dal Concilio Vaticano II che si è concluso proprio quarant’anni or sono. 
Uomo moderno, adulto eppure talora debole nel pensiero e nella volontà, lasciati prender per mano dal Bambino di Betlemme; non temere, fidati di Lui! La forza vivificante della sua luce ti incoraggia ad impegnarti nell’edificazione di un nuovo ordine mondiale, fondato su giusti rapporti etici ed economici. Il suo amore guidi i popoli e ne rischiari la comune coscienza di essere “famiglia” chiamata a costruire rapporti di fiducia e di vicendevole sostegno. L’umanità unita potrà affrontare i tanti e preoccupanti problemi del momento presente: dalla minaccia terroristica alle condizioni di umiliante povertà in cui vivono milioni di esseri umani, dalla proliferazione delle armi alle pandemie e al degrado ambientale che pone a rischio il futuro del pianeta. 
Il Dio che si è fatto uomo per amore dell’uomo sostenga quanti operano in Africa a favore della pace e dello sviluppo integrale, opponendosi alle lotte fratricide, perché si consolidino le attuali transizioni politiche ancora fragili, e siano salvaguardati i più elementari diritti di quanti versano in tragiche situazioni umanitarie, come nel Darfur ed in altre regioni dell’Africa centrale. Induca i popoli latino-americani a vivere in pace e concordia. Infonda coraggio agli uomini di buona volontà, che operano in Terra Santa, in Iraq, in Libano, dove i segni di speranza, che pure non mancano, attendono di essere confermati da comportamenti ispirati a lealtà e saggezza; favorisca i processi di dialogo nella Penisola coreana e altrove nei Paesi asiatici, perché, superate pericolose divergenze, si giunga, in spirito amichevole, a coerenti conclusioni di pace, tanto attese da quelle popolazioni.   
Nel Natale il nostro animo si apre alla speranza contemplando la gloria divina nascosta nella povertà di un Bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia: è il Creatore dell’universo, ridotto all’impotenza di un neonato! Accettare questo paradosso, il paradosso del Natale, è scoprire la Verità che rende liberi, l’Amore che trasforma l’esistenza. Nella Notte di Betlemme, il Redentore si fa uno di noi, per esserci compagno sulle strade insidiose della storia. Accogliamo la mano che Egli ci tende: è una mano che nulla vuole toglierci, ma solo donare. 
Con i pastori entriamo nella capanna di Betlemme sotto lo sguardo amorevole di Maria, silenziosa testimone della nascita prodigiosa. Ci aiuti Lei a vivere un buon Natale; ci insegni a custodire nel cuore il mistero di Dio, che per noi si è fatto uomo; ci guidi a testimoniare nel mondo la sua verità, il suo amore, la sua pace. 
   
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sabato 6 ottobre 2018

Proselitismo e attrazione: le parole di Benedetto XVI ad Aparecida (13 maggio 2007)



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Oggi si cita spesso la frase sul proselitismo e la Chiesa che cresce per attrazione. E' bene rileggere attentamente tutto il testo per comprendere bene le parole del Santo Padre.
Grazie come sempre a Gemma :-)


SANTA MESSA DI INAUGURAZIONE
DELLA V CONFERENZA GENERALE
DELL’EPISCOPATO LATINOAMERICANO E DEI CARAIBI
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Spianata del Santuario dell'Aparecida
VI Domenica di Pasqua, 13 maggio 2007

 
Cari Fratelli nell’Episcopato,
cari sacerdoti e voi tutti, fratelli e sorelle nel Signore!

Non ci sono parole per esprimere la gioia di trovarmi con voi per celebrare questa solenne Eucaristia, in occasione dell’apertura della Quinta Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi. Rivolgo a ciascuno di voi il mio saluto più cordiale, in particolare all’Arcivescovo Raymundo Damasceno Assis, che ringrazio per le parole indirizzatemi a nome dell’intera assemblea, e ai Cardinali Presidenti di questa Conferenza Generale. Saluto con deferenza le Autorità civili e militari che ci onorano della loro presenza. Da questo Santuario estendo il mio pensiero, colmo di affetto e di preghiera, a tutti coloro che sono spiritualmente uniti a noi, in modo speciale alle comunità di vita consacrata, ai giovani impegnati nelle associazioni e nei movimenti, alle famiglie, come pure ai malati e agli anziani. A tutti dico: “Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo (1 Cor 1,3).
Considero un dono speciale della Provvidenza che questa Santa Messa venga celebrata in questo tempo e in questo luogo
Il tempo è quello liturgico di Pasqua, giunto alla sesta Domenica: è ormai vicina la Pentecoste, e la Chiesa è invitata ad intensificare l’invocazione allo Spirito Santo. Il luogo è il Santuario nazionale di Nostra Signora  Aparecida, cuore mariano del Brasile: Maria ci accoglie in questo Cenacolo e, quale Madre e Maestra, ci aiuta ad elevare a Dio una preghiera unanime e fiduciosa. Questa celebrazione liturgica costituisce il fondamento più solido della V Conferenza, perché pone alla sua base la preghiera e l’Eucaristia, Sacramentum caritatis. 
In effetti, solo la carità di Cristo, effusa dallo Spirito Santo, può fare di questa riunione un autentico evento ecclesiale, un momento di grazia per questo Continente e per il mondo intero. Oggi pomeriggio avrò la possibilità di entrare nel merito dei contenuti suggeriti dal tema della vostra Conferenza. Ora lasciamo spazio alla Parola di Dio, che abbiamo la gioia di accogliere insieme sul modello di Maria, Nostra Signora della Concezione, con cuore aperto e docile affinché, per la potenza dello Spirito Santo, Cristo possa nuovamente “prendere carne” nell’oggi della nostra storia.
La prima Lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, fa riferimento al cosiddetto “concilio di Gerusalemme”, che affrontò la questione se ai pagani diventati cristiani si dovesse imporre l’osservanza della legge mosaica. Il testo, saltando la discussione tra “gli apostoli e gli anziani” (vv. 4-21), riporta la decisione finale, che viene messa per iscritto in una lettera e affidata a due delegati, perché la rechino alla comunità di Antiochia (vv. 22-29). Questa pagina degli Atti è molto appropriata per noi, che pure siamo qui convenuti per una riunione ecclesiale. Ci richiama il senso del discernimento comunitario intorno alle grandi problematiche che la Chiesa incontra lungo il suo cammino e che vengono chiarite dagli “apostoli” e dagli “anziani” con la luce dello Spirito Santo, il quale, come dice il Vangelo odierno, ricorda l’insegnamento di Gesù Cristo (cfr Gv 14,26) e così aiuta la comunità cristiana a camminare nella carità verso la piena verità (cfr Gv 16,13). 
I capi della Chiesa discutono e si confrontano, ma sempre in atteggiamento di religioso ascolto della Parola di Cristo nello Spirito Santo. Perciò alla fine possono affermare: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…” (At 15,28).
Questo è il “metodo” con cui operiamo nella Chiesa, nelle piccole come nelle grandi assemblee. Non è solo una questione di procedura; è il riflesso della natura stessa della Chiesa, mistero di comunione con Cristo nello Spirito Santo.

Nel caso delle Conferenze Generali dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, la prima, quella del 1955 a Rio de Janeiro, si avvalse di una speciale Lettera inviata dal Papa Pio XII, di venerata memoria; nelle successive, fino all’attuale, è stato il Vescovo di Roma a raggiungere la sede della riunione continentale per presiederne le fasi iniziali. Con devota riconoscenza rivolgiamo il nostro pensiero ai Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, che alle Conferenze di Medellín, Puebla e Santo Domingo hanno portato la testimonianza della vicinanza della Chiesa universale alle Chiese che sono in America Latina e che costituiscono, in proporzione, la maggior parte della Comunità cattolica.
Lo Spirito Santo e noi”. Questo è la Chiesa: noi, la comunità credente, il Popolo di Dio, con i suoi Pastori chiamati a guidarne il cammino; insieme con lo Spirito Santo, Spirito del Padre mandato nel nome del Figlio Gesù, Spirito di Colui che è “più grande” di tutti e che ci è dato mediante Cristo, fattosi “piccolo” per noi. Spirito Paraclito, Ad-vocatus, Difensore e Consolatore. Egli ci fa vivere alla presenza di Dio, nell’ascolto della sua Parola, liberi dal turbamento e dal timore, con nel cuore la pace che Gesù ci ha lasciato e che il mondo non può dare (cfr Gv 14,26-27). Lo Spirito accompagna la Chiesa nel lungo cammino che si distende tra la prima e la seconda venuta di Cristo: “Vado e tornerò a voi” (Gv 14,28), disse Gesù agli Apostoli. Tra l’“andata” e il “ritorno” di Cristo c’è il tempo della Chiesa, che è il suo Corpo; ci sono i duemila anni finora trascorsi; ci sono anche questi cinque secoli e più in cui la Chiesa si è fatta pellegrina nelle Americhe, diffondendo nei credenti la vita di Cristo attraverso i Sacramenti e spargendo in queste terre il buon seme del Vangelo, che ha reso dove il trenta, dove il sessanta e dove il cento per uno. Tempo della Chiesa, tempo dello Spirito: è Lui il Maestro che forma i discepoli: li fa innamorare di Gesù; li educa all’ascolto della sua Parola, alla contemplazione del suo Volto; li conforma alla sua Umanità beata, povera in spirito, afflitta, mite, affamata di giustizia, misericordiosa, pura di cuore, operatrice di pace, perseguitata per la giustizia (cfr Mt 5,3-10). Così, grazie all’azione dello Spirito Santo, Gesù diventa la “Via” sulla quale il discepolo cammina. “Se uno mi ama osserverà la mia parola”, dice Gesù all’inizio del brano evangelico odierno. “La parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,23-24). Come Gesù trasmette le parole del Padre, così lo Spirito ricorda alla Chiesa le parole di Cristo (cfr Gv 14,26). E come l’amore per il Padre portava Gesù a cibarsi della sua volontà, così il nostro amore per Gesù si dimostra nell’obbedienza alle sue parole. La fedeltà di Gesù alla volontà del Padre può comunicarsi ai discepoli grazie allo Spirito Santo, che riversa l’amore di Dio nei loro cuori (cfr Rm 5,5).
Il Nuovo Testamento ci presenta Cristo come missionario del Padre. Specialmente nel Vangelo di Giovanni, tante volte Gesù parla di sé in relazione al Padre che lo ha inviato nel mondo. Così, anche nel testo di oggi, Gesù dice: “la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,24). In questo momento, cari amici, siamo invitati a fissare lo sguardo su di Lui, perché la missione della Chiesa sussiste solo in quanto prolungamento di quella di Cristo: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21). E l’evangelista mette in risalto, anche plasticamente, che questo passaggio di consegne avviene nello Spirito Santo: “Alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo…»” (Gv 20,22). La missione di Cristo si è compiuta nell’amore. Egli ha acceso nel mondo il fuoco della carità di Dio (cfr Lc 12,49). E’ l’Amore che dà la vita: per questo la Chiesa è inviata a diffondere nel mondo la carità di Cristo, perché gli uomini e i popoli “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Anche a voi, che rappresentate la Chiesa in America Latina, ho la gioia di riconsegnare oggi idealmente la mia Enciclica Deus caritas est, con la quale ho voluto indicare a tutti ciò che è essenziale nel messaggio cristiano. 

La Chiesa si sente discepola e missionaria di questo Amore: missionaria solo in quanto discepola, cioè capace di lasciarsi sempre attrarre con rinnovato stupore da Dio, che ci ha amati e ci ama per primo (cfr 1 Gv 4,10). La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per “attrazione”: come Cristo “attira tutti a sé” con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della Croce, così la Chiesa compie la sua missione nella misura in cui, associata a Cristo, compie ogni sua opera in conformità spirituale e concreta alla carità del suo Signore.

Cari fratelli! Ecco il tesoro inestimabile di cui è ricco il Continente latinoamericano, ecco il suo patrimonio più prezioso: la fede in Dio Amore, che in Cristo Gesù ha rivelato il suo volto. Voi credete in Dio Amore: questa è la vostra forza, che vince il mondo, la gioia che nulla e nessuno potrà togliervi, la pace che Cristo vi ha conquistato con la sua Croce! E’ questa fede che ha fatto dell’America il “Continente della speranza”. Non un’ideologia politica, non un movimento sociale, non un sistema economico; è la fede in Dio Amore, incarnato, morto e risorto in Gesù Cristo, l’autentico fondamento di questa speranza che tanti frutti magnifici ha portato, dall’epoca della prima evangelizzazione fino ad oggi, come attesta la schiera di Santi e Beati che lo Spirito ha suscitato in ogni parte del Continente. Il Papa Giovanni Paolo II vi ha chiamato ad una nuova evangelizzazione, e voi avete accolto il suo mandato con la generosità e l’impegno che vi sono tipici. Io ve lo confermo e, con le parole di questa Quinta Conferenza, vi dico: siate fedeli discepoli, per essere coraggiosi ed efficaci missionari.
La seconda Lettura ci ha presentato la stupenda visione della Gerusalemme celeste. E’ un’immagine di splendida bellezza, in cui nulla è decorativo, ma tutto concorre alla perfetta armonia della Città santa. Scrive il veggente Giovanni che questa “scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio” (Ap 20,10). Ma la gloria di Dio è l’Amore; pertanto la Gerusalemme celeste è icona della Chiesa tutta santa e gloriosa, senza macchia né ruga (cfr Ef 5,27), irradiata al suo centro e in ogni sua parte dalla presenza di Dio Carità. E’ chiamata “sposa”, “la sposa dell’Agnello” (Ap 20,9), perché in essa trova compimento la figura nuziale che attraversa dal principio alla fine la rivelazione biblica. La Città-Sposa è patria della piena comunione di Dio con gli uomini; in essa non c’è bisogno di alcun tempio né di alcuna fonte esterna di luce, perché la presenza di Dio e dell’Agnello è immanente e la illumina dall’interno.
Questa stupenda icona ha valore escatologico: esprime il mistero di bellezza che già costituisce la forma della Chiesa, anche se nonè ancora giunto alla sua pienezza. E’ la meta del nostro pellegrinaggio, la patria che ci attende e alla quale aneliamo. Vederla con gli occhi della fede, contemplarla e desiderarla, non deve costituire motivo di evasione dalla realtà storica in cui la Chiesa vive condividendo le gioie e le speranze, i dolori e le angosce dell’umanità contemporanea, specialmente dei più poveri e sofferenti (cfr Cost. Gaudium et spes, 1). Se la bellezza della Gerusalemme celeste è la gloria di Dio, cioè il suo amore, è proprio e solo nella carità che possiamo avvicinarci ad essa e in qualche misura già abitarvi. Chi ama il Signore Gesù e osserva la sua parola sperimenta già in questo mondo la misteriosa presenza di Dio Uno e Trino, come abbiamo sentito nel Vangelo: “Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Ogni cristiano, perciò, è chiamato a diventare pietra viva di questa stupenda “dimora di Dio con gli uomini”. Che magnifica vocazione!
Una Chiesa tutta animata e mobilitata dalla carità di Cristo, Agnello immolato per amore, è l’immagine storica della Gerusalemme celeste, l’anticipo della Città santa, splendente della gloria di Dio. Essa sprigiona una forza missionaria irresistibile, che è la forza della santità. La Vergine Maria ottenga alla Chiesa in America Latina e nei Caraibi di essere abbondantemente rivestita di potenza dall’alto (cfr Lc 24,49) per irradiare nel Continente e in tutto il mondo la santità di Cristo. A Lui sia gloria, con il Padre e lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.


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domenica 3 giugno 2018

Benedetto XVI: Se, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe «appiattito», e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita



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Il 7 giugno 2012, giovedì, Solennità del Corpus Domini, Benedetto XVI presiedette l'allora tradizionale Santa Messa del Corpus Domini sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano seguita dalla bellissima processione eucaristica fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore. Pronunciò un'omelia profetica sul significato dell'Eucarestia e dei riti che devono essere conservati.
Un vero peccato che anche questa fondamentale processione sia stata abolita e che la Solennità del Corpus Domini sia stata spostata alla domenica. Tant'è...
Grazie come sempre a Gemma :-)
R.


OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Giovedì, 7 giugno 2012

Cari fratelli e sorelle!

Questa sera vorrei meditare con voi su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità. E’ importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato.
Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. E’ l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa, prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine. Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II aveva  penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana.
In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre.
A questo proposito, mi piace sottolineare l’esperienza che vivremo anche stasera insieme. Nel momento dell’adorazione, noi siamo tutti sullo stesso piano, in ginocchio davanti al Sacramento dell’Amore. Il sacerdozio comune e quello ministeriale si trovano accomunati nel culto eucaristico. E’ un’esperienza molto bella e significativa, che abbiamo vissuto diverse volte nella Basilica di San Pietro, e anche nelle indimenticabili veglie con i giovani – ricordo ad esempio quelle di ColoniaLondraZagabriaMadrid. E’ evidente a tutti che questi momenti di veglia eucaristica preparano la celebrazione della Santa Messa, preparano i cuori all’incontro, così che questo risulta anche più fruttuoso. Stare tutti in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita. Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale. E purtroppo, se manca questa dimensione, anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da parte nostra, un gesto superficiale. Invece, nella vera comunione, preparata dal colloquio della preghiera e della vita, noi possiamo dire al Signore parole di confidenza, come quelle risuonate poco fa nel Salmo responsoriale: «Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: / tu hai spezzato le mie catene. / A te offrirò un sacrificio di ringraziamento / e invocherò il nome del Signore» (Sal 115,16-17).
Ora vorrei passare brevemente al secondo aspetto: la sacralità dell’Eucaristia. Anche qui abbiamo risentito nel passato recente di un certo fraintendimento del messaggio autentico della Sacra Scrittura. La novità cristiana riguardo al culto è stata influenzata da una certa mentalità secolaristica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. E’ vero, e rimane sempre valido, che il centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso, nella sua persona, nella sua vita, nel suo mistero pasquale. E tuttavia da questa novità fondamentale non si deve concludere che il sacro non esista più, ma che esso ha trovato il suo compimento in Gesù Cristo, Amore divino incarnato. La Lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato questa sera nella seconda Lettura, ci parla proprio della novità del sacerdozio di Cristo, «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), ma non dice che il sacerdozio sia finito. Cristo «è mediatore di un’alleanza nuova» (Eb 9,15), stabilita nel suo sangue, che purifica «la nostra coscienza dalle opere di morte» (Eb 9,14). Egli non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (cfr Ap 21,22). Grazie a Cristo, la sacralità è più vera, più intensa, e, come avviene per i comandamenti, anche più esigente! Non basta l’osservanza rituale, ma si richiede la purificazione del cuore e il coinvolgimento della vita.
Mi piace anche sottolineare che il sacro ha una funzione educativa, e la sua scomparsa inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni. Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe «appiattito», e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita. 
Oppure pensiamo a una mamma e a un papà che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli. 
Dio, nostro Padre, non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso. Con questa fede, cari fratelli e sorelle, noi celebriamo oggi e ogni giorno il Mistero eucaristico e lo adoriamo quale centro della nostra vita e cuore del mondo. Amen.

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giovedì 31 maggio 2018

Benedetto XVI: possiamo dire che il viaggio di Maria verso la casa di Elisabetta è stato la prima “processione eucaristica” della storia (YouTube)



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Il 31 maggio 2005, in occasione della chiusura del Mese Mariano, Benedetto XVI si recò nei Giardini Vaticani (com'era allora tradizione) per celebrare l'evento con i cittadini e i lavoratori del Vaticano.
Descrisse in modo particolare la visita di Maria alla cugina Elisabetta. Grazie come sempre a Gemma :-)


DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

DURANTE LA CELEBRAZIONE MARIANA  

PER LA CONCLUSIONE DEL MESE DI MAGGIO IN VATICANO

Grotta della Madonna di Lourdes nei Giardini Vaticani 

Martedì, 31 maggio 2005

Cari Fratelli e Sorelle!

Con grande gioia mi unisco a voi al termine di questo incontro di preghiera, promosso dal Vicariato della Città del Vaticano. Vedo con piacere che siete in molti radunati nei Giardini Vaticani, per la conclusione del mese di maggio. In particolare, tra voi ci sono tante persone che vivono o lavorano in Vaticano e le loro famiglie. Saluto tutti cordialmente; in special modo i Signori Cardinali ed i Vescovi, iniziando da Monsignor Angelo Comastri, che ha guidato quest’incontro di preghiera. Saluto poi i sacerdoti, i religiosi, le religiose presenti, con un pensiero anche alle Suore contemplative del Monastero Mater Ecclesiae a noi unite spiritualmente.
Cari amici, siete saliti alla Grotta di Lourdes recitando il santo Rosario, quasi rispondendo all’invito della Vergine ad elevare lo spirito verso il Cielo. La Madonna ci accompagna ogni giorno nella nostra preghiera. Nello speciale Anno dell’Eucaristia, che stiamo vivendo, Maria ci aiuta soprattutto a scoprire sempre più il grande sacramento dell’Eucaristia. L’amato Papa Giovanni Paolo II nell’ultima Enciclica - Ecclesia de Eucharistia – ce l’ha presentata come “donna eucaristica” nell’intera sua vita (cfr n. 53). “Donna eucaristica” in profondità, a partire dal suo atteggiamento interiore: dall’Annunciazione, quando offrì se stessa per l’incarnazione del Verbo di Dio, fino alla croce e alla risurrezione; “donna eucaristica” nel tempo dopo la Pentecoste, quando ricevette nel Sacramento quel Corpo che aveva concepito e portato in grembo.
In particolare oggi, con la liturgia, ci soffermiamo a meditare il mistero della Visitazione della Vergine a santa Elisabetta. Maria si reca dall’anziana cugina Elisabetta, che tutti dicevano sterile e che invece era giunta al sesto mese di una gravidanza donata da Dio (cfr Lc 1,36), portando in grembo Gesù appena concepito. 

E’ una giovane ragazza, ma non ha paura, perché Dio è con lei, dentro di lei. In un certo modo possiamo dire che il suo viaggio è stato – ci piace sottolinearlo in questo Anno dell’Eucaristia -  la prima “processione eucaristica” della storia. Tabernacolo vivente del Dio fatto carne, Maria è l’arca dell’Alleanza, nella quale il Signore ha visitato e redento il suo popolo. La presenza di Gesù la ricolma di Spirito Santo. Quando entra nella casa di Elisabetta, il suo saluto è traboccante di grazia: Giovanni sussulta nel grembo della madre, quasi avvertendo la venuta di Colui che dovrà un domani annunciare ad Israele. Esultano i figli, esultano le madri. Quest’incontro pervaso dalla gioia dello Spirito trova la sua espressione nel cantico del Magnificat.

Non è forse questa anche la gioia della Chiesa, che incessantemente accoglie Cristo nella santa Eucaristia e lo porta nel mondo con la testimonianza della carità operosa, permeata di fede e di speranza? Sì, accogliere Gesù e portarlo agli altri è la vera gioia del cristiano! Cari fratelli e sorelle, seguiamo ed imitiamo Maria, un’anima profondamente eucaristica, e tutta la nostra vita diventerà un Magnificat (cfr Ecclesia de Eucaristia58). Sia questa la grazia che insieme questa sera domandiamo alla Vergine Santissima, a conclusione del mese di maggio. A voi tutti la mia benedizione.            

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lunedì 14 maggio 2018

Lo storico discorso di Benedetto XVI al Parlamento britannico (Westminster Hall, 17.09.2010)



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Il 17 settembre 2010, in occasione del suo Viaggio Apostolico nel Regno Unito, Benedetto XVI incontrò le Autorità Civili dello Stato nella Westminster Hall (City of Westminster).
Tenne un discorso storico che possiamo riascoltare in questo video.
Un ringraziamento davvero speciale a Gemma per l'impegno nella realizzazione di questo lavoro e per l'inserimento dei sottotitoli in italiano.

INCONTRO CON LE AUTORITÁ CIVILI

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI*

Westminster Hall - City of Westminster

Venerdì, 17 settembre 2010

    
Signor Presidente,

La ringrazio per le parole di benvenuto che mi ha rivolto a nome di questa distinta assemblea. Nel rivolgermi a voi, sono consapevole del privilegio che mi è concesso di parlare al popolo britannico ed ai suoi rappresentanti nella Westminster Hall, un edificio che ha un significato unico nella storia civile e politica degli abitanti di queste Isole. 
Permettetemi di manifestare la mia stima per il Parlamento, che da secoli ha sede in questo luogo e che ha avuto un’influenza così profonda sullo sviluppo di forme di governo partecipative nel mondo, specialmente nel Commonwealth e più in generale nei Paesi di lingua inglese. La vostra tradizione di “common law” costituisce la base del sistema legale in molte nazioni, e la vostra particolare visione dei rispettivi diritti e doveri dello stato e del singolo cittadino, e della separazione dei poteri, rimane come fonte di ispirazione per molti nel mondo.
Mentre parlo a voi in questo luogo storico, penso agli innumerevoli uomini e donne che lungo i secoli hanno svolto la loro parte in importanti eventi che hanno avuto luogo tra queste mura e hanno segnato la vita di molte generazione di britannici e di altri popoli. 
In particolare, vorrei ricordare la figura di San Tommaso Moro, il grande studioso e statista inglese, ammirato da credenti e non credenti per l’integrità con cui fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al sovrano, di cui era “buon servitore”, poiché aveva scelto di servire Dio per primo. Il dilemma con cui Tommaso Moro si confrontava, in quei tempi difficili, la perenne questione del rapporto tra ciò che è dovuto a Cesare e ciò che è dovuto a Dio, mi offre l’opportunità di riflettere brevemente con voi sul giusto posto che il credo religioso mantiene nel processo politico.
La tradizione parlamentare di questo Paese deve molto al senso istintivo di moderazione presente nella Nazione, al desiderio di raggiungere un giusto equilibrio tra le legittime esigenze del potere dello stato e i diritti di coloro che gli sono soggetti. Se da un lato, nella vostra storia, sono stati compiuti a più riprese dei passi decisivi per porre dei limiti all’esercizio del potere, dall’altro le istituzioni politiche della nazione sono state in grado di evolvere all’interno di un notevole grado di stabilità. 
In tale processo storico, la Gran Bretagna è emersa come una democrazia pluralista, che attribuisce un grande valore alla libertà di espressione, alla libertà di affiliazione politica e al rispetto dello stato di diritto, con un forte senso dei diritti e doveri dei singoli, e dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. La dottrina sociale cattolica, pur formulata in un linguaggio diverso, ha molto in comune con un tale approccio, se si considera la sua fondamentale preoccupazione per la salvaguardia della dignità di ogni singola persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio, e la sua sottolineatura del dovere delle autorità civili di promuovere il bene comune.
E, in verità, le questioni di fondo che furono in gioco nel processo contro Tommaso Moro continuano a presentarsi, in termini sempre nuovi, con il mutare delle condizioni sociali. Ogni generazione, mentre cerca di promuovere il bene comune, deve chiedersi sempre di nuovo: quali sono le esigenze che i governi possono ragionevolmente imporre ai propri cittadini, e fin dove esse possono estendersi? A quale autorità ci si può appellare per risolvere i dilemmi morali? Queste questioni ci portano direttamente ai fondamenti etici del discorso civile. Se i principi morali che sostengono il processo democratico non si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua evidenza. Qui si trova la reale sfida per la democrazia.
L’inadeguatezza di soluzioni pragmatiche, di breve termine, ai complessi problemi sociali ed etici è stata messa in tutta evidenza dalla recente crisi finanziaria globale. Vi è un vasto consenso sul fatto che la mancanza di un solido fondamento etico dell’attività economica abbia contribuito a creare la situazione di grave difficoltà nella quale si trovano ora milioni di persone nel mondo. Così come “ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale” (Caritas in Veritate, 37), analogamente, nel campo politico, la dimensione morale delle politiche attuate ha conseguenze di vasto raggio, che nessun governo può permettersi di ignorare. Una positiva esemplificazione di ciò si può trovare in una delle conquiste particolarmente rimarchevoli del Parlamento britannico: l’abolizione del commercio degli schiavi. La campagna che portò a questa legislazione epocale, si basò su principi morali solidi, fondati sulla legge naturale, e ha costituito un contributo alla civilizzazione di cui questa nazione può essere giustamente orgogliosa.
La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi. 
Questo ruolo “correttivo” della religione nei confronti della ragione, tuttavia, non è sempre bene accolto, in parte poiché delle forme distorte di religione, come il settarismo e il fondamentalismo, possono mostrarsi esse stesse causa di seri problemi sociali. E, a loro volta, queste distorsioni della religione emergono quando viene data una non sufficiente attenzione al ruolo purificatore e strutturante della ragione all’interno della religione. È un processo che funziona nel doppio senso. Senza il correttivo fornito dalla religione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana. Fu questo uso distorto della ragione, in fin dei conti, che diede origine al commercio degli schiavi e poi a molti altri mali sociali, non da ultimo le ideologie totalitarie del ventesimo secolo. Per questo vorrei suggerire che il mondo della ragione ed il mondo della fede – il mondo della secolarità razionale e il mondo del credo religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà.
La religione, in altre parole, per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione. In tale contesto, non posso che esprimere la mia preoccupazione di fronte alla crescente marginalizzazione della religione, in particolare del Cristianesimo, che sta prendendo piede in alcuni ambienti, anche in nazioni che attribuiscono alla tolleranza un grande valore. Vi sono alcuni che sostengono che la voce della religione andrebbe messa a tacere, o tutt’al più relegata alla sfera puramente privata. 
Vi sono alcuni che sostengono che la celebrazione pubblica di festività come il Natale andrebbe scoraggiata, secondo la discutibile convinzione che essa potrebbe in qualche modo offendere coloro che appartengono ad altre religioni o a nessuna. E vi sono altri ancora che – paradossalmente con lo scopo di eliminare le discriminazioni – ritengono che i cristiani che rivestono cariche pubbliche dovrebbero, in determinati casi, agire contro la propria coscienza. 
Questi sono segni preoccupanti dell’incapacità di tenere nel giusto conto non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione nella sfera pubblica. Vorrei pertanto invitare tutti voi, ciascuno nelle rispettive sfere di influenza, a cercare vie per promuovere ed incoraggiare il dialogo tra fede e ragione ad ogni livello della vita nazionale.
La vostra disponibilità in questo senso si è già manifestata nell’invito senza precedenti che mi avete rivolto oggi, e trova espressione in quei settori di interesse nei quali il vostro Governo si è impegnato insieme alla Santa Sede. Nel campo della pace, vi sono stati degli scambi circa l’elaborazione di un trattato internazionale sul commercio di armi; circa i diritti umani, la Santa Sede ed il Regno Unito hanno visto positivamente il diffondersi della democrazia, specialmente negli ultimi 65 anni; nel campo dello sviluppo, vi è stata collaborazione nella remissione del debito, nel commercio equo e nel finanziamento allo sviluppo, in particolare attraverso la “International Finance Facility”, l’”International Immunization Bond” e l’”Advanced Market Commitment”. La Santa Sede è inoltre desiderosa di ricercare, con il Regno Unito, nuove strade per promuovere la responsabilità ambientale, a beneficio di tutti.
Noto inoltre che l’attuale Governo si è impegnato a devolvere entro il 2013 lo 0,7% del Reddito nazionale in favore degli aiuti allo sviluppo. È stato incoraggiante, negli ultimi anni, notare i segni positivi di una crescita della solidarietà verso i poveri che riguarda tutto il mondo. Ma per tradurre questa solidarietà in azione effettiva c’è bisogno di idee nuove, che migliorino le condizioni di vita in aree importanti quali la produzione del cibo, la pulizia dell’acqua, la creazione di posti di lavoro, la formazione, l’aiuto alle famiglie, specialmente dei migranti, e i servizi sanitari di base. 
Quando è in gioco la vita umana, il tempo si fa sempre breve: in verità, il mondo è stato testimone delle vaste risorse che i governi sono in grado di raccogliere per salvare istituzioni finanziarie ritenute “troppo grandi per fallire”. Certamente lo sviluppo integrale dei popoli della terra non è meno importante: è un’impresa degna dell’attenzione del mondo, veramente “troppo grande per fallire”.
Questo sguardo generale alla cooperazione recente tra Regno Unito e Santa Sede mostra bene quanto progresso sia stato fatto negli anni trascorsi dallo stabilimento di relazioni diplomatiche bilaterali, in favore della promozione nel mondo dei molti valori di fondo che condividiamo. Spero e prego che questa relazione continuerà a portare frutto e che si rifletterà in una crescente accettazione della necessità di dialogo e rispetto, a tutti i livelli della società, tra il mondo della ragione ed il mondo della fede. Sono certo che anche in questo Paese vi sono molti campi in cui la Chiesa e le pubbliche autorità possono lavorare insieme per il bene dei cittadini, in armonia con la storica pratica di questo Parlamento di invocare la guida dello Spirito su quanti cercano di migliorare le condizioni di vita di tutto il genere umano. 
Affinché questa cooperazione sia possibile, le istituzioni religiose, comprese quelle legate alla Chiesa cattolica, devono essere libere di agire in accordo con i propri principi e le proprie specifiche convinzioni, basate sulla fede e sull’insegnamento ufficiale della Chiesa. In questo modo potranno essere garantiti quei diritti fondamentali, quali la libertà religiosa, la libertà di coscienza e la libertà di associazione. Gli angeli che ci guardano dalla magnifica volta di questa antica Sala ci ricordano la lunga tradizione da cui il Parlamento britannico si è sviluppato. Essi ci ricordano che Dio vigila costantemente su di noi, per guidarci e proteggerci. Ed essi ci chiamano a riconoscere il contributo vitale che il credo religioso ha reso e può continuare a rendere alla vita della nazione.
Signor Presidente, La ringrazio ancora per questa opportunità di rivolgermi brevemente a questo distinto uditorio. Mi permetta di assicurare a Lei e al Signor Presidente della Camera dei Lords i miei auguri e la mia costante preghiera per Voi e per il fruttuoso lavoro di entrambe le Camere di questo antico Parlamento. Grazie, e Dio vi benedica tutti!

*L'Osservatore Romano 19.9.2010 p.4, 5.

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martedì 8 maggio 2018

Benedetto XVI: Il giorno della mia prima Comunione è stato uno dei più bei giorni della mia vita (YouTube)



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Il 19 novembre 2011, in occasione del suo Viaggio Apostolico in Benin, Benedetto XVI incontrò i bambini della Chiesa parrocchiale di Santa Rita a Cotonou. Tenne un bellissimo discorso sull'importanza dell'Eucarestia (parlò anche della sua Prima Comunione) e della recita del Santo Rosario. Il testo integrale del discorso si trova qui.
Grazie come sempre a Gemma per il grande lavoro reso ancora più prezioso dai sottotitoli che ha creato personalmente.
R.


INCONTRO CON I BAMBINI
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI 


Chiesa parrocchiale di Santa Rita - Cotonou
Sabato, 19 novembre 2011

  
Cari bambini!

Ringrazio Monsignor René-Marie Ehuzu, Vescovo di Porto Novo e responsabile della Pastorale Sociale della Conferenza Episcopale del Benin, per le sue parole di accoglienza. Dico grazie anche al Signor Parroco e ad Aïcha per ciò che essi mi hanno detto a nome di tutti voi. Dopo questo bel momento di adorazione, è con grande gioia che io vi saluto. Grazie di essere venuti così numerosi!
Dio nostro Padre ci ha riunito attorno al suo Figlio e nostro Fratello, Gesù Cristo, presente nell’Ostia consacrata durante la Messa. È un grande mistero davanti al quale si adora e si crede. Gesù, che ci ama tanto, è veramente presente nei tabernacoli di tutte le chiese del mondo, nei tabernacoli delle chiese dei vostri quartieri e delle vostre parrocchie. Io vi invito a farGli visita spesso per dirGli il vostro amore.

Alcuni tra voi hanno già fatto la prima Comunione, altri vi si preparano. Il giorno della mia prima Comunione è stato uno dei più bei giorni della mia vita. Non lo è stato forse anche per voi? Perché? Non è solo a causa dei bei vestiti o dei regali o anche del pranzo della festa! È soprattutto perché, quel giorno, riceviamo per la prima volta Gesù Cristo. Quando io faccio la comunione, Gesù viene ad abitare in me. Devo accoglierlo con amore e ascoltarlo attentamente. 

Nel profondo del mio cuore, posso dirgli per esempio: «Gesù, io so che tu mi ami. Dammi il tuo amore così che io ti ami e ami gli altri con il tuo amore. Ti affido le mie gioie, le mie pene e il mio futuro». Non esitate, cari bambini, a parlare di Gesù agli altri. Egli è un tesoro che bisogna saper condividere con generosità. Nella storia della Chiesa, l’amore di Gesù ha riempito di coraggio e di forza tanti cristiani e anche dei bambini come voi! Così, san Kizito, un ragazzo ugandese, è stato messo a morte perché voleva vivere secondo il Battesimo che aveva ricevuto. Kizito pregava. Aveva capito che Dio è non solo importante, ma che è tutto.

E che cos’è la preghiera? È un grido d’amore lanciato verso Dio nostro Padre con la volontà di imitare Gesù nostro fratello. Gesù si ritirava in disparte per pregare. Come Gesù, anch’io posso trovare ogni giorno un luogo calmo in cui mi raccolgo davanti a una croce o ad una immagine sacra per parlare a Gesù e ascoltarlo. Posso anche usare il Vangelo. Poi conservo nel mio cuore un passo che mi colpisce e mi può guidare durante la giornata. Restare così un po’ di tempo con Gesù, Gli permette di riempirmi del suo amore, della sua luce e della sua vita! Questo amore che ricevo nella preghiera, sono chiamato a donarlo a mia volta ai miei genitori, ai miei amici, a tutti quelli con cui vivo, anche a coloro che non mi amano, e anche a coloro che non apprezzo molto. 

Cari bambini, Gesù vi ama! Chiedete anche ai vostri genitori di pregare con voi! A volte, bisogna spingerli un po’. Non esitate a farlo. Dio è così importante!
La Vergine Maria, sua Madre, vi insegni ad amarLo sempre più attraverso la preghiera, il perdono e la carità

Vi affido tutti a Lei, come pure i vostri familiari e i vostri educatori. Guardate! Tiro fuori un rosario dalla mia tasca. Il rosario è come uno strumento che si può utilizzare per pregare. È semplice pregare il rosario. Forse lo conoscete già, altrimenti chiedete ai vostri genitori di insegnarvi. Del resto, alla fine del nostro incontro ciascuno di voi riceverà un rosario. Quando lo avrete in mano, potrete pregare per il Papa - vi chiedo di farlo - per la Chiesa e per tutte le intenzioni importanti. E ora, prima che io vi benedica tutti con grande affetto, preghiamo insieme un’Ave Maria per i bambini del mondo intero, specialmente per quelli che soffrono la malattia, la fame e la guerra. Ora preghiamo: Ave Maria,…




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lunedì 30 aprile 2018

Joseph Ratzinger, cardinale e Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (YouTube)



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Il 25 novembre 1981 Giovanni Paolo II nomina il cardinale Joseph Ratzinger Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il primo fra i dicasteri vaticani. Il giovane porporato lascia così la guida dell'arcidiocesi bavarese di Monaco e Frisinga per trasferirsi definitivamente a Roma. Ricopre l'incarico di Prefetto dell'ex Sant'Uffizio per oltre vent'anni, fino alla morte di Papa Wojtyla di cui diventa il successore.
In questo video rivediamo il lavoro del cardinale Ratzinger e rileggiamo alcuni titoli di giornale per ripercorrere i tratti salienti del suo incarico. Evidente anche il grande legame fra il Papa polacco e il futuro Papa tedesco.

Grazie come sempre a Gemma per il grandissimo lavoro :-)
R.

giovedì 19 aprile 2018

Joseph Ratzinger: da professore a vescovo. Rarissime immagini del futuro Benedetto XVI (YouTube)



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Nel 1977 il Prof. Joseph Ratzinger è uno stimatissimo docente di teologia presso l'Università di Ratisbona. Paolo VI gli chiede però un sacrificio: rinunciare al lavoro che tanto amava per diventare arcivescovo di Monaco e Frisinga. Il professore accetta. Nello stesso anno viene nominato cardinale e partecipa nel 1978 ai conclavi che eleggono Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II.
Come arcivescovo accoglie Papa Wojtyla nel suo Viaggio Apostolico in Baviera. Nel 1982 lascia l'arcidiocesi per un nuovo importantissimo incarico: il Papa lo nomina Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. E' il momento di cambiare di nuovo vita con il trasferimento a Roma.
Grazie di vero cuore alla nostra Gemma :-)
Buona giornata a tutti nel ricordo del 19 aprile 2005, giorno in cui Joseph Ratzinger fu eletto al Soglio di Pietro.
R.

Card. Ratzinger: Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo (18.04.2005)



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Carissimi amici, il 18 aprile 2005 l'allora cardinale Joseph Ratzinger, decano del Collegio Cardinalizio, pronunciava un'omelia profetica e valida ancora oggi (soprattutto oggi!) sul concetto di misericordia e sul pericolo del relativismo.

Riascoltiamo e rileggiamo.
Buona giornata a tutti :-)
R.

MISSA PRO ELIGENDO ROMANO PONTIFICE

OMELIA DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER DECANO DEL COLLEGIO CARDINALIZIO


Basilica di San Pietro

Lunedì 18 aprile 2005

Is 61, 1 - 3a. 6a. 8b - 9

Ef 4, 11 - 16
Gv 15, 9 - 17

In quest’ora di grande responsabilità, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il Signore ci dice con le sue stesse parole. Dalle tre letture vorrei scegliere solo qualche passo, che ci riguarda direttamente in un momento come questo.

La prima lettura offre un ritratto profetico della figura del Messia – un ritratto che riceve tutto il suo significato dal momento in cui Gesù legge questo testo nella sinagoga di Nazareth, quando dice: “Oggi si è adempiuta questa scrittura” (Lc 4, 21). Al centro del testo profetico troviamo una parola che – almeno a prima vista – appare contraddittoria. Il Messia, parlando di sé, dice di essere mandato “a promulgare l’anno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio.” (Is 61, 2). 
Ascoltiamo, con gioia, l’annuncio dell’anno di misericordia: la misericordia divina pone un limite al male - ci ha detto il Santo Padre. Gesù Cristo è la misericordia divina in persona: incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio. Il mandato di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso l’unzione sacerdotale; siamo chiamati a promulgare – non solo a parole ma con la vita, e con i segni efficaci dei sacramenti, “l’anno di misericordia del Signore”. Ma cosa vuol dire Isaia quando annuncia il “giorno della vendetta per il nostro Dio”? 
Gesù, a Nazareth, nella sua lettura del testo profetico, non ha pronunciato queste parole – ha concluso annunciando l’anno della misericordia. É stato forse questo il motivo dello scandalo realizzatosi dopo la sua predica? Non lo sappiamo. In ogni caso il Signore ha offerto il suo commento autentico a queste parole con la morte di croce. “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce…”, dice San Pietro (1 Pt 2, 24). E San Paolo scrive ai Galati: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede” (Gal 3, 13s).

La misericordia di Cristo non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente. Il giorno della vendetta e l’anno della misericordia coincidono nel mistero pasquale, nel Cristo morto e risorto. Questa è la vendetta di Dio: egli stesso, nella persona del Figlio, soffre per noi. Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza – diveniamo disponibili a completare nella nostra carne “quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col 1, 24).


Passiamo alla seconda lettura, alla lettera agli Efesini. Qui si tratta in sostanza di tre cose: in primo luogo, dei ministeri e dei carismi nella Chiesa, come doni del Signore risorto ed asceso al cielo; quindi, della maturazione della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, come condizione e contenuto dell’unità nel corpo di Cristo; ed, infine, della comune partecipazione alla crescita del corpo di Cristo, cioè della trasformazione del mondo nella comunione col Signore.


Soffermiamoci solo su due punti. Il primo è il cammino verso “la maturità di Cristo”; così dice, un po’ semplificando, il testo italiano. Più precisamente dovremmo, secondo il testo greco, parlare della “misura della pienezza di Cristo”, cui siamo chiamati ad arrivare per essere realmente adulti nella fede. Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità. E in che cosa consiste l’essere fanciulli nella fede? Risponde San Paolo: significa essere “sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (Ef 4, 14). Una descrizione molto attuale!


Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). 


Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.


Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo.


“Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo.

Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1).

Veniamo ora al Vangelo, dalla cui ricchezza vorrei estrarre solo due piccole osservazioni. Il Signore ci rivolge queste meravigliose parole: “Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici” (Gv 15, 15). Tante volte sentiamo di essere - come è vero - soltanto servi inutili (cf Lc 17, 10). E, ciò nonostante, il Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, ci dona la sua amicizia. Il Signore definisce l’amicizia in un duplice modo. Non ci sono segreti tra amici: Cristo ci dice tutto quanto ascolta dal Padre; ci dona la sua piena fiducia e, con la fiducia, anche la conoscenza. Ci rivela il suo volto, il suo cuore. Ci mostra la sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato che va fino alla follia della croce. Si affida a noi, ci dà il potere di parlare con il suo io: “questo è il mio corpo...”, “io ti assolvo...”. Affida il suo corpo, la Chiesa, a noi. Affida alle nostre deboli menti, alle nostre deboli mani la sua verità – il mistero del Dio Padre, Figlio e Spirito Santo; il mistero del Dio che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16). Ci ha reso suoi amici – e noi come rispondiamo?


Il secondo elemento, con cui Gesù definisce l’amicizia, è la comunione delle volontà. “Idem velle – idem nolle”, era anche per i Romani la definizione di amicizia. “Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando” (Gv 15, 14). L’amicizia con Cristo coincide con quanto esprime la terza domanda del Padre nostro: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. Nell’ora del Getsemani Gesù ha trasformato la nostra volontà umana ribelle in volontà conforme ed unita alla volontà divina. Ha sofferto tutto il dramma della nostra autonomia – e proprio portando la nostra volontà nelle mani di Dio, ci dona la vera libertà: “Non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 21, 39). In questa comunione delle volontà si realizza la nostra redenzione: essere amici di Gesù, diventare amici di Dio. Quanto più amiamo Gesù, quanto più lo conosciamo, tanto più cresce la nostra vera libertà, cresce la gioia di essere redenti. Grazie Gesù, per la tua amicizia!


L’altro elemento del Vangelo - cui volevo accennare - è il discorso di Gesù sul portare frutto: “Vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15, 16). Appare qui il dinamismo dell’esistenza del cristiano, dell’apostolo: vi ho costituito perché andiate… Dobbiamo essere animati da una santa inquietudine: l’inquietudine di portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo. In verità, l’amore, l’amicizia di Dio ci è stata data perché arrivi anche agli altri. Abbiamo ricevuto la fede per donarla ad altri – siamo sacerdoti per servire altri. E dobbiamo portare un frutto che rimanga. Tutti gli uomini vogliono lasciare una traccia che rimanga. Ma che cosa rimane? Il denaro no. Anche gli edifici non rimangono; i libri nemmeno. Dopo un certo tempo, più o meno lungo, tutte queste cose scompaiono. 


L’unica cosa, che rimane in eterno, è l’anima umana, l’uomo creato da Dio per l’eternità. Il frutto che rimane è perciò quanto abbiamo seminato nelle anime umane – l’amore, la conoscenza; il gesto capace di toccare il cuore; la parola che apre l’anima alla gioia del Signore. Allora andiamo e preghiamo il Signore, perché ci aiuti a portare frutto, un frutto che rimane. Solo così la terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio.


Ritorniamo infine, ancora una volta, alla lettera agli Efesini. La lettera dice - con le parole del Salmo 68 - che Cristo, ascendendo in cielo, “ha distribuito doni agli uomini” (Ef 4, 8). Il vincitore distribuisce doni. E questi doni sono apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Il nostro ministero è un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo – il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia. Amen.

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