domenica 22 gennaio 2017

Benedetto XVI: Ogni Africano e ogni sofferente aiutano Cristo a portare la sua Croce (YouTube)



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Buona domenica carissimi amici!!!
Grazie al lavoro della nostra Gemma riascoltiamo e rileggiamo un importantissimo discorso di Benedetto XVI sulla sofferenza e sulle risposte che il Cristianesimo dà di fronte alle tante tragedie che avvengono nel mondo.
Il 19 marzo 2009, Solennità di San Giuseppe, in occasione del suo Viaggio Apostolico in Camerun, Benedetto XVI si recò al Centro Card. Paul Emile Léger di Yaoundé dove incontrò il mondo della sofferenza. Tenne un discorso fondamentale su questo tema richiamandosi alle Scritture e portando conforto ai malati.

INCONTRO CON IL MONDO DELLA SOFFERENZA

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Centro Card. Paul Emile Léger - CNRH di Yaoundé
Giovedì, 19 marzo 2009

Signori Cardinali,
Signora Ministro per gli Affari Sociali,
Signor Ministro della Sanità,
Cari fratelli nell’Episcopato e caro Monsignor Giuseppe Djida,
Signor Direttore del Centro Cardinal Léger,
Gentile personale assistenziale, cari malati,

ho vivamente desiderato trascorrere questi momenti con voi, e sono felice di potervi salutare. Un saluto particolare rivolgo a voi, fratelli e sorelle che portate il peso della malattia e della sofferenza. 
Voi sapete di non essere soli nella vostra sofferenza, perché Cristo stesso è solidale con coloro che soffrono. Egli rivela ai malati e agli infermi il posto che essi hanno nel cuore di Dio e nella società. 
L’evangelista Marco ci offre come esempio la guarigione della suocera di Pietro: “Senza attendere oltre – sta scritto - si parla a Gesù della malata. Gesù si avvicina a lei, la prende per mano e la fa alzare” (Mc 1,30-31). In questo passo del Vangelo noi vediamo Gesù vivere una giornata tra i malati per sollevarli. Egli ci rivela anche, con gesti concreti, la sua tenerezza e la sua benevola attenzione verso tutti quelli che hanno il cuore spezzato e il corpo ferito.

Da questo Centro, che porta il nome del Cardinale Paolo Emilio Léger, figlio del Canada, che venne tra voi per curare i corpi e le anime, io non dimentico coloro che, nelle loro case, negli ospedali, negli ambienti specializzati o nei dispensari, sono portatori di un handicap, sia motorio che mentale, né coloro che nella loro carne portano i segni delle violenze e delle guerre. 
Penso anche a tutti i malati, e specialmente qui, in Africa, a quelli che sono vittime di malattie come l’Aids, la malaria e la tubercolosi. 
So bene come presso di voi la Chiesa cattolica sia fortemente impegnata in una lotta efficace contro questi terribili flagelli, e la incoraggio a proseguire con determinazione questa opera urgente. A voi che siete provati dalla malattia e dalla sofferenza, a tutte le vostre famiglie, desidero portare da parte del Signore un pò di conforto, rinnovarvi il mio sostegno ed invitarvi a rivolgervi a Cristo e a Maria che egli ci ha dato come Madre. Ella ha conosciuto la sofferenza, ed ha seguito suo Figlio sul cammino del Calvario, conservando nel suo cuore l’amore medesimo che Gesù è venuto a portare a tutti gli uomini.

Davanti alla sofferenza, la malattia e la morte, l’uomo è tentato di gridare sotto l’effetto del dolore, come ha fatto Giobbe, il cui nome significa ‘sofferente’ (cfr Gregorio Magno, Moralia in Job, I, 1, 15). Gesù stesso ha gridato poco prima di morire (cfr Mc 15,37; Eb 5,7). Quando la nostra condizione si degrada, l’angoscia aumenta; alcuni sono tentati di dubitare della presenza di Dio nella loro esistenza. Giobbe, al contrario, è consapevole della presenza di Dio nella sua vita; il suo grido non si fa ribellione, ma, dal profondo della sua sventura, egli fa emergere la sua fiducia (cfr Gb 19;42,2-6). 
I suoi amici, come ognuno di noi davanti alla sofferenza di una persona cara, si sforzano di consolarlo, ma usano delle parole vuote.

In presenza di sofferenze atroci, noi ci sentiamo sprovveduti e non troviamo le parole giuste. Davanti ad un fratello o una sorella immerso nel mistero della Croce, il silenzio rispettoso e compassionevole, la nostra presenza sostenuta dalla preghiera, un gesto di tenerezza e di conforto, uno sguardo, un sorriso, possono fare più che tanti discorsi. Questa esperienza è stata vissuta da un piccolo gruppo di uomini e donne tra i quali la Vergine Maria e l’Apostolo Giovanni, che hanno seguito 
Gesù al culmine della sua sofferenza nella sua passione e morte sulla Croce. Tra costoro, ci ricorda il Vangelo, c’era un africano, Simone di Cirene. 
Egli venne incaricato di aiutare Gesù a portare la Sua Croce sul cammino verso il Golgota. Quest’uomo, anche se involontariamente, è venuto in aiuto all’Uomo dei dolori, abbandonato da tutti i suoi e consegnato ad una violenza cieca. La storia ricorda dunque che un africano, un figlio del vostro continente, ha partecipato, con la sua stessa sofferenza, alla pena infinita di Colui che ha redento tutti gli uomini compresi i suoi persecutori. Simone di Cirene non poteva sapere che egli aveva il suo Salvatore davanti agli occhi. Egli è stato “requisito” per aiutarlo (cfr Mc 15,21); egli fu costretto, forzato a farlo. 

E’ difficile accettare di portare la croce di un altro. E’ solo dopo la risurrezione che egli ha potuto comprendere quello che aveva fatto. Così è per ciascuno di noi, fratelli e sorelle: al cuore della disperazione, della rivolta, il Cristo ci propone la Sua presenza amabile anche se noi fatichiamo a comprendere che egli ci è accanto. Solo la vittoria finale del Signore ci svelerà il senso definitivo delle nostre prove.

Non si può forse dire che ogni Africano è in qualche modo membro della famiglia di Simone di Cirene? Ogni Africano e ogni sofferente aiutano Cristo a portare la sua Croce e salgono con Lui al Golgota per risuscitare un giorno con Lui. Vedendo l’infamia di cui è oggetto Gesù, contemplando il suo volto sulla Croce, e riconoscendo l’atrocità del suo dolore, possiamo intravvedere, con la fede, il volto luminoso del Risorto che ci dice che la sofferenza e la malattia non avranno l’ultima parola nelle nostre vite umane. 

Io prego, cari fratelli e sorelle, perché vi sappiate riconoscere in questo ‘ Simone di Cirene’. Prego, cari fratelli e sorelle malati, perché molti ‘Simone di Cirene’ vengano anche al vostro capezzale.

Dopo la risurrezione e fino ad oggi, molti sono i testimoni che si sono rivolti, con fede e speranza, al Salvatore degli uomini, riconoscendo la Sua presenza al centro della loro prova. Il Padre di tutte le misericordie accoglie sempre con benevolenza la preghiera di chi si rivolge a Lui. Egli risponde alla nostra invocazione e alla nostra preghiera come Egli vuole e quando vuole, per il nostro bene e non secondo i nostri desideri. Sta a noi discernere la sua risposta e accogliere i doni che Egli ci offre come una grazia. Fissiamo il nostro sguardo sul Crocifisso, con fede e coraggio, perché da Lui provengono la Vita, il conforto, le guarigioni. Sappiamo guardare Colui che vuole il nostro bene e sa asciugare le lacrime dei nostri occhi; sappiamo abbandonarci nelle sue braccia come un bambino nelle braccia della mamma.

I santi ce ne hanno dato un bell’esempio con la loro vita interamente affidata a Dio, nostro Padre. Santa Teresa d’Avila, che aveva messo il suo monastero sotto il patrocinio di san Giuseppe, è stata guarita da una sofferenza nel giorno stesso della sua festa. Ella ripeteva che non lo aveva mai pregato inutilmente e lo raccomandava a tutti quelli che pensavano di non saper pregare: “ Non comprendo, scriveva, come si possa pensare alla Regina degli Angeli e a tutto quello che ella ha dovuto affrontare durante l’infanzia del Bambino Gesù, senza ringraziare san Giuseppe della dedizione così perfetta con la quale egli è venuto in aiuto dell’uno e dell’altra. Colui che non trova nessuno che gli insegni a pregare scelga questo ammirabile santo per maestro e non avrà più a temere di smarrirsi sotto la sua guida” (Vita, 6). Da intercessore per la salute del corpo, la santa vedeva in san Giuseppe un intercessore per la salute dell’anima, un maestro di orazione, di preghiera.

Scegliamolo anche noi come maestro di preghiera. Non solamente noi che siamo in buona salute, ma anche voi, cari malati e tutte le famiglie. Penso particolarmente a voi che fate parte del personale ospedaliero e a tutti coloro che lavorano nel mondo della sanità. Accompagnando coloro che soffrono con la vostra attenzione e con le cure che date loro, voi adempite un atto di carità e di amore che Dio riconosce: “ Ero malato e mi avete visitato” ( Mt 25,36). A voi, ricercatori e medici, spetta mettere in opera tutto quello che è legittimo per sollevare il dolore; spetta a voi in primo luogo proteggere la vita umana, essere i difensori della vita dal suo concepimento fino alla sua fine naturale. Per ogni uomo, il rispetto della vita è un diritto e nello stesso tempo un dovere, perché ogni vita è un dono di Dio. Voglio, assieme a voi, rendere grazie al Signore per tutti coloro che, in una maniera o in un’altra, operano a servizio delle persone che soffrono. Incoraggio i sacerdoti e i visitatori degli ammalati a impegnarsi con la loro presenza attiva ed amichevole nella pastorale sanitaria negli ospedali o per assicurare una presenza ecclesiale a domicilio, per il conforto e il sostegno spirituale dei malati. Secondo la sua promessa, Dio vi darà il giusto salario e vi ricompenserà in cielo.

Prima di salutarvi personalmente e congedarmi da voi, vorrei assicurare a ciascuno la mia vicinanza affettuosa e la mia preghiera. Desidero anche esprimere il mio desiderio che ognuno di voi non si senta mai solo. Spetta in effetti ad ogni uomo, creato ad immagine del Cristo, farsi prossimo del suo vicino. Affido tutti e tutte all’intercessione della Vergine Maria, nostra Madre, e a quella di san Giuseppe. Che Dio ci conceda di essere gli uni per gli altri, portatori della misericordia, della tenerezza e dell’amore del nostro Dio e che Egli vi benedica!

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

lunedì 9 gennaio 2017

La grande rivoluzione di Joseph Ratzinger, cardinale e Papa, contro i pedofili sta per essere smantellata? (R.)

Clicca qui per leggere l'articolo segnalatoci da Gemma. Qui una traduzione sommaria.
Credo che sarebbe utile un chiarimento da parte del vaticano che pare (!) possedere una capacità comunicativa straordinaria (...).
Vorremmo sapere se corrisponde al vero la notizia di un possibile depotenziamento della Congregazione per la dottrina della fede in materia di abusi sui minori.
Sarebbe per me, e credo per tanti, un atto gravissimo capace di segnare ancora di più quella discontinuità che è sotto gli occhi di tutti.
L'argomento "lotta alla pedofilia nella chiesa" è per questo blog particolarmente importante. Si tratta di un tema per noi "sensibile" visto tutto il lavoro fatto negli anni a sostegno di Joseph Ratzinger, cardinale e Papa. Basta consultare i nostri speciali e soprattutto lo schema su cui molti di noi hanno lavorato per mesi.
Invito tutti a rileggere l'immane lavoro fatto dal cardinale Ratzinger prima e da Papa Benedetto poi.
C'è anche il video preparato da Gemma che riassume tutto.
Mi limito qui a ricordare che la decisione di "avocare" a Roma, alla CDF, i processi per pedofilia si rese necessaria perchè delegare i vescovi a punire i colpevoli non solo non aveva prodotto frutti ma aveva dato vita a tutta una serie di insabbiamenti.
Accentrare la competenza è stata una rivoluzione iniziata nel 2001 e portata avanti in modo inequivocabile durante il Pontificato di Benedetto. 
A tale proposito non possiamo tacere il fenomeno della memoria selettiva dei mass media.
Regnante Papa Ratzinger il tema della pedofilia era diventato l'unico argomento di cui parlare non solo per colpire la chiesa ma lo stesso Pontefice. Si pretendeva dal Papa ciò che non si chiedeva alle istituzioni statali: la punizione dei colpevoli anche a decenni di distanza dai fatti.
Si reclamavano LEGGI che escludessero i pedofili e i loro protettori dalla vita sacerdotale. Alla vigilia del Conclave si esigeva che, prima del 28 febbraio 2013, Benedetto togliesse la porpora ai cardinali accusati di avere coperto gli abusi. Peccato che poi...e qui mi fermo perché la realtà è indata oltre l'immaginazione.
Leggi, diritto e ordine, tolleranza zero!
E ora? Beh...il tema della pedofilia nella chiesa è del tutto scomparso dall'orizzonte dei media. E' stupefacente come sia bastato un giorno per dimenticare colpevoli e protettori. Ogni tanto affiora qua e là qualche caso di abuso ma finisce ben presto nel dimenticatoio e di certo non vengono mai coinvolti i vertici della chiesa. Potenza dei media e degli anticipi di simpatia...
Il legalismo poi viene demonizzato alla luce della moderna misericordia.
Faccio una facile profezia: se (e sottolineo se!) un giorno la Chiesa tornerà a dare fastidio al mondo, a essere segno di contraddizione e a "intromettersi" nei temi etici, tutta la polvere, che ora viene abilmente messa sotto il tappeto, tornerà magicamente a riempire le palette e si pretenderà dal malcapitato Pontefice l'uso inflessibile della scopa e dell'aspirapolvere. E' già successo in passato e la storia si ripeterà...
Vero, mass media?
Comunque mi auguro che la Congregazione della dottrina della fede non venga spogliata della sua competenza in materia di abusi. Sarebbe uno schiaffo insopportabile dato in piena faccia a Benedetto XVI e a tutti coloro che, come noi, hanno sostenuto il suo impegno.
L'articolo segnalato non ha ancora ricevuto precisazioni o smentite. Le attendiamo. 
R.

venerdì 6 gennaio 2017

Dio, "l’amor che move il sole e l’altre stelle" per Dante e Benedetto XVI (06.01.2009)



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Buongiorno e buona Epifania a tutti, carissimi amici :-)
Grazie al lavoro della nostra Gemma torniamo al 6 gennaio 2009. 
in occasione della Solennità dell'Epifania del Signore, Benedetto XVI tenne una straordinaria omelia che è un omaggio alla fede, alla scienza, all'astronomia e alla letteratura (Dante in particolare).
Si tratta di una vera "lectio" che vale sempre la pena di riascoltare e di rileggere.
Ecco il testo integrale:

SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI 

Basilica Vaticana
Martedì, 6 gennaio 2009 

Cari fratelli e sorelle!

L’Epifania, la "manifestazione" del nostro Signore Gesù Cristo, è un mistero multiforme. La tradizione latina lo identifica con la visita dei Magi al Bambino Gesù a Betlemme, e dunque lo interpreta soprattutto come rivelazione del Messia d’Israele ai popoli pagani. La tradizione orientale, invece, privilegia il momento del battesimo di Gesù nel fiume Giordano, quando egli si manifestò quale Figlio Unigenito del Padre celeste, consacrato dallo Spirito Santo
Ma il Vangelo di Giovanni invita a considerare "epifania" anche le nozze di Cana, dove Gesù, mutando l’acqua in vino, "manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui" (Gv 2,11). E che dovremmo dire noi, cari fratelli, specialmente noi sacerdoti della nuova Alleanza, che ogni giorno siamo testimoni e ministri dell’"epifania" di Gesù Cristo nella santa Eucaristia? Tutti i misteri del Signore la Chiesa li celebra in questo santissimo e umilissimo Sacramento, nel quale egli al tempo stesso rivela e nasconde la sua gloria. "Adoro te devote, latens Deitas" – adorando, preghiamo così con san Tommaso d’Aquino.

In questo anno 2009, che, nel 4° centenario delle prime osservazioni di Galileo Galilei al telescopio, è stato dedicato in modo speciale all’astronomia, non possiamo non prestare particolare attenzione al simbolo della stella, tanto importante nel racconto evangelico dei Magi (cfr Mt 2,1-12). Essi erano con tutta probabilità degli astronomi. 

Dal loro punto di osservazione, posto ad oriente rispetto alla Palestina, forse in Mesopotamia, avevano notato l’apparire di un nuovo astro, ed avevano interpretato questo fenomeno celeste come annuncio della nascita di un re, precisamente, secondo le Sacre Scritture, del re dei Giudei (cfr Nm 24,17). I Padri della Chiesa hanno visto in questo singolare episodio narrato da san Matteo anche una sorta di "rivoluzione" cosmologica, causata dall’ingresso nel mondo del Figlio di Dio. 

Ad esempio, san Giovanni Crisostomo scrive: "Quando la stella giunse sopra il bambino, si fermò, e ciò poteva farlo soltanto una potenza che gli astri non hanno: prima, cioè, nascondersi, poi apparire di nuovo, e infine arrestarsi" (Omelie sul Vangelo di Matteo, 7, 3). San Gregorio di Nazianzo afferma che la nascita di Cristo impresse nuove orbite agli astri (cfr Poemi dogmatici, V, 53-64: PG 37, 428-429). Il che è chiaramente da intendersi in senso simbolico e teologico. In effetti, mentre la teologia pagana divinizzava gli elementi e le forze del cosmo, la fede cristiana, portando a compimento la rivelazione biblica, contempla un unico Dio, Creatore e Signore dell’intero universo.

E’ l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale del creato. Ciò va inteso invece in senso non poetico, ma reale. Così lo intendeva del resto lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude il Paradiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio "l’amor che move il sole e l’altre stelle" (Paradiso, XXXIII, 145). 

Questo significa che le stelle, i pianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbediscono alle dinamiche della sola materia. Non sono, dunque, gli elementi cosmici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tutto vi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato come Amore (cfr Enc. Spe salvi, 5). 

Se è così, allora gli uomini – come scrive san Paolo ai Colossesi – non sono schiavi degli "elementi del cosmo" (cfr Col 2,8), ma sono liberi, capaci cioè di relazionarsi alla libertà creatrice di Dio. 
Egli è all’origine di tutto e tutto governa non alla maniera di un freddo ed anonimo motore, ma quale Padre, Sposo, Amico, Fratello, quale Logos, "Parola-Ragione" che si è unita alla nostra carne mortale una volta per sempre ed ha condiviso pienamente la nostra condizione, manifestando la sovrabbondante potenza della sua grazia

C’è dunque nel cristianesimo una peculiare concezione cosmologica, che ha trovato nella filosofia e nella teologia medievali delle altissime espressioni. Essa, anche nella nostra epoca, dà segni interessanti di una nuova fioritura, grazie alla passione e alla fede di non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità.

Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un "libro" – così diceva anche lo stesso Galileo –, considerandolo come l’opera di un Autore che si esprime mediante la "sinfonia" del creato

All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un "assolo", un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo "assolo" è Gesù, a cui corrisponde, appunto, un segno regale: l’apparire di una nuova stella nel firmamento. Gesù è paragonato dagli antichi scrittori cristiani ad un nuovo sole. 

Secondo le attuali conoscenze astrofisiche, noi lo dovremmo paragonare ad una stella ancora più centrale, non solo per il sistema solare, ma per l’intero universo conosciuto. In questo misterioso disegno, al tempo stesso fisico e metafisico, che ha portato alla comparsa dell’essere umano quale coronamento degli elementi del creato, è venuto al mondo Gesù: "nato da donna" (Gal 4,4), come scrive san Paolo. Il Figlio dell’uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. E’ il centro del cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l’Autore e la sua opera.
Nel Gesù terreno si trova il culmine della creazione e della storia, ma nel Cristo risorto si va oltre: il passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna anticipa il punto della "ricapitolazione" di tutto in Cristo (cfr Ef 1,10). Tutte le cose, infatti – scrive l’Apostolo –, "sono state create per mezzo di lui e in vista di lui" (Col 1,16). E proprio con la risurrezione dai morti Egli ha ottenuto "il primato su tutte le cose" (Col 1,18). Lo afferma Gesù stesso apparendo ai discepoli dopo la risurrezione: "A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra" (Mt 28,18). Questa consapevolezza sostiene il cammino della Chiesa, Corpo di Cristo, lungo i sentieri della storia. Non c’è ombra, per quanto tenebrosa, che possa oscurare la luce di Cristo. Per questo nei credenti in Cristo non viene mai meno la speranza, anche oggi, dinanzi alla grande crisi sociale ed economica che travaglia l’umanità, davanti all’odio e alla violenza distruttrice che non cessano di insanguinare molte regioni della terra, dinanzi all’egoismo e alla pretesa dell’uomo di ergersi come dio di se stesso, che conduce talora a pericolosi stravolgimenti del disegno divino circa la vita e la dignità dell’essere umano, circa la famiglia e l’armonia del creato. 
Il nostro sforzo di liberare la vita umana e il mondo dagli avvelenamenti e dagli inquinamenti che potrebbero distruggere il presente e il futuro, conserva il suo valore e il suo senso – ho annotato nella già citata Enciclica Spe salvi – anche se apparentemente non abbiamo successo o sembriamo impotenti di fronte al sopravvento di forze ostili, perchè "è la grande speranza poggiante sulle promesse di Dio che, nei momenti buoni come in quelli cattivi, ci dà coraggio e orienta il nostro agire" (n. 35).
La signoria universale di Cristo si esercita in modo speciale sulla Chiesa. "Tutto infatti – si legge nella Lettera agli Efesini – [Dio] ha messo sotto i suoi piedi / e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, / la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose" (Ef 1,22-23). L’Epifania è la manifestazione del Signore, e di riflesso è la manifestazione della Chiesa, perché il Corpo non è separabile dal Capo. La prima lettura odierna, tratta dal cosiddetto Terzo Isaia, ci offre la prospettiva precisa per comprendere la realtà della Chiesa, quale mistero di luce riflessa: "Alzati, rivestiti di luce – dice il profeta rivolgendosi a Gerusalemme – perché viene la tua luce, / la gloria del Signore brilla sopra di te" (Is 60,1). La Chiesa è umanità illuminata, "battezzata" nella gloria di Dio, cioè nel suo amore, nella sua bellezza, nella sua signoria. La Chiesa sa che la propria umanità, con i suoi limiti e le sue miserie, pone in maggiore risalto l’opera dello Spirito Santo. Essa non può vantarsi di nulla se non nel suo Signore: non da lei proviene la luce, non è sua la gloria. Ma proprio questa è la sua gioia, che nessuno potrà toglierle: essere "segno e strumento" di Colui che è "lumen gentium", luce dei popoli (cfr Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1).
Cari amici, in questo anno paolino, la festa dell’Epifania invita la Chiesa e, in essa, ogni comunità ed ogni singolo fedele, ad imitare, come fece l’Apostolo delle genti, il servizio che la stella rese ai Magi d’Oriente guidandoli fino a Gesù (cfr san Leone Magno, Disc. 3 per l’Epifania, 5: PL 54, 244). Che cos’è stata la vita di Paolo, dopo la sua conversione, se non una "corsa" per portare ai popoli la luce di Cristo e, viceversa, condurre i popoli a Cristo? La grazia di Dio ha fatto di Paolo una "stella" per le genti. Il suo ministero è esempio e stimolo per la Chiesa a riscoprirsi essenzialmente missionaria e a rinnovare l’impegno per l’annuncio del Vangelo, specialmente a quanti ancora non lo conoscono. Ma, guardando a san Paolo, non possiamo dimenticare che la sua predicazione era tutta nutrita delle Sacre Scritture. 
Perciò, nella prospettiva della recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi, va riaffermato con forza che la Chiesa e i singoli cristiani possono essere luce, che guida a Cristo, solo se si nutrono assiduamente e intimamente della Parola di Dio. E’ la Parola che illumina, purifica, converte, non siamo certo noi. Della Parola di vita noi non siamo che servitori. Così Paolo concepiva se stesso e il suo ministero: un servizio al Vangelo. "Tutto io faccio per il Vangelo" – egli scrive (1 Cor 9,23). 
Così dovrebbe poter dire anche la Chiesa, ogni comunità ecclesiale, ogni Vescovo ed ogni presbitero: tutto io faccio per il Vangelo
Cari fratelli e sorelle, pregate per noi, Pastori della Chiesa, affinché, assimilando quotidianamente la Parola di Dio, possiamo trasmetterla fedelmente ai fratelli. Ma anche noi preghiamo per voi, fedeli tutti, perché ogni cristiano è chiamato per il Battesimo e la Confermazione ad annunciare Cristo luce del mondo, con la parola e la testimonianza della vita. Ci aiuti la Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione, a portare a compimento insieme questa missione, e interceda per noi dal cielo san Paolo, Apostolo delle genti. Amen.

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