martedì 12 febbraio 2013

I laici ora sono più poveri. Intervista a Marcello Pera (Sir)



I laici ora sono più poveri

Il presidente Pera: ha insegnato all'Occidente che ''che non ci sarebbe Atene se non si fosse congiunta con Gerusalemme''


La scelta della rinuncia, da parte del Papa è “un grande gesto di fede, una grande testimonianza” che lascia i laici “più poveri, più soli, più sgomenti”. Le dimissioni di Benedetto XVI - spiega il filosofo ed ex presidente del Senato Marcello Pera, intervistato da M. Michela Nicolais per il Sir - sono state un gesto sconvolgente, inaspettato, ma previsto: una lezione di fede, in primo luogo, e di coerenza, che ora creano un precedente nella storia della Chiesa, perché chiedono, di per sé, a qualunque Pontefice futuro, di interrogarsi sul limite oltre il quale non è più consentito esercitare utilmente il proprio ministero. Fino ad ora, l’unico limite era la morte, fino alla morte con un’agonia pubblica, come è stata quella straziante di Giovanni Paolo II. Da oggi, si sa che c’è un limite anche diverso a quello della morte, ed è una novità assoluta di questo pontificato”.


Come giudica, da laico, la scelta della rinuncia del Papa? 


“La giudico come un grande gesto di fede, una grande testimonianza. Il Papa aveva già detto e scritto di questa possibilità, perciò coerentemente ha giudicato che le sue forze non fossero più adatte per esercitare il magistero che lo Spirito Santo gli ha assegnato. Ha considerato un atto dovuto nei confronti dello Spirito Santo quello di rassegnare le sue dimissioni. Sono state un gesto sconvolgente, inaspettato, ma previsto: una lezione di fede, in primo luogo, e di coerenza, che ora creano un precedente nella storia della Chiesa, perché chiedono, di per sé, a qualunque Pontefice futuro, di interrogarsi sul limite oltre il quale non è più consentito esercitare utilmente il proprio ministero. Fino ad ora, l’unico limite era la morte, fino alla morte con un’agonia pubblica, come è stata quella straziante di Giovanni Paolo II. Da oggi, si sa che c’è un limite anche diverso a quello della morte, ed è una novità assoluta di questo pontificato”. 


La notizia ha fatto in pochi minuti il giro del mondo: quali, secondo lei, le reazioni prevalenti? 


“Alcune sono state legate a caratteristiche contingenti, e in qualche caso si sono dimostrate persino offensive nei confronti di questo Papa. Credo, però, che questa scelta di Benedetto XVI abbia sconvolto molto soprattutto la coscienza dei laici, più di altri. La novità maggiore di questo pontificato, tra le molte, è il modo in cui Papa Ratzinger ha interrogato e sfidato il mondo laico: oggi i laici sono più poveri, più soli, più sgomenti, perché questo è il Papa che ha svegliato la coscienza laica in Occidente”. 


Quello di Benedetto XVI è, infatti, un pontificato che fa del rapporto tra fede e ragione uno dei “pilastri fondamentali”… 


“I due poli sono Atene e Gerusalemme. Benedetto XVI ha insegnato ai laici occidentali, in particolare, che non ci sarebbe Atene se non si fosse congiunta con Gerusalemme. All’inizio il messaggio è stato sconvolgente, e le prime risposte sono state negative, se non addirittura offensive: la più offensiva di tutte, a mio avviso, è stato l’aver impedito al Santo Padre di tenere una conferenza pubblica all’Università La Sapienza di Roma. In altri Paesi, come in Francia, in America, in Inghilterra, il Papa è stato invece ascoltato con molto rispetto proprio da parte dei laici. Perché li aveva sfidati sul loro terreno e aveva offerto loro una possibilità di dialogo comune”. 


Basti pensare alla risonanza mediatica dei suoi viaggi: prima di ognuno, i media pronosticavano un insuccesso, che veniva poi puntualmente smentito. Come giudica questo cortocircuito? 


“È il paradosso della smentita delle previsioni. Prima che andasse in Francia, ad esempio, ci si chiedeva come fosse possibile che non venisse contestato e rifiutato. Poi il Presidente della Repubblica francese è venuto in Italia a parlare di radici cristiane, e lo stesso è avvenuto altrove. Così, il Papa ha fatto emergere un altro paradosso: coloro che tra i laici credevano che fosse conservatore, reazionario, hanno dovuto prendere atto delle sfide che lanciava. Finendo col diventare, paradossalmente, proprio loro più ‘reazionari’ e conservatori del Papa”. 


La plausibilità della fede per l’uomo contemporaneo sembra un messaggio duro da far comprendere all’uomo di oggi ed al suo mondo, dove il conflitto prevale sul confronto. Perché, e qual è l’alternativa che ci indica Benedetto XVI? 


“È accaduto che nella cultura degli ultimi due secoli, dall’Illuminismo in poi, l’atteggiamento di esaltazione della ragione e dell’ostilità nei confronti della religione è diventata una seconda natura, l’identità culturale dell’Occidente, la sua bandiera. Il Papa è stato grande, ha scosso quella bandiera, fino a mostrare a coloro che volevano capire che quella bandiera della ragione non può garrire senza la fede. Non ho mai sentito il Papa chiedere ‘siete credenti o no?’, ma ‘la fede è ragionevole o no?’. Se chiedi a un laico se è credente, si ritira, ma se gli chiedi se la fede è razionale, è costretto a rispondere. Nel primo caso, è più facile evitare la sfida: se chiedi ad un europeo se crede o no, l’europeo ti dice di no. Se gli chiedi invece se la sua ragione abbia bisogno della fede, è costretto a rispondere”. 


Nella sua terza enciclica, Caritas in veritate, il Papa scrive che per un sano sviluppo della società ci vogliono “uomini retti”: cosa significa, per i politici? 


“Il Papa ha una concezione agostiniana dell’umanità, e anche un temperamento agostiniano. Come Agostino ha combattuto contro i pagani, i pelagiani, i manichei, Benedetto XVI combatte contro quel nuovo paganesimo che è il laicismo occidentale. Gli uomini ‘retti’ sono quelli che cercano di cogliere la verità, ma senza illusioni, perché la verità la si coglie dopo, nella città di Dio. Per questo tutte le letture spicciole del magistero di papa Ratzinger in chiave politica sono false o riduttive: lui si rivolge all’umanità, ed il suo messaggio è più alto e più esigente di altri, perché ai politici chiede ‘che cosa state facendo voi, con la vostra ragione, per migliorare il mondo?’”.


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