venerdì 1 febbraio 2013

''Visita ad limina'' dei vescovi dell'Emilia Romagna. Intervista al card. Carlo Caffarra (Sir)


Irrobustire la fede

''Visita ad limina'' dei vescovi dell'Emilia Romagna. I temi caldi: evangelizzazione e vocazioni, perdita dei valori e solidarietà per il sisma

Tornano dal Papa, a sei anni dal gennaio 2007, i vescovi dell’Emilia Romagna. L’occasione è la periodica visita “ad limina”. In vista dell’appuntamento, Francesco Rossi, per il Sir, ha incontrato il presidente della Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna e arcivescovo di Bologna, card. Carlo Caffarra, chiedendogli un bilancio della situazione ecclesiale in Regione e una riflessione sulle questioni più scottanti.

Quali sono, a suo avviso, le problematiche emergenti che, come vescovi della regione ecclesiastica Emilia Romagna, porterete all’attenzione del Papa?

“La tematica centrale è la necessità di una forte evangelizzazione del popolo emiliano romagnolo. È andato sempre più erodendosi quel tessuto di tradizione cristiana che, nonostante tutto, la gente possedeva. Una preoccupazione, questa, che riguarda soprattutto i nostri giovani e, ancor di più, le persone adulte, che hanno responsabilità - dal lavoro alla famiglia, perché ricoprono ruoli imprenditoriali oppure sono impegnate nelle amministrazioni locali o nella politica -.In questi anni si è poi confermato un calo, sempre più preoccupante, delle vocazioni sacerdotali, anche se in alcune diocesi si notano piccoli segnali di ripresa. Questi i due fatti più importanti. Ne aggiungerei, però, un altro: il nostro popolo per decenni è stato amministrato da un soggetto che ha diffuso una mentalità fortemente secolarizzata. Tuttavia, la percezione e il senso di alcuni beni umani fondamentali, come il matrimonio e la famiglia, non sono mai venuti meno. Da un po’ di tempo, però, la percezione di questi valori si va oscurando: l’ideologia individualista sta pervadendo anche la coscienza morale del nostro popolo. Infine ricorderemo di sicuro il fatto tragico del terremoto, di fronte al quale la nostra gente ha rivelato il suo profondo coraggio di vivere, la voglia di non rassegnarsi mai, un forte senso di solidarietà”.

Il calo delle vocazioni è un tema presente da anni, e non solo in questa Regione. Chiama in causa un nuovo ruolo dei laici, anche all’interno della parrocchia? E, d’altra parte, come affrontare la gestione ordinaria della comunità cristiana quando vengono a mancare i preti?
“La ragione ultima di questo calo, a mio avviso, è la crisi della fede. È mancato un forte annuncio del messaggio cristiano alle generazioni giovanili, che porti il ragazzo a un vero incontro con Cristo. Se viene meno questo, parlare di vocazione è impossibile. Compito dei laici non è sostituire i preti, anche laddove il sacerdote non sia presente, ma inserire la salvezza cristiana dentro le realtà di questo mondo. Come affrontare, allora, questo grave calo numerico? Ogni vescovo, nella sua sapienza, se ne sta occupando. Personalmente mi preoccupo fondamentalmente che ogni comunità cristiana non sia privata della celebrazione eucaristica festiva, abbia assicurata la trasmissione della fede - ovvero il catechismo - alle giovani generazioni, sappia che c’è un sacerdote ben preciso che, anche se non residente, ha responsabilità della sua fede e al quale si può rivolgere”.

Quale contributo può venire, in tal senso, dall’Anno della fede che la Chiesa sta vivendo?

“Sono sempre più convinto che questa decisione del Santo Padre sia stata divinamente ispirata. È il Signore Gesù che lo voleva. Ciò che ho già detto dimostra quanto la Chiesa in Emilia Romagna avesse bisogno di un momento per irrobustire la propria fede. Le singole diocesi, anche qui, procedono secondo la sapienza e lo zelo pastorale dei loro vescovi. A Bologna insistiamo, soprattutto, nella catechesi degli adulti e nell’annuncio della fede ai giovani. A questo scopo contribuiranno la scuola della fede, che comincerà proprio a febbraio, il martedì, e la missione cittadina ai giovani, con un centinaio di missionari che per dieci giorni andranno nei luoghi dove sono i giovani - università, piazze, strade, discoteche - per annunciare loro il Signore Gesù”.

Sulla famiglia si concentra, da tempo, l’attenzione della Chiesa italiana. Qual è la situazione in Regione e di quale impegno ci sarebbe bisogno, da parte ecclesiale?

“Le nostre Chiese si stanno impegnando da anni. Probabilmente, però, come pastori dovremmo interrogarci se, nella nostra azione pastorale, diamo per assunti dei presupposti ormai superati. Oggi non è più solo una questione di praticabilità o meno della proposta cristiana circa il matrimonio, bensì siamo arrivati a mettere in questione le definizioni stesse di matrimonio e famiglia. Sposarsi è un bene? Non va dato per scontato che per la gente sia così. Per questo, nel 2010, feci una nota dottrinale al riguardo. Quando vedo tanti corsi prematrimoniali costruiti oggi come 15-20 anni fa non ci siamo, si sta offrendo un cibo che non serve perché, purtroppo, c’è bisogno di altro”.

Non è secondario, poi, il problema dei separati e divorziati risposati...

“La Chiesa non può ignorarli. Qui a Bologna abbiamo un’attenzione verso queste persone e sacerdoti che le seguono. Si sbaglia, però, quando si pensa che la Chiesa debba cambiare la sua dottrina. Se questa viene presentata nella sua intima ragionevolezza le persone che si trovano in siffatte situazioni la capiscono. In un incontro che ho tenuto presso una parrocchia con circa 50 coppie di divorziati risposati ho spiegato quale fosse la posizione della Chiesa nei loro confronti. Alla fine più di una coppia è venuta a ringraziarmi, soprattutto per una riflessione che avevo proposto loro: ‘Voi, se accettate profondamente questa vostra condizione come la Chiesa vi chiede, siete in qualche modo testimoni del Vangelo del matrimonio, testimoniate che è una cosa seria’. Certo, se si presenta l’indissolubilità coniugale come una legge della Chiesa non si capisce la ragione del perché non venga cambiata. Ma non è semplicemente una legge, c’è una dottrina cristiana circa il matrimonio e l’Eucaristia, e la Chiesa non la può cambiare”.

L’Emilia, come già ricordato, lo scorso anno ha vissuto l’esperienza del terremoto. Le comunità cristiane colpite quale reazione hanno avuto? Sono rimaste integre o sono andate dissolvendosi?

“La mia impressione è che hanno retto; anzi, in qualche modo si è intensificato il senso di un’appartenenza. La notte e la mattina di Natale sono andato a celebrare l’Eucaristia nelle zone della diocesi interessate dal sisma. In che modo quella gente ha voluto accogliere il vescovo? Suonando le campane, che da quei giorni erano rimaste mute. Quanti occhi umidi ho visto nell’ascoltare quel suono, segno di appartenenza a una comunità... Non si sono dispersi, come io stesso temevo. Ha rappresentato un grande dono la visita del Santo Padre, come pure va ricordato l’impegno dei nostri sacerdoti, che sono stati semplicemente eroici, non hanno abbandonato un solo momento il loro popolo, hanno condiviso in tutto i disagi della loro gente. Tutto ciò ha impedito il radicarsi dell’insidia della disperazione. Certo, adesso vedo indispensabile, per quanto possibile, ridurre al minimo la burocrazia per permettere di ricostruire in tempi rapidi, per non favorire il rischio della stanchezza, che alla fine porta ad abbandonare il territorio”.

Da ultimo, cosa vi aspettate dalla “visita ad limina”?

“Quello che ci aspettiamo, e che sicuramente il Santo Padre ci donerà, è ciò che Pietro è chiamato a donare ai suoi fratelli e, in primis, ai vescovi: confermarci nella fede”.

© Copyright Sir

1 commento:

Ambrosiano e cattolico ha detto...

Era da tanto tempo che non leggevo così TANTE BUONE notizie e osservazioni da parte dei vescovi!