Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:
Natale: “Non un mito ma realtà storica”
“L’infanzia di Gesù” - L’opera di Ratzinger-Benedetto XVI
di Paolo Facciotto
da “La Voce di Romagna”, 20 dicembre 2012
“Egli non si limita a dichiarare una dottrina che sa per scienza o che ha appreso per Rivelazione: egli tratta, si può dire, di una faccenda personale”. Così un teologo del secolo scorso descriveva l’atteggiamento di Gesù di Nazareth davanti ai suoi. Si può usare la stessa immagine, a fattori inversi, per suggerire come Joseph Ratzinger-Benedetto XVI racconti la vita del Nazareno nella sua trilogia, appena conclusa con l’uscita del terzo volume intitolato L’infanzia di Gesù, per Rizzoli-Libreria Editrice Vaticana. Nell’opera ha voluto comparire col nome anagrafico insieme a quello assunto dopo l’elezione, come ad impegnare, appunto, tutta la sua persona. Ha accettato l’implicita sfida ingaggiata da ogni autore con i propri lettori, e viceversa, senza schermarsi dietro l’autorità (il suo libro, per dichiarazione esplicita, non è un atto di magistero).
Non ha usato il suo potere, ma ha dispiegato il suo stupore. Ha lavorato sui vangeli dell’infanzia ponendosi una domanda forte: “è vero ciò che è stato detto? Riguarda me? E se mi riguarda, in che modo?”, indicando l’interrogativo che dovrebbe porsi ogni uomo davanti al vangelo. “Una faccenda personale”: Gesù di Nazareth non è qualcosa di già saputo per Ratzinger, che pure ne sente parlare da un’ottantina d’anni, celebra messa da 61 anni, ha avuto ruolo in concilio, è stato alla guida del dicastero più importante della Chiesa ed ora di Cristo è il vicario in terra. E’ “una faccenda personale” incontrare Gesù, “sempre di nuovo”, come dice in una frase a lui consueta. Ratzinger implica tutto se stesso, e, pur carico di anni, impegna le sue domande e la sua fede con la freschezza di un bambino al catechismo. Un esempio fra i tanti, pagina 68: “è vero ciò che diciamo nel Credo: «Credo [...] in Gesù Cristo, suo [di Dio] unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine»?”: “La risposta senza riserve è: sì”, siamo di fronte a “realtà storica, un reale evento storico”, non “una pia leggenda”. I racconti di Matteo e Luca “non sono miti ulteriormente sviluppati”.
Sono attuali queste domande? Sì. Non più tardi di domenica scorsa, sul giornale di Confindustria un rinomato archeologo ha paragonato Gesù a Romolo asserendo che le due figure “non possono essere considerate storiche”. In entrambi i casi i relativi racconti “non coincidono con le realtà delle due figure”, ciò non esclude che “possano incorporare dati preziosi di natura reale, che fanno ritenere Romolo e Gesù miscugli di leggenda e di storia, in parte inestricabili e in parte incomprensibili”.
Il libro è un atto di fede: non di fideismo, ma di una fede che ha una sua alleata nella ragione. Senza paura della ricerca storica e filologica, nemmeno nella versione moderna che va sotto il nome di “metodo storico-critico”. Con un punto di novità da afferrare, se vogliamo comprendere che cosa sta portando Papa Ratzinger ai cristiani e agli uomini d’oggi: l’allargamento della ragione, e l’allargamento della ricerca. Capiamoci con un esempio. Il concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria, dogma di fede e reale evento storico per i cattolici, fu interpretato in relazione a racconti mitici precristiani da due studiosi negli anni ’40 del Novecento, un filologo protestante e uno ebreo che aveva aderito al nazismo.
Nel libro Ratzinger dimostra l’infondatezza delle loro tesi sulla base degli indizi a disposizione e dei dati di ragione. Evitando ogni cedimento, ma anche ogni crociata schematica, smonta dal suo stesso interno la tendenza, impostasi come prevalente fra gli esegeti moderni, a separare il “Gesù della fede” dal “Gesù della storia”. Detto brutalmente, certi studiosi credevano di poter avere finalmente preso in mano il Gesù della storia, sezionandolo, interpretandolo e manipolandolo a loro piacimento, lasciando alle gerarchie di misurarsi con le questioni di fede come se fossero ambientate nell’iperuranio.
E’ a questa rottura che si oppone Ratzinger: non in nome di un’ideologia; non favorendo lo scontro fra i doncamillo tradizionalisti e i peppone progressisti; non rifugiandosi nell’antichismo (se è per questo, il Papa confuta anche qualche tesi sbagliata dei Padri); ma basandosi sulla sua esperienza di fede (“un fatto personale”). Sulla ragione che, proprio in quanto ragione, cioè finestra aperta, accetta a un dato momento di trovarsi di fronte a ciò che non può spiegare, ma non per questo si arrocca. Sulla ricerca, che proprio in quanto tale, obbediente ai dati empirici, riconosce i propri limiti e non assolutizza se stessa.
© Copyright La Voce di Romagna, 20 dicembre 2012
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