giovedì 20 dicembre 2012

Quel non segno che spiega tutto (Francesco Ventorino)

Quel non segno che spiega tutto

di Francesco Ventorino


Parlando agli universitari degli Atenei romani e delle università pontificie all'inizio dell'Avvento, Benedetto XVI ha trovato come sempre le parole più efficaci per rendere interessante il messaggio cristiano all'uomo e soprattutto all'uomo di oggi. La fede cristiana -- ha affermato -- «non è adesione a un dio generico o indefinito, ma al Dio vivo che in Gesù Cristo, Verbo fatto carne, è entrato nella nostra storia e si è rivelato come il Redentore dell'uomo». Noi crediamo, infatti, che «Dio non si è chiuso nel suo Cielo, ma si è chinato sulle vicende dell'uomo: un mistero grande che giunge a superare ogni possibile attesa. Dio entra nel tempo dell'uomo nel modo più impensato: facendosi bambino e percorrendo le tappe della vita umana, affinché tutta la nostra esistenza, spirito, anima e corpo -- come ci ha ricordato san Paolo -- possa conservarsi irreprensibile ed essere elevata alle altezze di Dio. E tutto questo lo fa per il suo amore fedele verso l'umanità».

La Rivelazione di Dio si presenta in questa prospettiva come una sorpresa, o un vero e proprio un miracolo. Come nell'esperienza di un amore inaspettato o di una grandiosa, superiore bellezza. Già Hans Urs von Balthasar aveva scritto che ridurre l'amore a risposta all'«esigenza» del soggetto significherebbe «diffamare e profanare cinicamente l'amore con l'egoismo» e che «soltanto se viene riconosciuta la pura grazia dell'amore, colui che ama può manifestare la sua compiuta realizzazione attraverso un tale amore» (Solo l'amore è credibile, Torino, Borla, 1965, p. 56). Da ciò traspare chiaramente che la fede s'indirizza primariamente a questo amore divino che ci previene e ci supera. «Soltanto l'amore è credibile, ma anche non si deve e non si può credere a null'altro che all'amore» (Ibidem, p. 103).
Questo è il compito, l'opera della fede, riconoscere che esiste un amore, un amore assoluto: contro ogni probabilità dell'esperienza esistenziale e contro ogni concezione «intellettuale» del divino.
L'annuncio cristiano, però, pur rimanendo al di là di ogni probabile attesa, risulta paradossalmente il «compimento di ogni travaglio e anelito del cuore umano» (Porta fidei, n. 13).
Nel suo ultimo libro Joseph Ratzinger descrive la capacità dei pastori di cogliere un segno singolare, che «è al contempo anche un non segno»: essi contemplano «la povertà di Dio», e proprio lì riconoscono quello che l'angelo aveva loro annunciato. Per loro, «che avevano visto lo splendore di Dio sui loro pascoli», quel segno, povero segno è stato sufficiente: «Essi vedono dal di dentro» (L'infanzia di Gesù, Milano - Città del Vaticano, Rizzoli - Libreria Editrice Vaticana, 2012, p. 94).
A Natale, nella misura in cui sapremo immedesimarci nell'atteggiamento dei pastori, anche noi potremo scorgere «nella povertà di Dio» la sua carità, cioè il suo amore assoluto per ciascuno di noi. Forse allora in qualche modo potremo raggiungere quello che san Bernardo definisce il quarto grado della carità, cioè quello in cui l'uomo ama se stesso soltanto “per” Dio.
Oggi, infatti, l'uomo ha raggiunto tale grado di disperazione e di nichilismo da non riuscire più ad avere una ragione per amare se stesso. Solo nell'incontro con il Dio cristiano egli può ritrovare la propria identità e la coscienza del proprio valore assoluto.

(©L'Osservatore Romano 20 dicembre 2012)

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