domenica 16 dicembre 2012

Una questione seria. Gesù e la sua singolarità come Figlio di Dio (Biffi)

Gesù e la sua singolarità come Figlio di Dio

Una questione seria


Quell'umanità unica e incomparabile


di Inos Biffi


La questione perennemente seria e in fondo unicamente importante per la Chiesa è quella della singolarità di Gesù di Nazaret, ossia della sua divinità. Come la confessione di Cristo Figlio di Dio fu il traguardo e il vertice della fede dell'apostolo Pietro, e su tale fede venne fondata la Chiesa, così essa resterà sempre la sostanza e il criterio distintivo dell'essere cristiano.

Certamente Gesù è vero uomo, in tutto simile a noi, a eccezione del peccato. Egli possiede integralmente la natura umana, ma è la natura umana assunta da Colui che è personalmente Figlio di Dio. La sua divinità non assorbe la sua umanità, non la riduce a labile apparenza. D'altronde, ciò che incominciò a sorprendere a Nazaret non è che egli fosse il figlio del carpentiere, così come non suscitava stupore che avesse «fratelli» e «sorelle» (Matteo, 13, 55). Al contrario, tutto questo entrava nella normalità ed era scontato per chi conoscesse e frequentasse Gesù. La meraviglia sorge quando si constatano in lui parole e gesti inaspettati, che oltrepassano il consueto livello umano. È allora che sorge l'interrogativo: «Da dove gli vengono tutte queste cose?» (v. 56). Anzi, la stessa umanità di Gesù acquista tutto il suo significato quando egli -- grazie all'illuminazione e alla rivelazione del Padre (Matteo, 16, 17) -- viene riconosciuto come «il Figlio del Dio vivente». Essa appare allora non come l'umanità di un qualsiasi uomo, ma come l'umanità che appartiene personalmente all'Unigenito di Dio. E, infatti, il Credo cristiano definisce vero uomo uno della Trinità: il Verbo che «si fece carne» (Giovanni, 1, 14). Solo con questa enunciazione risalta tutto il mistero di Gesù: Figlio di Dio che si fa uomo, e uomo che è Figlio di Dio.
Oggi è corrente parlare di cristologia «dal basso», ma l'espressione non mi sembra affatto una trovata particolarmente illuminata e felice. Incominciamo, anzitutto, a notare che, se si parte «dal basso», cioè dall'umanità di Cristo, non si arriverà mai, grazie a una sua evoluzione o a una sua intrinseca esigenza, alla sua divinità. Gesù non ha incominciato a essere puramente uomo, per poi diventare Dio, ma, essendo dall'eternità “preesistentemente” Dio, nel tempo è diventato uomo e ha offerto i segni del suo essere «nella condizione di Dio» (Filippesi, 2, 4). Nessuna prerogativa della sua umanità spiegherebbe il suo essere vero Dio, mentre il suo essere preventivamente personalmente Figlio di Dio può spiegare come sia potuto diventare uomo. Già nel simbolo di Nicea professiamo che «il Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, per noi uomini e per la nostra salvezza, si è incarnato e si è fatto uomo».
E aggiungiamo: un'umanità di Gesù, che non sia stata inscindibilmente e storicamente l'umanità dell'Unigenito del Padre, non è mai esistita. Ecco perché al teologo che ne tratta dev'essere chiaro che quell'umanità perfettamente identica alla nostra, è insieme affatto unica e incomparabile. Ora, in ogni confronto o dialogo religioso ciò che deve primariamente risaltare è la discriminante dell'identità divina di Cristo, che rifiuta qualsiasi volonteroso concordismo che anche minimamente la attenui. Tutte le lodi che si possano fare di Gesù e tutti gli elogi che se ne possano tessere risulterebbero alla fine vani e inconcludenti, se venisse posto in parentesi il suo essere -- come ancora afferma il concilio di Nicea -- «Dio da Dio, luce da luce», cioè se si prescindesse e non si giungesse al suo riconoscimento di Figlio di Dio.
La conseguenza è che tutto l'impegno dei cristiani, e quindi della Chiesa, deve mirare a predicare la confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio dei Dio vivente» e a suscitare la fede in lui. Ossia a convertire gli uomini, secondo l'ammonimento di Gesù: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Marco, 1, 15).
Quando ci si dedica a questo, -- in obbedienza al mandato missionario dello stesso Signore: «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (Matteo, 28, 19) -- è assicurato il dono della grazia, cioè la forza miracolosa della Parola divina e la luce dello Spirito che illumina i cuori e che apre gli occhi interiori.
Parrebbe che, dopo il concilio Vaticano II, non si debba più parlare di Chiesa impegnata a convertire gli uomini. Ma se la conversione altro non è che l'adesione a Cristo, che cosa deve stare più a cuore alla Chiesa, se non che tutti gli uomini credano in lui, Figlio e unico salvatore? In altri termini, che cosa deve starle più a cuore, se non quello che premeva a Gesù Cristo, ossia che gli uomini credano in lui e si salvino? Andrebbe aggiunto che sul cardine della divinità di Gesù poggia tutta la Rivelazione cristiana e tutto l'edificio della fede. Lo si può constatare sperimentalmente: quando quella verità si appanni, o ci si giri inconcludentemente intorno, la Trinità, il disegno della grazia, il destino dell'uomo, la Chiesa, i sacramenti. In breve: l'intero contenuto del Credo diviene incerto e quel che conta di più, il mistero, viene smarrito.


(©L'Osservatore Romano 16 dicembre 2012)

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