Il Signore mi chiama a "salire sul monte", a dedicarmi ancora di più alla preghiera... (Benedetto XVI, 24 febbraio 2013)
martedì 5 febbraio 2013
Alla Gregoriana presentazione degli Atti del Simposio sugli abusi del clero
Alla Gregoriana presentazione degli Atti del Simposio sugli abusi del clero
A un anno di distanza dal Simposio internazionale sugli abusi su minori commessi da esponenti del clero, tenutosi alla Pontificia Università Gregoriana, la Chiesa mantiene l’impegno di proseguire il cammino, tracciato dal Papa, “verso la guarigione e il rinnovamento”. Oggi, nuovo incontro presso l’ateneo romano per presentare gli Atti del Simposio ed esporre le prime attività del Centro per la Protezione dei Minori varato lo scorso anno. Tra i partecipanti il reverendo Robert W. Oliver, dal dicembre scorso nuovo promotore di Giustizia presso la Congregazione per la Dottrina della Fede. Fabio Colagrande ha chiesto al gesuita padre Hans Zollner, preside dell’Istituto di Psicologia dell’Università Gregoriana, di presentare l’incontro odierno:
R. – I frutti del Simposio sono certamente una maggiore consapevolezza da parte dei vescovi rappresentanti delle varie Conferenze episcopali del mondo che nel febbraio scorso erano qui a Roma, proprio anche da Paesi e continenti in cui la questione dell’abuso dei minori non è stato il primo focus dell’attenzione, né nella società né nella Chiesa. Hanno compreso certamente l’importanza di dover fare qualcosa, soprattutto nell'ascoltare le vittime di abuso e poi per rendere loro giustizia e certamente per impegnarsi nel lavoro di prevenzione. Adesso, con la presentazione di questi Atti del Simposio a un anno di distanza – di cui abbiamo preparato 12 edizioni in 12 lingue – possiamo dire che questo vuole essere un punto di riferimento non solo per i vescovi, ma anche per le Chiese locali che devono continuare su questo cammino.
D. – “Non una conferenza fine a se stessa”: così avevate definito il Simposio di un anno fa. Infatti, continua il lavoro avviato da quell’incontro, soprattutto continuano le attività del Centro per la protezione dei minori che voi della Gregoriana, assieme all’Ospedale universitario di Ulm e all’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, avete avviato. Come funziona questo Centro per la protezione dei minori, quali sono state le sue prime attività?
R. – Un anno fa, in seguito al Simposio, abbiamo fondato questo Centro per la protezione dei minori ed è, come dice il nome, un tentativo di protezione, cioè di prevenzione dagli abusi sui minori, in tutte le parti del mondo. Però, in questa fase sperimentale del programma, ci limitiamo alla collaborazione con otto cosiddetti "project patners", cioè arcidiocesi o diocesi o Congregazioni religiose nel mondo, con cui cerchiamo di sapere in che modo funziona un programma ideato in Europa in altre parti del mondo. Un programma di apprendimento a distanza – e-learning – cioè la possibilità di seguire un corso di 30 ore, o davanti allo schermo del computer o anche aiutati da insegnanti in un corso di lezioni, di seminari, di workshop, in cui si impara – ad esempio – a prestare attenzione a segni di un possibile abuso che un bambino possa avere subito. O si impara come comportarsi nei confronti del bambino, nei confronti degli adulti, nei confronti della legge, cioè delle autorità competenti sia all’interno della Chiesa, sia delle autorità civili.
D. – Recentemente, i mezzi di informazione hanno dato notizia delle iniziative dell’arcivescovo di Los Angeles e molti hanno commentato che è un segno chiaro della linea di rigore, di trasparenza che la Chiesa nel mondo sta assumendo rispetto a questi casi di abusi sessuali. E’ un commento che lei condivide?
R. – Certamente. Si deve però anche stare attenti, perché la situazione negli Stati Uniti è molto grave e pure molto complessa, a causa di tante particolarità giuridiche: sarebbe lo stesso più o meno in tutto il mondo occidentale, europeo e nordamericano. In molte parti del mondo, il tema e tutta la legislazione non sono ancora così sviluppati, la gente non è ancora molto sensibilizzata alla necessità di combattere questo fenomeno. Per cui, dobbiamo lavorare per la società e per la Chiesa. I primi dati forniti dai nostri collaboratori, che hanno visitato i diversi Paesi con cui lavoriamo – come ad esempio Argentina, Ecuador, Ghana o Kenya, o India o Indonesia – ci hanno fatto riscontrare grande interesse ma anche grande richiesta per un sostegno allo sviluppo di programmi di prevenzione. Soprattutto, per sensibilizzare società che – come maggiormente si rileva in Asia – non sono cristiane, a fare qualcosa circa un tema considerato un assoluto tabù, una cosa di cui non si parla né in famiglia – dove, come sappiamo, si consuma la stragrande maggioranza degli abusi – né nella società, nelle scuole, eccetera. Per cui, dobbiamo veramente continuare con grande perseveranza.
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