Su segnalazione di Eufemia leggiamo:
Due pontefici, due svolte storiche
GUELFO FIORE
Non se la prendano gli studiosi di cose della Chiesa né i puristi. La decisione di Benedetto XVI, quanto meno indiscutibilmente asimmetrica rispetto agli ultimi sette secoli di storia della cristianità che – come dire – è magna pars della storia europea e occidentale, non può non evocare pensieri e suggestioni che valicano il Tevere per planare sul terreno dove posano i piedi tutti gli uomini, indipendentemente dalla fede professata.
E dunque, in tanti hanno stabilito un parallelismo tra le dimissioni del pontefice e il Concilio Vaticano II in quanto a evento generatore di grandi novità all’interno della Chiesa e nel rapporto di questa con il mondo contemporaneo.
Solo la storia dei prossimi tempi stabilirà se e quanto questa opinione risulterà fondata anche se, proprio la radicalità della scelta di Benedetto XVI, sposta dal primo marzo la Chiesa, qui intesa come popolo di Dio e non solo come apparato di governo, in una dimensione dove faticheranno non poco ad orientare i criteri e le consuetudini indiscussi fino al 28 febbraio (o al 10 febbraio, vigilia dell’annuncio papale). Però qui non ci si vuole inoltrare in una riflessione, che sicuramente diventerà una disputa, che prevede ben altre competenze e intelligenze. Si vuole accettare il parallelismo per trarne una conseguenza o, più precisamente, uno sguardo sul tempo che viviamo tutti, cristiani e no.
Giovanni XXIII avvertì, profeticamente, che la Chiesa aveva – a metà del secolo scorso – un passo diverso da quello del mondo di allora e questo ostacolava la sua missione di evangelizzazione. Chiamò dunque a raccolta i vescovi da tutto il mondo. Li convocò, appunto, in Concilio perché – tutti assieme – riscrivessero la grammatica della cristianità cosicché i fondamenti della fede cristiana potessero trovare comprensione e accoglienza nelle società che i due conflitti mondiali, le tragedie dei totalitarismi, l’imperioso sviluppo economico e gli ultimi spasmi del colonialismo avevano radicalmente mutato. E tornare ad animare questi tempi nuovi. Il papa buono percepì l’entusiasmo che soffiava a tutte le latitudini, il desiderio bruciante di costruire “cose nuove” e più giuste. E si affidò, oltre che allo Spirito santo, a questa ansia rigeneratrice presente nelle donne e negli uomini di allora, fossero chierici o laici.
Oggi, la rivoluzione sorgerà da un gesto solitario. Una decisione assunta in perfetta solitudine e riguardante un’unica persona, il papa, appunto. A Benedetto XVI, praticamente un “dottore della Chiesa”, difficilmente saranno sfuggiti gli effetti del suo atto e, quindi, c’è da pensare che li abbia giudicati come minimo non antitetici al bene della Chiesa.
Giovanni XXIII e Benedetto XVI. Non si può negare la simmetria. Saranno ricordati, entrambi, per aver impresso una svolta storica alla Chiesa. Ognuno a modo suo. C’entra il temperamento dei due uomini? Forse. Ma viene da pensare che conti di più il vento che soffiava nel mondo al tempo delle rispettive decisioni. Alla fine degli anni cinquanta tutto il pianeta era attraversato da una febbre di cambiamento, da una fiducia che si potesse costruire un avvenire più giusto e sicuro, a patto che ci si mettesse all’opera insieme, in nome di quell’unità che aveva portato i popoli fuori dalla guerra e verso una diffusione di benessere mai vista prima d’allora. Entusiasmo e fiducia. Al termine del primo decennio di questo secolo c’è poco di cui essere entusiasti e il senso della comunità, dell’opera comune, è stato brutalizzato da qualche lustro di predominio dell’individualismo e dell’egoismo sociale, non certo solo in Italia. Praticamente tutti, in ogni paese, ci guardiamo sospettosi, temiamo che l’altro ci possa fregare soldi, proprietà ma anche convinzioni e convenzioni che regolano – e tengono in equilibrio – le nostre vite quotidiane. Accade nei condominii, accade tra aree territoriali, accade nel concerto delle nazioni. è questo l’ossigeno che si respira nel mondo d’oggi. Viene da chiedersi perfino se, con un clima simile alla fine degli anni cinquanta, il Concilio avrebbe sortito quella grande novità, capace di cambiare la Chiesa ed influenzare la civiltà, che invece ebbe. E dunque ci si è affidati ad un gesto solitario. Nella speranza, senza dubbio, che lavori nel mondo come il seme nel terreno. Da solo, là sotto, genera una vita nuova e rigogliosa. Insomma, cambia la storia.
© Copyright Europa, 19 febbraio 2013
2 commenti:
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http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/22478/
Sinceramente non riesco a capire perché si ostinino a parlare di svolta storica. Benedetto non ha deciso di fare un passo nei suoi poteri, dimettersi per motivi d'età, ma non ha certo con questo suo atto stabilito che i suoi successori debbano fare altrettanto.
O forse a qualcuno piacerebbe ridurre la figura e il ruolo del Papa a semplice vescovo di Roma che, come gli altri vescovi, si dimette per limiti di età.
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