venerdì 1 febbraio 2013

Chi svela l'uomo all'uomo. Il vero protagonista della «Gaudium et spes» (Pelvi)


Il vero protagonista della «Gaudium et spes»

Chi svela l'uomo all'uomo

di Vincenzo Pelvi

La Gaudium et spes ha come oggetto centrale della sua preoccupazione, l'uomo: «È l'uomo dunque, ma l'uomo integrale, nell'unità di corpo e anima, di cuore e coscienza, di intelletto e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione» (Gaudium et spes, n. 3). E non potrebbe essere diversamente. I problemi del mondo contemporaneo che la Chiesa vuole illuminare sono: «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi» (n. 1). Fondamentale nella Gaudium et spes è l'uomo, che fonda il legame che intercorre tra la Chiesa e il mondo. La Chiesa può dire Cristo come la verità dell'uomo, solo se essa è capace di svelare pienamente l'uomo all'uomo, ossia rivelargli la grandezza e la bellezza della sua dignità personale.
La Chiesa crede di trovare nel suo Signore e maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Il documento presenta -- nella prima parte, dal n. 10 al n. 45 -- la centralità di Cristo, via decisiva per la comprensione dell'uomo. In particolare, il n. 22 è la chiave per accostare Cristo, uomo nuovo, nuovo Adamo nel quale viene svelato al soggetto umano il senso e il futuro della storia umana e del cosmo. Il Signore è il fine della storia umana (cfr. n. 45). Si tratta di un testo di elevata statura teologica, che contrasta con l'evidente timidezza con cui il documento affronta le questioni più strettamente teologiche. Il concilio parla dell'uomo alla luce di Cristo, non semplicemente perché in Cristo tutto viene illuminato ma perché nel Figlio incarnato si scopre chi è e a che cosa è chiamato l'essere umano. Non si tratta di una luce che viene dal di fuori ma della stessa realtà della vita di Cristo.
Non è l'uomo che spiega Cristo, ma Cristo che spiega l'uomo. Perciò, solo per mezzo di Cristo possiamo sapere che cos'è l'uomo. La manifestazione di ciò che l'uomo è viene dunque unita alla rivelazione del Padre ed è conseguenza inseparabile di essa. Cristo, rivelatore dell'amore di Dio Padre, manifestatosi come Figlio, con la sua vita, rivela anche la vocazione dell'uomo: da sempre siamo stati chiamati alla comunione con Dio, a essere suoi figli nel Figlio.
Perché Cristo è l'uomo nuovo? Dico subito che Egli porta la novità della fraternità. La dottrina della Gaudium et spes stabilisce le basi di una teologia della fraternità, che viene elaborata in base alla distinzione-correlazione tra fraternità, filialità e paternità: la fraternità presuppone la filialità, e questa, a sua volta, la paternità. La concezione dell'essere umano, negli scritti del Nuovo Testamento, è collegata con la fede in Gesù, riconosciuto e proclamato Cristo, Figlio di Dio e Signore. Come primogenito tra molti fratelli, Egli non è solo il mediatore tra Dio e gli uomini, ma anche il prototipo della relazione filiale con Dio Padre. La verità dell'uomo consiste nell'essere «figlio nel Figlio» e «secondo il Figlio» (cfr. n. 22). Nel Cristo e per il Cristo, Dio Padre diviene realmente nostro Padre e noi siamo introdotti nelle particolari relazioni provvidenziali esistenti tra il Padre e il Figlio fatto uomo. Se Dio si prende personalmente cura di noi, è come un Padre che lo fa e non come l'amministratore dell'universo.
In quest'ottica, la fede è adesione alla «volontà del Padre», un amore obbediente, intriso di intimità, fa esclamare a Gesù: «Abbà». Accanto al rispetto religioso, Cristo introduce nella relazione del Padre al Figlio una sfumatura di tenerezza e di confidenza. Gesù insegna agli uomini a pregare Dio come loro Padre, ma dice sempre «mio Padre», oppure «vostro Padre», mai «nostro Padre» (Matteo, 7, 11; Luca, 22, 29; cfr. Giovanni, 20, 17). Egli ha una posizione talmente unica nei confronti del Padre, che ne è il «Rivelatore» per eccellenza. La condizione nuova, nella quale la venuta di Gesù ha posto l'essere umano, è la filialità. Questa consiste nel dono di grazia attraverso il quale siamo chiamati a partecipare alla dignità del Figlio di Dio incarnato, crocifisso e risorto, che si rivela l'Unigenito del Padre. Cristo «immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura» (Colossesi, 1, 15) proclama chi è Dio, ma ci dice anche chi è l'uomo. Egli ci rivela l'immagine dell'uomo che Dio, nella sua ineffabile bontà, porta dentro di Sé fin dall'eternità e alla quale vuole conformare tutti gli uomini fino a che Cristo non sia in essi formato (cfr. Galati, 4, 19).
Questa verità si rinnova in tutti i cristiani: più aumenta la loro fede e la loro unione con Cristo, più essi vi scorgono lo splendore del mistero di Dio, più si aprono a un apprezzamento nuovo delle persone e degli avvenimenti, acquisendo una maggiore consapevolezza dello splendore del loro mistero, «artefici di una umanità nuova» (Gaudium et spes, n. 30). «Redento, infatti, da Cristo e diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l'uomo può e deve amare anche le cose che Dio ha creato. Da Dio le riceve, e le guarda e le onora come se al presente uscissero dalle mani di Dio. Di esse ringrazia il Benefattore e, usando e godendo delle creature in povertà e libertà di spirito, viene introdotto nel vero possesso del mondo, quasi al tempo stesso niente abbia e tutto possegga: “Tutto, infatti, è vostro: ma voi siete di Cristo, Cristo di Dio” (1 Corinzi, 3, 22)» (Gaudium et spes, n. 37). In Gesù Cristo, i cristiani diventano davvero segni del Regno e amici degli uomini.
In Dio l'essere umano diventa se stesso e assume la missione di rendere umana la storia, di condividere con la creazione la libertà alla quale essa aspira (cfr. Romani, 8, 19 ss.). Divenire se stesso, significa ricostruire la propria identità di immagine di Dio nella creazione. Essere figlio di Dio e divenire persona umana sono aspetti di una sola e medesima realtà, che è tanto più umana quanto più è in unione con Dio e viceversa. Le dimensioni divina e umana della persona non sussistono che simultaneamente; separate, successive, giustapposte, esse non sono vere. La relazione dell'uomo con Dio non può esistere a danno dell'uomo. Là ove non c'è essere umano, non si può neanche avere relazione con Dio. Pensarsi in Dio, significa pensarsi nella verità; volersi in Lui, significa volersi autenticamente. Il solo essere umano che si ama veramente è colui che non falsa la propria verità, colui che aspira sinceramente all'unità, alla bellezza e alla bontà della propria persona nella comunione del popolo di Dio.
Ne consegue che la separazione tra Dio e l'umanità condanna l'essere umano all'incomprensione radicale. Dio e l'essere umano costituiscono un solo e medesimo mistero. Dio crea e unisce a sé l'umanità che divinizza e adotta. Secondo il messaggio cristiano, la teologia è antropologia e l'antropologia è teologia: Dio e l'umanità non possono essere pensati separatamente. Il Dio degli uomini e gli uomini di Dio sono uniti in Gesù Cristo. Se l'essere umano non è se stesso, vero, non può riconoscere Dio, e se non riconosce il Dio rivelato, non è se stesso e si ignora.

(©L'Osservatore Romano 1° febbraio 2013)

1 commento:

Andrea ha detto...

Chiusura dell'articolo:
"..Ne consegue che la separazione tra Dio e l'umanità condanna l'essere umano all'incomprensione radicale. Dio e l'essere umano costituiscono un solo e medesimo mistero".

Frase composta di una prima parte perfetta (condanna dell'astratta "umanità" contrapposta a Dio) e di una seconda parte ereticale (Dio e il concreto "essere umano" costituirebbero un unico Mistero: Panteismo)