giovedì 7 febbraio 2013

E Pio XI disse: «Siamo tutti semiti». La svolta razzista del fascismo e la dura opposizione della Chiesa (De Cesaris)

La svolta razzista del fascismo e la dura opposizione della Chiesa

E Pio XI disse «Siamo tutti semiti»


di Valerio De Cesaris


Lo scontro tra Chiesa e fascismo sulla questione razziale è stato messo in luce in alcuni studi recenti, basati per lo più sulla documentazione del pontificato di Pio XI, dal 2006 disponibile agli studiosi. Ora lo storico Gabriele Rigano, con La svolta razzista (Bologna, Edizioni Dehoniane, 2013, pagine 80, euro 6.20) in libreria dall'11 febbraio, offre una lucida analisi della controversia ideologica che oppose la Santa Sede al regime fascista su un tema, quello del razzismo, che in Vaticano era considerato dottrinale prima che politico. Il saggio di Rigano, anticipato dalla rivista «Cristianesimo nella Storia», muove dall'analisi di due documenti rilevanti: la nota del 20 marzo 1939 che la Segreteria di Stato vaticana indirizzò al governo italiano per criticare «La Difesa della razza», periodico razzista diretto da Telesio Interlandi, e il Promemoria allegato alla nota, in cui è affermata l'inconciliabilità tra il razzismo e la dottrina cattolica.

La vicenda -- agli esordi del pontificato di Pio XII -- s'inquadra in un periodo di aspra contrapposizione su razzismo e antisemitismo, con un crescendo di tensione negli ultimi mesi del pontificato di Pio XI. Nel luglio 1938 Papa Ratti aveva criticato il cosiddetto Manifesto degli scienziati razzisti, apparso sul «Giornale d'Italia», e aveva attaccato il regime fascista, accusandolo di imitare la Germania di Hitler. Nel settembre seguente aveva pronunciato frasi molto nette sui cristiani «spiritualmente semiti» e l'«antisemitismo inammissibile», vanificando il tentativo diplomatico di trovare, sul razzismo, un accordo; infine, tra ottobre e novembre, la Segreteria di Stato aveva pressato il governo italiano affinché accettasse di confrontarsi con le richieste vaticane prima di promulgare le leggi razziali, scontrandosi con la freddezza di Mussolini.
Lo studio di Rigano dimostra come la frattura tra Chiesa e regime mussoliniano sul problema del razzismo andasse oltre gli aspetti diplomatici e le posizioni personali di Papa Achille Ratti, che condusse su quel fronte la sua ultima battaglia. Si trattava di una questione dottrinale delicata, poiché il razzismo, com'era formulato sulle pagine de «La Difesa della razza», assumeva una carica neopagana e anticristiana. La consapevolezza di un pericoloso anticristianesimo, insito nel razzismo e nell'antisemitismo razziale, era diffusa in Vaticano, ed era ormai la lettura prevalente che si dava della situazione tedesca.
L'adozione della politica antisemita in Italia fu vista come un segnale inequivocabile dell'avvicinamento, anche ideologico, del fascismo al nazismo. Anche per questo motivo Pio XI fece intendere, in più occasioni, la sua contrarietà all'alleanza tra l'Italia e la Germania. E «L'Osservatore Romano» pubblicò, nel corso del 1938, numerosi articoli contro il razzismo nazista, alcuni a firma di autorevoli cardinali residenziali europei, come l'arcivescovo di Parigi, Verdier, l'arcivescovo di Malines e primate del Belgio, van Roey, il patriarca di Lisbona, Cerejeira.
«La Difesa della razza» altro non era che un organo di propaganda di supporto alla svolta razzista del fascismo. Così la Santa Sede sconsigliava il clero di leggere la rivista di Interlandi e invitava a confutarne le teorie. Marcava la distanza tra la dottrina cattolica e il razzismo, che il regime di Mussolini andava assumendo come ideologia forte. Del resto, come mostrano alcune lettere di giovani militanti pubblicate da «La Difesa della razza», anche in campo fascista vi era la percezione che cristianesimo e fascismo -- dopo la svolta razzista -- fossero incompatibili.
Quando la “romanità” fascista si tinse di razzismo, sino alla prefigurazione, avanzata dallo stesso Mussolini, di un arianesimo mediterraneo, erede dell'impero romano, emerse una visione alternativa e contrapposta a quella cattolica del ruolo svolto da Roma nella storia dell'umanità. In molte posizioni di fascisti si fece largo l'idea di un cattolicesimo nazionale, desemitizzato, funzionale al nazionalismo fascista. Era l'idea di Mussolini, che si definiva «cattolico e anticristiano». Un cattolicesimo non più universalistico, ma identitario, non più legato all'ebraismo dai testi sacri in parte comuni ma epurato dell'Antico Testamento. Per la Chiesa si trattava di una dottrina inaccettabile, che minava i fondamenti stessi del cristianesimo.
La svolta razzista del regime esasperò e chiarì i termini di uno scontro che esisteva in forma latente sin dall'affermazione del fascismo e passando attraverso fasi alterne, tra la Conciliazione del 1929 e la crisi del 1931, per giungere al 1938. Il saggio di Gabriele Rigano aiuta una comprensione più profonda del rapporto, complesso e spesso conflittuale, tra Chiesa cattolica e regime fascista: la prima appoggiò il secondo per molti anni, nella speranza di poterlo cattolicizzare, ma a fronte di convergenze su temi quali la famiglia e l'ordine sociale, vi furono anche divergenze dottrinali profonde, molto evidenti sul terreno del razzismo e dell'antisemitismo razziale.
Il Promemoria che nel marzo 1939 fu trasmesso alle autorità italiane era stato redatto nei mesi precedenti per volontà di Pio XI, che era giunto a una condanna complessiva dell'antisemitismo. Fu consegnato all'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede per volontà del suo successore, Pio XII. Un segnale ulteriore del fatto che, al passaggio di pontificato, le posizioni della Santa Sede su razzismo e antisemitismo non mutarono nella sostanza, nonostante l'approccio più diplomatico e meno pubblico con il quale Papa Pacelli volle gestire la controversia con il fascismo sulla questione della razza.

(©L'Osservatore Romano 7 febbraio 2013)

1 commento:

Andrea ha detto...

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la-storia-riscrittada-sergio-romano-5754.htm