mercoledì 20 febbraio 2013

La rinuncia del Papa. Allontanarsi per amore (Testi)


LA RINUNCIA DEL PAPA

Allontanarsi per amore

Manifestare il proprio sentimento nella lontananza è un motivo ricorrente in filosofia come nella letteratura. Da Gadamer a Dante, ma non solo

Marco Testi

“A casa si è là dove si ha il proprio rifugio. Lo spirito tuttavia non può rimanere nella sua calda, struggente patria. Per questo si diparte. Esso ‘ama’ le colonie, si cerca, cioè, dimenticando coraggiosamente l’antica felicità, una nuova patria da fondare, il luogo di un nuovo essere e rimanere a casa”.
Il grande filosofo Hans Georg Gadamer (1900-2002) ha posto in maniera affascinante la questione dei vari modi di amare: lo ha fatto misurandosi, come spesso accade ai sensibili pensatori tedeschi, attenti alle voci profonde dell’io, anche con la poesia, in un’opera di qualche anno fa, “Interpretazioni di poeti” (Marietti, 131 pagine). Per “colonie” Gadamer, che è stato maestro dell’interpretazione dei testi biblici, intende l’andare oltre la patria, vale a dire amare fino a tal punto da allontanarsi dall’oggetto del proprio amore per sentirne la struggente nostalgia. Il filosofo pone con forza la convinzione che l’allontanarsi sia una prova di amore, non di disaffezione o delusione. Un motivo che in questi convulsi giorni è tornato di grande attualità con il gesto di Benedetto XVI, conterraneo di Gadamer, il quale, durante l’incontro con i parroci romani, è tornato sul tema del profondo legame tra allontanamento fisico e amore, affermando che “anche se mi ritiro adesso sono sempre vicino in preghiera a tutti voi e voi sarete vicini a me, anche se rimango nascosto per il mondo”.
Questo affascinante modo di intendere l’amore è stato affrontato non solo da Gadamer, ma, andando indietro nel tempo, anche dal padre della nostra letteratura. In tutto il Purgatorio, ad esempio, spira un’aria di lontananza non irredimibile tra l’uomo e l’oggetto - talvolta inconsapevole - del suo amore, il luogo vero d’origine, la casa del Padre. Ma questa nostalgia (letteralmente “dolore del ritorno”) della casa paterna non è solo nell’atmosfera che regna sulle balze del Purgatorio: appare tangibilmente in alcuni episodi in cui la lontananza (e Dante lo sapeva bene, essendo in esilio) è anche radicale testimonianza d’amore. Questo elemento è visibile già nel celebre incipit del nono canto, “Era già l’ora che volge il disio”, in cui il suono della campana che annuncia il vespro rende struggente l’amore per i luoghi perduti, perché è proprio la loro lontananza che li rende più preziosi e cari.
Manifestare il proprio amore nella lontananza è un motivo ricorrente nella letteratura, perché vi rientra il grande tema provenzale dell’amor de lonh, l’amore da lontano, che trova la sua ragion d’essere nella abissale distanza dall’amata. Un tema laicissimo, si obietterà, diverso da quello di un pontefice che continua ad amare la sua patria-Chiesa anche nella distanza del nascondimento al mondo. Se ci si pensa bene, in realtà non è così: alcuni, ad esempio Denis De Rougemont in “L’amore e l’occidente” (Rizzoli, 463 pagine), hanno visto nell’amore da lontano dei provenzali la presenza sotterranea di un messaggio religioso radicale, quello dei Càtari; lo stesso tema dell’amore verso l’altro viene sublimato in Dante proprio attraverso l’assenza fisica della persona: Beatrice diviene “porta” della salvezza grazie alla profonda sofferenza –e purificazione - che la sua scomparsa fisica impone a Dante; alla fine di questo cammino penitenziale vi è la manifestazione del divino.
Ma in realtà l’assenza-vicinanza dal luogo amato, vista come forma dell’amore, fa parte integrante dell’agiografia cristiana: si pensi alla redazione greco-romana della Vita di Sant’Alessio (una sua illustrazione medioevale è presente nella chiesa inferiore di san Clemente a Roma) che parla del ritorno nell’Urbe del santo dopo la sua scelta di diventare mendico: egli si pone come un comune vagabondo a chiedere la carità sotto la sua antica casa senza essere riconosciuto dai genitori. La struggente nostalgia della casa perduta viene portata a conseguenze estreme. L’esempio di questo santo, che convinse la sua futura sposa a rinunciare al matrimonio, si interseca con quello di un singolare personaggio di Gilberth Keith Chesterton, il creatore del poliziotto-prete padre Brown. In “Le avventure di un uomo vivo” (ne esistono varie edizioni, da Mondadori a Piemme, da Mursia a Morganti), il protagonista è uno strambo signore che confessa alla fine “Sono uno che ha abbandonata la propria casa perché non poteva più sopportare d’esserne lontano”: il suo amore infinito lo porta a lasciare la casa del suo cuore per sentirne tutta la spaventosa mancanza.
È ovvio che quelli qui riportati sono esempi diversi dall’evento cui stiamo assistendo in questi giorni. Ma ricordiamoci l’assunto dal quale siamo partiti: il lasciare non sempre è segno di sfiducia e fuga, ma di un amore abissale che può sfidare lo spazio e il tempo umani.

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1 commento:

montmirail ha detto...

"hanno visto nell’amore da lontano dei provenzali la presenza sotterranea di un messaggio religioso radicale, quello dei Càtari"

Vabbè , letto fino a qui..Non sanno cosa inventarsi per spandere melassa.
Mettiamo anche i catari come esempio sui media cattolici, montagne copriteci