martedì 5 febbraio 2013

Quel dono da non trattenere per sé. Seconda lettera del patriarca di Venezia per l'Anno della fede (Francesco Moraglia)


Seconda lettera del patriarca di Venezia per l'Anno della fede

Quel dono da non trattenere per sé

La fede cristiana in un contesto di secolarizzazione diffusa: s'intitola così la seconda lettera -- pubblicata dalle Edizioni Cid -- che il patriarca di Venezia ha voluto indirizzare alla diocesi per accompagnare un nuovo tratto dell'Anno della fede. Il testo verrà presentato nel corso di tre incontri in programma a partire da martedì 5. Si tratta della seconda tappa del cammino diocesano iniziato domenica 14 ottobre 2012 con la messa in piazza San Marco. Se in quella occasione il patriarca aveva affidato alla lettura delle comunità il testo So in chi ho posto la mia fede, oggi al centro della meditazione è il rapporto tra fede e ragione nell'attuale contesto. Anticipiamo un estratto del nuovo testo.

di Francesco Moraglia

La secolarità è cosa diversa dalla secolarizzazione: consiste nel riconoscere l'obiettiva autonomia delle realtà terrene liberandole da una dipendenza impropria o, addirittura, errata nei confronti di Dio. Il processo di secolarizzazione conduce, invece, verso un mondo e un'umanità senza riferimento alla trascendenza e così -- quando si parla dell'uomo, della convivenza sociale e dei valori in termini appunto di secolarizzazione -- Dio viene percepito come problema: in tale prospettiva, infatti, Dio viene considerato alternativo a queste realtà e a questi valori. Questo, però, è contrario a una corretta laicità.
È lo stesso Vangelo a porre una netta distinzione fra politica e fede, fra Dio e Cesare. E alla domanda se è lecito pagare il tributo a Cesare, Gesù risponde che bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio (cfr. Matteo, 22, 21). Uno Stato che, dichiarandosi neutrale, non riconoscesse le differenti, molteplici e legittime identità che gli stanno di fronte -- tra cui, per prime, quelle religiose -- e anzi pretendesse di limitarle o rinchiuderle nella sfera del privato, in nome di una presunta neutralità, genererebbe gravi ripercussioni e forti tensioni sia sul piano religioso che su quello culturale e, di conseguenza, in tutto l'ambito sociale. Ci si può trovare, in tal modo, dinanzi a un progetto politico che si propone come “neutrale” ma, in realtà, è pregiudizialmente contrario alle differenti identità, specialmente a quelle religiose, le rifiuta -- non riconoscendo loro uno spazio pubblico -- e le costringe all'interno delle coscienze. Ma questa non è laicità: è laicismo.
I Paesi di antica tradizione cristiana sono segnati da un forte tasso di scristianizzazione e così, seppure in situazioni profondamente diverse, la nostra condizione di uomini del terzo millennio ripropone quella degli esordi della Chiesa. Una tale somiglianza ci ricorda che quanti sono chiamati al discepolato e all'evangelizzazione operano -- oggi, come ieri -- in un contesto non cristiano; sarebbe irrealistico immaginare un quadro socio-culturale differente da quello esistente e sarebbe un esercizio sterile lagnarsi di ciò che ci sta dinanzi. Si tratta, piuttosto, di prendere contatto con la realtà.
Si tratta, per un verso, di non guardare alla Chiesa come a una realtà chiusa in se stessa e timorosa del mondo al punto da rimanervi estranea; allo stesso tempo non bisogna avere un atteggiamento ingenuo e acritico, succube di fronte al mondo. Il cristiano non è il notaio dell'esistente, pronto in ogni momento ad avvalorare le scelte di una modernità più incline a seguire la linea della secolarizzazione o, meglio, del secolarismo laicista piuttosto che quella di una reale e obiettiva secolarità. Il discepolo è chiamato a un discernimento critico personale e comunitario-ecclesiale circa i valori sui quali si gioca l'essenziale dell'uomo e della retta convivenza, i valori irrinunciabili di una retta antropologia a livello filosofico e culturale.
Si parla, allora, di valori “non negoziabili” in quanto inscritti nella natura stessa della persona e perciò “irrinunciabili”, pena il vanificare la centralità della persona, svuotandola dall'interno. Qui s'intende in particolare la tutela e la promozione della vita in tutte le sue fasi -- dal concepimento alla morte naturale -- la promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra uomo e donna aperta alla vita e fondata sul matrimonio, difendendola da quei tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme diverse d'unione, e il riconoscimento del diritto dei genitori a educare liberamente i propri figli. Benedetto XVI ci ricorda sovente che tali principi non sono affermazioni confessionali ma appartengono alla verità della persona e sono comuni a tutta l'umanità.
Oggi l'evangelizzatore non può limitarsi a stigmatizzare o prendere le distanze da persone o situazioni come non può avallare, in modo acritico, ciò che, di volta in volta, incontra sulla sua strada. Questi due atteggiamenti sono in contrasto fra loro e con lo stile di Gesù: non appartengono infatti alla logica del Vangelo, secondo la quale ogni uomo è chiamato a conversione. Il discepolo non può limitarsi a prendere le distanze da quanto non è in consonanza col Vangelo o a formulare un annuncio che non sia anche un invito a condividere un cammino comune; così facendo si eviterebbe la fatica di capire e di amare, ma l'evangelizzatore è sempre colui che invita -- nello spirito di una reale conversione -- a un cammino di comunione nella Chiesa.
Il dialogo-annuncio deve poi partire dalle storie concrete delle persone, traendo spunto dal vissuto quotidiano e dall'ascolto, frutto di empatia e disponibilità. Avere tempo per il prossimo, in una società in cui tutti hanno fretta e non hanno mai tempo, è già, di per sé, una “buona notizia” e, quindi, un vero “vangelo” e, alla fine, la modalità prima per incontrare le persone.
Come ogni dialogo, anche quello concernente la fede può essere genuino o no: il dialogo è evangelicamente genuino -- e non “sofisticato” -- quando non priva l'interlocutore del dono di Gesù Cristo, il sommo bene che un giorno, a sua volta, il discepolo-evangelizzatore ha ricevuto. Tralasciare l'annuncio, pensando che il dialogo sia sufficiente, vuol dire trattenere per sé Gesù, il dono di Dio a ogni uomo. Ma senza Gesù -- via e verità -- l'uomo non raggiungerà mai la vera vita e smarrirà se stesso.

(©L'Osservatore Romano 4-5 febbraio 2013)

1 commento:

u ha detto...

bellissima questa lettera del Patriarca di Venezia,a conferma che la nomina di mons. Moraglia è stata quanto mai azzeccata!..in essa si parla,elencandoli esplicitamente,dei "valori non negoziabili" definiti "irrinunciabili" su cui devono basarsi e orientarsi,annunciandoli,i discepoli di Cristo( cioè tutti i fedeli,non solo i ministri consacrati). bellissimo anche il passaggio dove viene denunciato il "secolarismo laicista". Insomma,una lettera chiara e coraggiosa che denuncia senza giri di parole i "mali della società" e invita i cristiani a non cedere alle loro lusinghe,testimoniando la Verità del Vangelo. Tutto ciò stride però,e parecchio,con l'atteggiamento di totale arrendevolezza con la mentalità( anzi la dittatura) secolarista che la curia veneziana è parsa assumere ( e questa è stata la percezione nell'opinione pubblica) nei confronti di quell'episodio di cronaca che ha riguardato un docente di Religione "colpevole" semplicemente di aver esposto ai propri ragazzi il punto di vista della Chiesa sull'omosessualità...