Quella scintilla che scocca anche in chi non crede
di Cristian Martini Grimaldi
Si respira un'atmosfera diversa, più serena, in piazza San Pietro per questo ultimo Angelus del pontificato di Benedetto XVI. Come se ormai i fedeli avessero definitivamente elaborato, nella loro coscienza, la commozione iniziale suscitata dall'annuncio della rinuncia del Papa.
Un gruppetto proveniente da Verona, guidato da don Nicola Giacomi, è arrivato in piazza con largo anticipo. «La continuità con Giovanni Paolo II è certamente il segno di questo pontificato», dice il parroco. «Con la sua coerenza e credibilità, la sua forza d'animo -- continua -- è stato per noi una guida sicura. Benedetto XVI ha saputo guidarci in un momento difficile della nostra storia. Ci ha accompagnato dandoci importanti indicazioni. Una delle frasi che a me piacciono molto è stata quella che ha pronunciato durante la giornata mondiale della gioventù a Sydney. Rivolgendosi ai giovani ha auspicato: siate profeti di una nuova era. Ecco, essere profeti significa saper sognare in grande, non rassegnarsi, essere testimoni di Gesù nella realtà di tutti i giorni. Questo è un bellissimo messaggio per i giovani».
Jaime è di Barcellona e fa il podologo. È venuto a Roma appositamente per ascoltare l'ultimo Angelus del pontificato. «È stato un Papa -- afferma -- che ci ha dato una visione “tecnica” del vangelo. Ci ha insegnato cosa significa veramente la fede. Ci ha parlato dell'impegno di un cattolico nel mondo contemporaneo, forse la più grande sfida che tocca a noi credenti. Ma non è stato un Papa dal pensiero complesso, come molti credono. Benedetto XVI è un vero filosofo del nostro tempo. Il suo pensiero è perciò diretto a tutti. Mi ha impressionato l'umiltà con cui si è fatto carico degli impegni nonostante la sua salute e la sua età».
Mario viene da Civitavecchia, è pensionato. «Rimane la consapevolezza -- riconosce -- di aver avuto un Pontefice con una preparazione fuori dal comune. E forse anche grazie a questo suo gesto, che ha scosso un po' tutti, molti si sono avvicinati al suo pensiero. Ho molti amici che hanno cominciato a interessarsi al magistero di Papa Ratzinger dall'11 di febbraio: meglio tardi che mai...».
Katia è di Saccolongo, in provincia di Padova. Con lei ci sono una cinquantina di persone della diocesi. Moltissimi i ragazzi. «Questo Papa -- sostiene -- ha approfondito i grandi temi della Chiesa. Ci ha comunicato i valori alti. Si è trovato a vivere momenti difficili per la Chiesa, ma li ha saputi affrontare con onestà e coraggio. Una sua frase, che ripeto sempre ai giovani, è quella che dice: nella misura in cui sarete fedeli, sarete degni di fede. Un richiamo alla propria responsabilità dal forte spessore pedagogico».
Pietro ha 61 anni. «Questi otto anni -- confida -- sono stati stupendi. Ricchi di solida religiosità, di ottima catechesi, di difesa delle verità. Un pontificato difficile, dopo Giovanni Paolo II, ma Ratzinger lo ha saputo affrontare al meglio. Il suo ultimo gesto rappresenta tutto il suo altruismo: quello che forse alla società manca».
Paolo, 24 anni, studia filosofia a Genova. Insieme a lui altri sessanta studenti. «Quello che mi resta di questo Pontefice -- dice -- è l'uso che ha saputo fare della ragione. Nonostante venga definito abitualmente “Papa teologo”, ha una chiarezza che colpisce. E poi non si è mai tirato indietro davanti alle grandi sfide che si sono presentate. Degli otto anni del suo pontificato mi rimane impresso soprattutto il discorso di Ratisbona, nel quale ha dato un'interpretazione diversa della concezione riduttiva che di solito si ha della vita, divisa tra fede da una parte, e ragione dall'altra. In sostanza ci ha spiegato che la ragione coinvolge tutti gli aspetti della vita, dunque anche la fede. Quel discorso per me è stato molto importante. Anche un'altra sua frase mi ha colpito, anche se non ricordo in quale occasione l'ha pronunciata: è la fede a dover orientare lo sguardo e l'azione del cristiano, poiché rappresenta un nuovo criterio d'intelligenza e di azione che cambia tutta la vita dell'uomo. Ecco, pensare la fede come criterio di intelligenza è per me un'assoluta rivelazione».
«Se qualcuno fra qualche anno ti chiedesse di Benedetto XVI, cosa gli diresti?» domando a Paolo. «Gli direi -- risponde -- che è stato un padre tenero. Ricordo la prima volta che lo vidi dal vivo: quel suo sguardo è stato di una tenerezza tale che mi sono sentito letteralmente abbracciato. Per me è stato un padre paziente che ti spiega le cose con chiarezza e ti aiuta a camminare».
Vengono da Alanno, provincia di Pescara. Sono in quindici. Luca è impiegato presso un'agenzia che si occupa di ambiente. Sorreggono un cartello che dice: «Grazie umile lavoratore nella vigna del Signore». È la frase -- spiega -- «con cui si definì Benedetto XVI il giorno della sua elezione al papato. Per me sintetizza bene anche un aspetto del suo carattere che è l'umiltà. È riuscito a darci dei testi chiari, semplici, accessibili a tutti, pieni di dottrina. Se dovessi sintetizzare il suo pontificato con una frase direi: la verità della fede che si incontra con la ragione è accessibile a tutti. Si tratta di un messaggio molto moderno».
Quattro ragazze, una del Kenya, due spagnole e una messicana. Studiano qui a Roma. «Sentiamo molti leader oggi -- dice Julia, spagnola -- che parlano di tanti problemi: la disoccupazione, la crisi economica, la crisi ambientale. Ma se ci pensiamo questo Papa ha già proposto delle soluzioni. Sì, perché con la sua prima enciclica Deus caritas est ci ha insegnato che bisogna partire dalla speranza: senza speranza qualsiasi problema sembra insormontabile».
«Mi ha colpito come sia riuscito ad adattare il suo messaggio a ogni interlocutore» aggiunge Maria, la messicana. «Ad esempio quando è venuto in Messico. Io ero lì. Aveva un sombrero in testa!» ride. «Noi messicani -- racconta -- avevamo bisogno di vederlo dal vivo, perché è importante averlo presente fisicamente. Ha persino fatto uno strappo al protocollo, uscendo la sera per salutare la gente che cantava per rendergli omaggio: è stato un gesto straordinario, considerando la sua età. A quell'ora, dopo un viaggio estenuante, avrebbe dovuto essere a riposo; invece è andato tra la gente. Evidentemente non gli bastava affacciarsi alla finestra. Questo ci ha fatto sentire tutta la sua umanità».
Anche Fernanda, l'altra spagnola, vuole dire la sua: «Noi ci entusiasmiamo molto, anche se non possiamo dire di conoscere i fondamenti della dottrina. Questo perché Benedetto XVI è riuscito a parlarci di cose profonde con semplicità. Per esempio, ci ha parlato delle tre virtù cardinali: fede, speranza, amore. Ci ha detto di tenere presenti queste tre virtù, perché ci renderanno persone migliori. Ed effettivamente è così. E questo possono capirlo tutti».
Alice, che viene dal Kenya, sintetizza così la figura di Benedetto XVI: «È stato un pastore gentile per me. Una figura che trasmette calma, mi fa pensare a Cristo. Semplice nei gesti e nelle parole ma profondo nella fede».
Fabrizio ha quarant'anni. È impiegato. Siede con la compagna all'ombra del colonnato in attesa che il Pontefice si affacci: «Devo dire che non sono un credente, ma questo Papa mi è piaciuto molto. Ha reso chiaro il concetto fondamentale che la Chiesa è una e che ci sono determinate regole. Avere fede non è come andare al supermercato, dove si prende quello che più ci fa comodo. Questo, e lo dico da laico, è un pensiero che si può adattare a qualsiasi altra esperienza di vita. È un modo per invitarci a non essere superficiali nelle cose che facciamo. Per esempio, quando Benedetto XVI dice che le differenze sessuali non possono essere considerate irrilevanti per la definizione del matrimonio, è un pensiero semplice ma chiaro, netto. E nonostante, ripeto, io non sia un credente, lo condivido».
«Io ricordo bene l'elezione del Papa -- dice la compagna di Fabrizio, che fa l'insegnante di yoga -- e lo apprezzo molto come studioso. L'Angelus di domenica scorsa è stato molto interessante. Mi è piaciuto il suo discorso sull'egoismo, perché mi ha fatto riflettere anche sui miei difetti personali. Poi, da non credente quale sono, mi ha colpito la sua scelta di lasciare il pontificato. Sembrerà strano, ma da quel momento mi sono messa ad approfondire i suoi scritti. Mi sono detta: questo è un Papa diverso! Forse questo gesto ha fatto risvegliare qualcosa anche in noi che non crediamo. Noi che di solito non siamo interessati alle cose di Chiesa. Proprio il giorno dopo l'annuncio della rinuncia, sono andata a comprare i suoi libri, quelli su Gesù. Il mio è stato un gesto istintivo. Ho perfino iniziato a leggere le sue encicliche in rete. E per questo lo devo ringraziare, perché se non fosse stato per il suo gesto, forse non mi sarei mai avvicinata alla fede, anche solo per tentare di capire. Per me è stata una sveglia. Personalmente mi sento molto più vicina alla Chiesa oggi, semplicemente perché solo oggi ho trovato un motivo che mi ha suscitato la voglia di interessarmi al pensiero di questo Pontefice. E ho trovato moltissime cose utili, non solo per comprendere meglio il periodo storico che stiamo vivendo, ma anche per guardarmi dentro con meno superficialità. Il Papa dice che nulla di finito può realmente colmare il nostro cuore: questa è una verità profonda! Potrei dire che leggendo Benedetto XVI ho scrostato quella patina di materialismo un po' ideologico che in un modo o nell'altro condiziona un po' tutti. Posso certamente dire, da non credente, che questo Papa ha fatto scoccare in me la scintilla per un risveglio spirituale».
(©L'Osservatore Romano 25-26 febbraio 2013)
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