sabato 1 dicembre 2012

Avvento 2012. Con gioiosa pazienza. Un tempo di attesa e di speranza nell'Anno della fede (Sir)


AVVENTO 2012

Con gioiosa pazienza

Un tempo di attesa e di speranza nell'Anno della fede

Domani inizia il nuovo anno liturgico con il tempo d’Avvento. Tempo dell’attesa e della speranza, l’Avvento indica, da una parte, l’anniversario della prima venuta del Signore; dall’altra, designa la seconda venuta alla fine dei tempi. L’Avvento 2012 sarà caratterizzato, in modo particolare, dall’Anno della fede indetto da Benedetto XVI. Vincenzo Corrado, per il Sir, ha chiesto una riflessione a don Franco Magnani, direttore dell’Ufficio liturgico nazionale della Cei.

Cosa dice il tempo d’Avvento agli uomini e alle donne di oggi? 

“Mi pare importante intendere la domanda in senso non generico. L’Avvento cristiano non è un qualcosa orientato genericamente all’umanità: è l’Avvento del 2012, che si rivolge agli uomini e alle donne del 2012. Nel nostro tempo di crisi e di tensione, nell’Avvento (= venuta) del Signore ci è restituita una speranza, e ci viene annunciato che anche questo anno è tempo di grazia”. 

L’Avvento è il tempo dell’attesa e della speranza. Ma che cosa attendiamo ancora? In che cosa speriamo? 

“Noi crediamo che con la morte e risurrezione di Cristo si è già aperta una nuova era; gli ‘ultimi tempi’ sono già arrivati, e ci riguardano. È significativo che la liturgia dell’Avvento si apra con un riferimento alla venuta del Signore glorioso alla fine dei tempi. Ciò che attendiamo è di partecipare pienamente alla forza della risurrezione di Cristo; ciò che speriamo - e che nella liturgia invochiamo come dono - è di poter essere costanti fino in fondo, senza perdere la fede. Molto significativamente, Benedetto XVI ha indetto l’Anno della fede, perché il pericolo di molti credenti è di perdere la fiducia nella forza propria del Regno di Dio. L’Avvento attesta il primato dell’agire di Dio, un primato che - come è emerso nell’ultimo Sinodo dei vescovi - deve sempre connotare ogni forma di nuova evangelizzazione”. 

Con quale atteggiamento attendere? 

“Mi pare sia importante l’atteggiamento della pazienza, anche se risulta estremamente inattuale, ma forse, proprio per questo, ne sentiamo estremo bisogno. Da un lato, viviamo in un mondo che chiede risultati immediati. Dall’altro, ci rendiamo conto che l’impazienza non dà vera soddisfazione, non dà vera gioia. La tensione verso il risultato, che peraltro viene immediatamente bruciato, non permette di gustare il sapore pieno dell’esistenza, in tutti i suoi momenti. Direi, dunque, che il giusto atteggiamento è quello di una pazienza gioiosa, una pazienza che permette di vivere, momento per momento, tesi alla meta, ma riconoscenti per ogni passo”. 

Perché questo tempo è considerato “forte”? Cosa s’intende con questo aggettivo? 

“Potremmo dire che il tempo ‘forte’ dell’Avvento è un tempo che restituisce forza, che ridà pienezza alla vita. Il brano guida del Sussidio on-line per l’Avvento-Natale, curato dagli Uffici della segreteria generale della Cei, assume la beatitudine che Elisabetta rivolge a Maria: ‘Beata colei che ha creduto’. Benedetto XVI la ricorda a conclusione della lettera ‘Porta fidei’, con cui indice l’Anno della fede. La forza che deriva dall’Avvento, e che viene ripresa e coltivata nel tempo di Natale, ha molto a che fare con questa gioia, che Maria ed Elisabetta cominciano a sperimentare mesi prima del parto. Anche noi siamo chiamati a custodire il Regno che abita nelle nostre vite, con la stessa gioiosa speranza di una madre che custodisce il figlio nel suo grembo; solo così avremo la grazia di sperimentare che la gioia della nascita si riverbera anche sul tempo dell’attesa, e dà la forza di sopportare ogni sacrificio”.

Come custodire la dimensione propria del tempo d’Avvento con le preoccupazioni per la crisi economica e le distrazioni per le lusinghe pubblicitarie? 

“La preoccupazione per la crisi economica è ingigantita dalla perdita delle dimensioni più autentiche del tempo custodite dalla liturgia. Il mondo occidentale si è come abituato a vivere in un eterno presente, senza una vera storia, senza fare i conti con cambiamenti e trasformazioni che non fossero quelli, esaltanti e rassicuranti, del progresso tecnologico. Ma il tempo che passa non è accompagnato solo dai nuovi giocattoli della tecnologia: è anche invecchiamento, personale e sociale; è anche possibilità di degrado delle relazioni, se lasciate incustodite; è anche possibilità di corruzione della politica, se viene a mancare il senso di responsabilità nei governanti e negli elettori. Ora, a tutto il mondo occidentale la storia sta - per così dire - mostrando un conto salato, ma forse proprio questa crisi è l’occasione per ritrovare una crescita più umana, per convertirsi da strade sbagliate, per ritrovare la dimensione della solidarietà. Questo è il miglior antidoto alle seduzioni pubblicitarie: chi vive la sua storia, con profondità e verità, ha meno tempo e meno desiderio di evadere nelle illusioni”. 

Come vivere l’Avvento anche nella prospettiva e nel contesto dell’Anno della fede? 

“In parte si è detto: vivere l’Avvento è in un certo senso equivalente a vivere l’Anno della fede. Chi non riscopre la sua fede, non è capace di attendere, non può avere speranza. Forse però conviene ritornare a sottolineare la dimensione della gioia. Esiste una gioia profonda, che accompagna tutte le età della vita, che abbraccia tutte le esperienze, compreso il dolore, la sofferenza, la morte. È la gioia che coinvolge anche l’attesa: ma solo chi crede può sperimentarla”. 

La forma più alta di comunicazione dell’Avvento e del Natale è il silenzio. Ci può essere la necessità di un’educazione al silenzio come via per raggiungere il mistero del Natale? 

“Mi pare evidente che il problema dell’uomo nel mondo occidentale è un problema di sensibilità. Non solo siamo, per così dire, accecati da un eccesso di luci: assordati da un eccesso di musiche di sottofondo, comunichiamo a distanza, ma non c’incontriamo più, rischiando di essere storditi dall’eccedenza d’informazioni che si ricevono. Condivido la necessità di un’educazione al silenzio, ma quel silenzio che permette di far risorgere l’ascolto, l’attenzione, la pazienza di percepire il Signore che viene, il mondo, la vita, se stessi. Anche nelle nostre celebrazioni liturgiche, talora esposte a un eccessivo verbalismo e attivismo, dobbiamo recuperare il valore del silenzio in tutte le sue dimensioni. Le liturgie presiedute dal Papa ci attestano che è possibile vivere momenti di silenzio intenso e fecondo anche in grandi assemblee”. 

Qual è il suo augurio per questo tempo? 

“Beati voi che avete creduto. Beato chi si rimette in cammino sulla via della fede. Beato chi trova nell’attendere il Signore la sua gioia”.

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