martedì 9 aprile 2013

Benedetto XVI: il Salmo 22 presenta la figura di un innocente perseguitato e circondato da avversari che ne vogliono la morte...impariamo a discernere la vera realtà al di là delle apparenze, riconoscendo il cammino dell’esaltazione proprio nell’umiliazione, e il pieno manifestarsi della vita nella morte, nella croce

Su segnalazione di Laura leggiamo il testo di questa splendida catechesi tenuta da Benedetto XVI il 14 settembre 2011 nell'ambito del ciclo dedicato alla preghiera nell'Antico Testamento.
R.

Salmo 22

Cari fratelli e sorelle,

nella catechesi di oggi vorrei affrontare un Salmo dalle forti implicazioni cristologiche, che continuamente affiora nei racconti della passione di Gesù, con la sua duplice dimensione di umiliazione e di gloria, di morte e di vita. 

È il Salmo 22, secondo la tradizione ebraica, 21 secondo la tradizione greco-latina, una preghiera accorata e toccante, di una densità umana e una ricchezza teologica che ne fanno uno tra i Salmi più pregati e studiati di tutto il Salterio. Si tratta di una lunga composizione poetica, e noi ci soffermeremo in particolare sulla sua prima parte, incentrata sul lamento, per approfondire alcune dimensioni significative della preghiera di supplica a Dio.

Questo Salmo presenta la figura di un innocente perseguitato e circondato da avversari che ne vogliono la morte; ed egli ricorre a Dio in un lamento doloroso che, nella certezza della fede, si apre misteriosamente alla lode. Nella sua preghiera, la realtà angosciante del presente e la memoria consolante del passato si alternano, in una sofferta presa di coscienza della propria situazione disperata che però non vuole rinunciare alla speranza. Il suo grido iniziale è un appello rivolto a un Dio che appare lontano, che non risponde e sembra averlo abbandonato:

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido.

Mio Dio, grido di giorno e non rispondi;

di notte, e non c’è tregua per me»
(vv. 2-3).

Dio tace, e questo silenzio lacera l’animo dell’orante, che incessantemente chiama, ma senza trovare risposta. I giorni e le notti si succedono, in una ricerca instancabile di una parola, di un aiuto che non viene; Dio sembra così distante, così dimentico, così assente. La preghiera chiede ascolto e risposta, sollecita un contatto, cerca una relazione che possa donare conforto e salvezza. Ma se Dio non risponde, il grido di aiuto si perde nel vuoto e la solitudine diventa insostenibile. Eppure, l’orante del nostro Salmo per ben tre volte, nel suo grido, chiama il Signore "mio" Dio, in un estremo atto di fiducia e di fede. Nonostante ogni apparenza, il Salmista non può credere che il legame con il Signore si sia interrotto totalmente; e mentre chiede il perché di un presunto abbandono incomprensibile, afferma che il "suo" Dio non lo può abbandonare.
Come è noto, il grido iniziale del Salmo, «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», è riportato dai Vangeli di Matteo e di Marco come il grido lanciato da Gesù morente sulla croce (cfr Mt 27,46; Mc 15,34). Esso esprime tutta la desolazione del Messia, Figlio di Dio, che sta affrontando il dramma della morte, una realtà totalmente contrapposta al Signore della vita. Abbandonato da quasi tutti i suoi, tradito e rinnegato da discepoli, attorniato da chi lo insulta, Gesù è sotto il peso schiacciante di una missione che deve passare per l’umiliazione e l’annichilimento. Perciò grida al Padre, e la sua sofferenza assume le parole dolenti del Salmo. Ma il suo non è un grido disperato, come non lo era quello del Salmista, che nella sua supplica percorre un cammino tormentato sfociando però infine in una prospettiva di lode, nella fiducia della vittoria divina. E poiché nell’uso ebraico citare l’inizio di un Salmo implicava un riferimento all’intero poema, la preghiera straziante di Gesù, pur mantenendo la sua carica di indicibile sofferenza, si apre alla certezza della gloria. «Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?», dirà il Risorto ai discepoli di Emmaus (Lc 24,26). Nella sua passione, in obbedienza al Padre, il Signore Gesù attraversa l’abbandono e la morte per giungere alla vita e donarla a tutti i credenti.

A questo grido iniziale di supplica, nel nostro Salmo 22, fa seguito, in doloroso contrasto, il ricordo del passato:

«In te confidarono i nostri padri,

confidarono e tu li liberasti;

a te gridarono e furono salvati,

in te confidarono e non rimasero delusi» (vv. 5-6)
.

Quel Dio che oggi al Salmista appare così lontano, è però il Signore misericordioso che Israele ha sempre sperimentato nella sua storia. Il popolo a cui l’orante appartiene è stato oggetto dell’amore di Dio e può testimoniarne la sua fedeltà. A cominciare dai Patriarchi, e poi in Egitto e nel lungo peregrinare nel deserto, nella permanenza nella terra promessa a contatto con popolazioni aggressive e nemiche, fino al buio dell’esilio, tutta la storia biblica è stata una storia di grida di aiuto da parte del popolo e di risposte salvifiche da parte di Dio. E il Salmista fa riferimento all’incrollabile fede dei suoi padri, che "confidarono" - per tre volte questa parola viene ripetuta - senza mai rimanere delusi. Ora tuttavia, sembra che questa catena di invocazioni fiduciose e risposte divine si sia interrotta; la situazione del Salmista sembra smentire tutta la storia della salvezza, rendendo ancor più dolorosa la realtà presente.

Ma Dio non può smentirsi, ed ecco allora che la preghiera torna a descrivere la situazione penosa dell’orante, per indurre il Signore ad avere pietà e intervenire, come aveva sempre fatto in passato. Il Salmista si definisce «verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente» (v. 7), viene schernito, dileggiato (cfr v. 8) e ferito proprio nella fede: «Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama» (v. 9), dicono. Sotto i colpi beffardi dell’ironia e dello spregio, sembra quasi che il perseguitato perda i propri connotati umani, come il Servo sofferente tratteggiato nel Libro di Isaia (cfr Is 52,14; 53,2b-3). E come il giusto oppresso del Libro della Sapienza (cfr 2,12-20), come Gesù sul Calvario (cfr Mt 27,39-43), il Salmista vede messo in questione il suo rapporto con il suo Signore, nella sottolineatura crudele e sarcastica di ciò che lo sta facendo soffrire: il silenzio di Dio, la sua apparente assenza.

Eppure Dio è stato presente nell’esistenza dell’orante con una vicinanza e una tenerezza incontestabili. Il Salmista lo ricorda al Signore: «Sei proprio tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai affidato al seno di mia madre. Al mio nascere, a te fui consegnato» (vv. 10-11a). Il Signore è il Dio della vita, che fa nascere e accoglie il neonato e se ne prende cura con affetto di padre. E se prima si era fatta memoria della fedeltà di Dio nella storia del popolo, ora l’orante rievoca la propria storia personale di rapporto con il Signore, risalendo al momento particolarmente significativo dell’inizio della sua vita. E lì, nonostante la desolazione del presente, il Salmista riconosce una vicinanza e un amore divini così radicali da poter ora esclamare, in una confessione piena di fede e generatrice di speranza: «dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio» (v. 11b).

Il lamento diventa ora supplica accorata: «Non stare lontano da me, perché l’angoscia è vicina e non c’è chi mi aiuti» (v. 12). L’unica vicinanza che il Salmista percepisce e che lo spaventa è quella dei nemici. E’ dunque necessario che Dio si faccia vicino e soccorra, perché i nemici circondano l’orante, lo accerchiano, e sono come tori poderosi, come leoni che spalancano le fauci per ruggire e sbranare (cfr vv. 13-14). L’angoscia altera la percezione del pericolo, ingrandendolo. Gli avversari appaiono invincibili, sono diventati animali feroci e pericolosissimi, mentre il Salmista è come un piccolo verme, impotente, senza difesa alcuna. Ma queste immagini usate nel Salmo servono anche a dire che quando l’uomo diventa brutale e aggredisce il fratello, qualcosa di animalesco prende il sopravvento in lui, sembra perdere ogni sembianza umana; la violenza ha sempre in sé qualcosa di bestiale e solo l’intervento salvifico di Dio può restituire l’uomo alla sua umanità. Ora, per il Salmista, oggetto di tanta feroce aggressione, sembra non esserci più scampo, e la morte inizia ad impossessarsi di lui: «Io sono come acqua versata, sono slogate tutte le mie ossa […] arido come un coccio è il mio vigore, la mia lingua si è incollata al palato […] si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte» (vv. 15.16.19). Con immagini drammatiche, che ritroviamo nei racconti della passione di Cristo, si descrive il disfacimento del corpo del condannato, l’arsura insopportabile che tormenta il morente e che trova eco nella richiesta di Gesù «Ho sete» (cfr Gv 19,28), per giungere al gesto definitivo degli aguzzini che, come i soldati sotto la croce, si spartiscono le vesti della vittima, considerata già morta (cfr Mt 27,35; Mc 15,24; Lc 23,34; Gv 19,23-24).

Ecco allora, impellente, di nuovo la richiesta di soccorso: «Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto […] Salvami» (vv. 20.22a). È questo un grido che dischiude i cieli, perché proclama una fede, una certezza che va al di là di ogni dubbio, di ogni buio e di ogni desolazione. E il lamento si trasforma, lascia il posto alla lode nell’accoglienza della salvezza: «Tu mi hai risposto. Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea» (vv. 22c-23). Così, il Salmo si apre al rendimento di grazie, al grande inno finale che coinvolge tutto il popolo, i fedeli del Signore, l’assemblea liturgica, le generazioni future (cfr vv. 24-32). Il Signore è accorso in aiuto, ha salvato il povero e gli ha mostrato il suo volto di misericordia. Morte e vita si sono incrociate in un mistero inseparabile, e la vita ha trionfato, il Dio della salvezza si è mostrato Signore incontrastato, che tutti i confini della terra celebreranno e davanti al quale tutte le famiglie dei popoli si prostreranno. È la vittoria della fede, che può trasformare la morte in dono della vita, l’abisso del dolore in fonte di speranza.

Fratelli e sorelle carissimi, questo Salmo ci ha portati sul Golgota, ai piedi della croce di Gesù, per rivivere la sua passione e condividere la gioia feconda della risurrezione. Lasciamoci dunque invadere dalla luce del mistero pasquale anche nell'apparente assenza di Dio, anche nel silenzio di Dio, e, come i discepoli di Emmaus, impariamo a discernere la vera realtà al di là delle apparenze, riconoscendo il cammino dell’esaltazione proprio nell’umiliazione, e il pieno manifestarsi della vita nella morte, nella croce. 

Così, riponendo tutta la nostra fiducia e la nostra speranza in Dio Padre, in ogni angoscia Lo potremo pregare anche noi con fede, e il nostro grido di aiuto si trasformerà in canto di lode. Grazie.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana 

14 commenti:

laura ha detto...

Ho pensato a Papa Benedetto e alla Sua vita nel rileggere questa catechesi. C'è sempre tanta fede. Spero che ce la doni ancora, in silenzio.........

Anonimo ha detto...

il blog aprilo cosi´fa piú "effetto"
come le frasi ad effetto di papa bargoglio, scusate ma anche questo in un´altro gnere piu´ terra terra e´ una meraviglia delle meraviglie


http://opportuneimportune.blogspot.de/2013/04/i-vestiti-nuovi-dellimperatore-bergoglio.html

Anonimo ha detto...

Cara Raffaella & Companny,

dopo questa meraviglia delle meraviglie mozzafiato, nn vi dovete
perdere quesi sito, tutt´altro genere
ma da impazzire per l´ironia per papa bergoglio

http://opportuneimportune.blogspot.de/i vestini nuovi dell´imperatore Bargoglio troppo forte.

http://opportuneimportune.blogspot.de/

una sbirciata al sito eé un dovere

Anonimo ha detto...

dopo questa meraviglia delle meraviglie faccio fatica a respirare.ancora tante grazie

Mignon ha detto...

Hi Raffaella!

Check this, please :

Apr 24, 2005 Cardinal Edward Egan was unequivocal in his response to what qualities the next pope should possess. (This story went to press the day the conclave began.) “The No. 1 characteristic,” said Cardinal Egan, “is that he be a man of deep holiness — that’s essential.”

http://www.ncregister.com/site/article/what_the_cardinal_electors_look_for_in_a_potential_pope_holiness

And they did find him. Did they realise that, then ? Do we, now, when he's so close and yet so far away ?...

No time to put all this in italian, sorry - no need to publish it.

Mignon

Anonimo ha detto...

'Il card.Egan nel 2005 è stato inequivocabile nella sua risposta su quali qualità il prossimo papa avrebbe dovuto avere(la storia è stata pubblicata prima che iniziasse il conclave)la caratteristica numero 1,disse il card,Egan"è che sia un uomo di profonda santità,questo è essenziale".E l'avevano trovato.Se ne resero conto allora?Possiamo noi,quando è ancora così vicino e ancora così lontano?'Questo per chi eventualmente non conoscesse l'inglese,per me la frase oiù bella della splendida catechesi di BXVI,è"E' questo un grido che dischiude i cieli,perchè proclama una fede,una certezza che va al di là di ogni dubbio,di ogni buio e di ogni desolazione".E' tutta qui la mia storia di riscoperta della fede,ascoltando queste parole,la nostalgia mi seppellisce,la pianto qui,sennò divento troppo tenero...GR2

laura ha detto...

Ho letto l'articolo dissacrante sul sito segnalato. Non amo papa francesco e sono devotissima di Papa Benedetto, ma non condivido una "satira" del genere. Non credo che si renda conto di quanto stia accadendo e voglio crederec che sai in buona fede (a differenza dei media e della santa sede al completo). E' questo il suo "stile" e non sa, né può fare altro. Se il mondo vuole questo, lo prenda pure. Preferisco restare in silenzio, per rispetto di Papa Benedetto.

Anonimo ha detto...

Cara Laura cosi´ e´ la vita e soprattutto i tempi attuali, ai tempi
c´era dell´ironia di Benedetto XVI che vestiva Prada o delle scarpe rosse ora c´e´ dell´ironia nei riguardi di Papa Bergoglio e ben venga.

Raffaella ha detto...

Benedetto XVI non ha mai indossato scarpe di Prada.
R.

Anonimo ha detto...

che dire, mi manca...

Max

Anonimo ha detto...

OT

http://marymagdalen.blogspot.co.uk/2013/04/pope-benedicts-health-concern.html

Continuo a pensare alla travisata velina del card. Romeo e alla notizia allora girata del tumore allo stomaco. Preghiamo per lui.

JP

Anonimo ha detto...

Le o melie e i discorsi di papa Benedetto sono dei monumenti di bellezza che toccano il cuore e ravvivano la fede

Anonimo ha detto...

Quando devo prendere una decisione nella mia vita o nella vita dei miei figli o quando si tratta di qualcosa di difficile con il mio lavoro, penso sempre a Papa Benedetto. Leggendo le sue bellisime catechesi, a volte sembra che parla direttamente a me, nella mia propria situazione. Penso che questo sia il suo genio!
Grazie un' altra volta per questo servizio.
Ho una domanda...se voglio stampare queste bellisime cose, esiste un modo di farlo?

Raffaella ha detto...

Certamente! Ti consiglio di copiare il testo su un programma di scrittura e poi stamparlo.
R.