Dove pende la bilancia
di Carlo Bellieni
Dati sugli effetti della fecondazione in vitro (Fiv) vengono sfornati di continuo e il dibattito scientifico sulle tecniche riproduttive è in dinamico svolgimento: stupisce invece tanto silenzio sui mass media, che non ritengono opportuno parlarne. Ad esempio, prendiamo l'editoriale dell'ultimo numero del «Journal of Reproduction and Infertility», scritto dal suo Editor in Chief: Come comportarsi con i limiti dei nuovi trattamenti per l'infertilità e le nuove tecnologie?. Nell'articolo dell'autorevole rivista si parla dei limiti di qualità di certe tecniche, della rapida crescita della «industria della Fiv», si lamenta il lievitare dei costi, delle pubblicità, così come si spiega bene uno dei limiti tecnici principali: il fatto che negli ultimi trent'anni il successo dei tentativi sia rimasto al cinquanta per cento. Insomma: una voce del dibattito sui limiti tecnici e “sociali” della Fiv, che non trova eco nel panorama mediatico che invece tende a descrivere solo rose e fiori delle tecniche fecondative. La rivista citata non è certo contraria all'uso della Fiv, e anche per questo è importante riportarne il dibattito.
Ma il problema è proprio qui: all'opinione pubblica arriva il dibattito sui dati della Fiv? Sembra proprio di no: forse per una sorta di parola d'ordine che vorrebbe spingere a dipingere il fenomeno solo in modo positivo.
Certo, c'è chi prova a parlarne, ma sono casi piuttosto isolati: un servizio della statunitense «abc news» del 19 ottobre, spiegava che molte donne vorrebbero congelare gli ovociti anche per «tenerli in cassaforte» e poter così rimandare la gravidanza, fecondandoli poi a tempo debito, dato che ormai una donna statunitense su cinque ha un figlio dopo i 35 anni e vuole «una sorta di assicurazione contro l'infertilità». Ma -- riporta il giornale -- l'associazione dei medici che trattano l'infertilità (Society for Reproductive Medicine) non appoggia la scelta, che non garantisce oltretutto un successo in termini di nascita del bambino. Infatti, più aumenta l'età della donna, maggiori sono gli insuccessi anche della Fiv, e -- è doveroso aggiungere -- anche le possibilità di morte dell'embrione. «Pubblicizzare questa tecnica per posporre le gravidanze può dare alle donne false speranze e incoraggiare a rimandare la gravidanza», spiega la Society of Reproductive Medicine in un articolo in uscita sulla rivista «Fertility and Sterility». Ma ci sono anche altri dati di cui non si parla. Uno studio australiano e inglese («Obstetrics and Gynecology», ottobre 2012) riferisce ad esempio che, nonostante una diminuzione negli ultimi anni, nei bambini «la prevalenza di anomalie alla nascita da Fiv resta maggiore che nella popolazione generale», cioè l'8,7 per cento contro il 5,4 per cento, in accordo con recenti analisi sistematiche pubblicate su altre riviste scientifiche.
Se ne parla talmente poco. Così come non si parla della possibilità, ben analizzata ormai in letteratura scientifica, che cambiando l'ambiente dove si sviluppa l'embrione (il laboratorio invece dell'utero materno), il Dna di quest'ultimo si possa esprimere in modo non prevedibile, come spiega B. A. Velker nella rivista «Methods in Molecular Biology».
Ma, a sentire la gente comune, questi dati -- che certo riguardano solo una piccola seppur non bassissima tranche dei nati -- non li conosce quasi nessuno. Che scelte consapevoli faranno le coppie se i dati recenti non sono alla portata di tutti e vengono lasciati alla buona volontà del medico che ovviamente, però, li può illustrare solo a chi in pratica ha già deciso?
Così come poco viene ricordato all'opinione pubblica il semplice dato biologico che gli embrioni che vengono congelati o che vengono “persi” durante i tentativi sono geneticamente esseri umani.
Assenza di dibattito circostanziato sulla Fiv, ma anche silenzio sulla prevenzione della sterilità, che a leggere tanti giornali sembra avere solo una risposta: la fecondazione in laboratorio, mentre si tratta di un problema in tanti casi prevenibile per altre vie, come riportato da numerose pubblicazioni e congressi scientifici, che puntano il dito contro il rimandare l'età riproduttiva, e contro l'inquinamento ambientale quali “colpevoli” della dilagante sterilità globale. Ma se mettiamo sul piatto di una bilancia quanto la società fa per divulgare la fecondazione in vitro e sull'altro quanto fa per far conoscere come prevenire la sterilità, la bilancia si inclinerebbe senza dubbio sul primo piatto. Troppo facile. E la sterilità è in crescita: è un'emergenza sociale, ambientale, psicologica e medica. Invece, se ne tratta in pubblico un solo aspetto, quello legato alle tecnologie mediche: non è un modo realista di risolvere un problema. Il dibattito scientifico anche in questo campo è in corso: perché non se ne parla?
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