Centro Aletti, «San Pietro e il gallo» |
Vidi una lacrima spuntare
di Pier Giordano Cabra
Quella notte non finiva mai. Non solo era più lunga del solito, ma più pesante, più tenebrosa. C'era qualche cosa di inquietante nell'aria che opprimeva dentro e fuori.
Persino il cielo era diverso. Le stelle sembravano spente, emettendo una luce malata e triste. La luna, prossima al plenilunio di primavera, non aveva indossato il suo ridente abito da sposa, ma se ne stava impallidita e sciupata. E persino la mia purissima e gioiosa Via Lattea si era trasformata in una disgustosa cloaca di rifiuti e detriti, che emanavano un odore nauseabondo, percepibile da noi animali.
Io avevo tentato di cantare per dare via libera al nuovo giorno, ma qualche cosa mi legava la gola e mi impediva di emettere i miei annunci canori. Seppi poi che era la più terribile delle notti: la notte del tradimento. Un discepolo aveva tradito con un bacio il suo amato maestro e amico. I capi avevano tradito il loro popolo. Il giusto veniva tradito dalla giustizia. Un altro discepolo aveva giurato di non conoscerlo.
Era la notte riassuntiva di tutti i tradimenti, tipici degli esseri umani, che si rallegrano con le promesse e si torturano con le infedeltà.
Poi finalmente qualche cosa mutò, la stella del mattino riprese, solitaria, a brillare ed io potei finalmente dare l'annuncio che la luce stava vincendo ancora una volta le tenebre. Cantai a squarciagola tre volte e, nella tristezza di tutto il creato, con mia sorpresa vidi una lacrima spuntare dalla stella del mattino, unica che riprendeva il suo consueto aspetto luminoso.
Seppi poi che ero diventato il gallo più famoso della storia, per via del mio triplice canto, predetto dal Maestro, maledetto e benedetto da Pietro, il più in vista dei discepoli.
E che le lacrime di quella stella erano le lacrime di Pietro.
Come quella stella che brillava nel buio, Pietro, piangendo sarebbe stato nel buio di questo mondo, una luce flebile ma rassicurante che colui che getta il suo affanno nel Signore, può attendere il giorno, dove si sperimenta che il «Signore è mia luce e mia salvezza».
Sono spiacente che la mia fama sia legata solo a quella notte terribile, perché quell'incubo fu spazzato via la notte del primo giorno dopo il sabato, quando al mio canto, la luce ricuperò il tempo perduto, il cielo riacquistò il suo splendore, le stelle danzarono di gioia, per festeggiare il Signore risorto.
Sono comunque fiero del mio compito, perché al mio canto si ritirano le tenebre, ritorna la luce, è possibile piangere ed essere perdonati. E risorgere con il Signore che risorge.
(©L'Osservatore Romano 28 marzo 2013)
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