Concistoro: domani il Papa crea sei nuovi cardinali. Intervista col patriarca Béchara Raï
Domani alle 11.00, alla vigilia della Solennità di Cristo Re, il Papa presiederà nella Basilica Vaticana il Concistoro per la creazione di 6 nuovi cardinali: i nuovi porporati provengono da tre continenti: America, Africa e Asia. Si tratta di mons. James Michael Harvey, prefetto della Casa Pontificia, che sarà nominato arciprete della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura; Sua Beatitudine Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti (Libano); Sua Beatitudine Baselios Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi (India); mons. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja (Nigeria); mons. Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotà (Colombia), e mons. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila (Filippine). “I cardinali – ha ricordato il Papa il 24 ottobre scorso - hanno il compito di aiutare il Successore di Pietro nello svolgimento del suo Ministero di confermare i fratelli nella fede e di essere principio e fondamento dell’unità e della comunione della Chiesa”. Si tratta del quinto Concistoro di Benedetto XVI. Tracey McLure ha chiesto al patriarca maronita Béchara Boutros Raï come stia attendendo questo importante momento:
R. – Con molta, molta gioia e anche con molta gratitudine al Santo Padre che ha voluto fare questo gesto per il Libano e per la Chiesa in Libano. Io cercherò, come ha auspicato il Santo Padre, di aiutare a far crescere la mia comunità ecclesiale nella comunione e nella testimonianza. La notizia è stata accolta da tutti – all’interno del Libano e fuori dal Paese – con grande entusiasmo, e tutti l’hanno letta come un sostegno alla Chiesa in questo momento molto critico del Libano e del Medio Oriente. E’ previsto che almeno 500 persone vengano dal Libano e altre da altri Paesi per esprimere la loro gioia e anche per esprimere la loro gratitudine al Santo Padre. Il pellegrinaggio sarà guidato dal presidente della Repubblica libanese, che verrà per ringraziare il Santo Padre. Io considero l’elevazione alla porpora una nuova spinta all’apostolato che possiamo dare alla Chiesa in Libano e alle Chiese tutte in Medio Oriente. E speriamo di potere andare avanti! Questo entusiasmo non è stato espresso soltanto dai cristiani, ma anche dai musulmani: ci saranno anche molti musulmani; tutte le comunità saranno presenti e tutte le fazioni politiche, per dire come il tessuto sociale libanese sia compatto. Purtroppo, la politica è tutta un’altra cosa. Il Libano subisce le crisi regionali con implicazioni internazionali, non senza problemi interni. Perciò, questo rappresenta anche un momento di gioia e di ripresa.
D. – Al suo ritorno in Libano, quali saranno le sfide maggiori che dovrà affrontare?
R. – Io ho scelto come motto del mio patriarcato “Comunione e amore”, perché la nostra società libanese e mediorientale ha bisogno di essere più unita. Comunione con Dio, unione con tutte le persone. Abbiamo sempre più bisogno di comunione e di amore perché viviamo molti conflitti, molte divisioni politiche. La vita sociale tra i libanesi musulmani e cristiani dei diversi gruppi e delle diverse fazioni politiche procede molto bene. Ma viene la politica e divide, crea conflitti, mancanza di fiducia e questo influisce molto sulla vita pubblica perché le istituzioni sono paralizzate. Abbiamo un grande problema economico e sociale dovuto alla crisi politica. Quindi la sfida essenziale è andare avanti, ri-creare, ri-costruire l’unità interna e poi sostenere i nostri fratelli cristiani del Medio Oriente e creare maggiori legami con i musulmani per alleggerire un po’ le tensioni causate dai radicali e dai fondamentalisti. Questi sono i maggiori problemi che vogliamo affrontare.
D. – In Libano si è parlato spesso della possibilità di creare un nuovo Stato che non contempli la religione, cioè uno Stato non confessionale. Potrebbe funzionare?
R. – No, è impossibile. Il Libano ha la caratteristica di avere separato la religione e lo Stato. L’unica cosa è che non sono i partiti ad essere rappresentati nel governo, quanto le rappresentanze delle confessioni religiose, secondo il loro numero: questo si chiama “il patto libanese”. Noi viviamo in un mondo musulmano che mai separa la religione dallo Stato: la religione per loro è tutto. E il Libano, in un ambiente come questo, profondamente religioso, teocratico, islamico, ha operato questa separazione. Quindi i musulmani libanesi hanno rinunciato alla loro tendenza teocratica e i cristiani hanno rinunciato alla laicità nel senso occidentale dell’accezione. Quindi, il Libano è un Paese che separa religione e Stato e la vita pubblica viene compartecipata da tutti secondo la rappresentanza confessionale. Questo non è male: il problema è che la politica regionale è una politica islamista e quindi influisce su di noi e così i libanesi si dividono.
D. – Vediamo, infatti, i grandi conflitti in Medio Oriente …
R. – Sì, adesso, per esempio, il grande conflitto in Medio Oriente è tra sunniti e sciiti: lei sente parlare di riforme, democrazia, guerre … No: il problema è un grande conflitto sunnita-sciita a livello regionale, con alleanze e ripercussioni internazionali. Questo è il conflitto che subisce il Libano. Adesso in Libano il conflitto è tra musulmani sunniti e sciiti: un conflitto politico.
D. – E il Libano resta un modello per gli altri Paesi mediorientali …
R. - Direi che vivendo in Medio Oriente, il Libano offre un esempio – come diceva Giovanni Paolo II – non solo per l’Oriente, ma anche per l’Occidente. Un esempio per l’Oriente dove tutto è organizzato secondo un sistema religioso: in questo Paese, il sistema non è religioso ma rispetta le religioni. E all’Occidente dice lo stesso: può esistere uno Stato laico, che separi la religione dallo Stato ma che non per questo ignori Dio. Il famoso articolo 9 della Costituzione libanese, che è unico sia in Oriente sia in Occidente, dice: “Il Libano, rendendo omaggio a Dio, rispetta tutte le religioni, riconosce la libertà di culto e di coscienza e tutte le libertà pubbliche, e garantisce lo Statuto personale delle diverse comunità”. Questo significa che lo Stato libanese, pur essendo laico e pur separando la religione dallo Stato, non interferisce mai – a livello legislativo – su questioni di religione o di matrimonio o affetti: queste le lascia alle norme confessionali. Di per sé questo faciliterebbe ottimamente la vita sociale, a formare un bel mosaico, finché la politica viene a toccare il tasto confessionale. Però, noi ci teniamo a rimanere in questo sistema, anche se è difficile perché oggi tutto il Medio Oriente si orienta verso il radicalismo islamico: in Egitto, in Siria, ora, sta accadendo lo stesso … Oggi parlano della Legge islamica, vogliono islamizzare tutto: perché non possiamo vivere insieme, rispettandoci gli uni gli altri?
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