Il Papa e Napolitano. Lo storico Giovagnoli: il loro un "incontro profondo"
"Molto mi ha arricchito il dialogo che abbiamo potuto intrattenere: sull’Italia, sull’Europa, sulla pace e sulle radici ideali e morali dell’impegno politico”. E’ uno dei passaggi del saluto che ieri sera il presidente Napolitano ha rivolto a Benedetto XVI. Ma, a volte, i gesti sono ancora più espressivi delle parole: come nel caso di quello compiuto dal Papa, e che tanti oggi commentano sui quotidiani, di posare la mano sulla spalla di Napolitano. Sentiamo, a partire da questo, il commento del prof. Agostino Giovagnoli, storico all’Università Cattolica di Milano, al microfono di Adriana Masotti:
R. – Certamente, è un gesto che esprime affetto e, direi, anche amicizia del tutto particolare, e questo evidentemente è frutto di una storia, la storia delle loro relazioni in questi anni che è andata intensificandosi sempre più, comportando una sintonia che si trasforma in un gesto molto bello dal punto di vista umano a cui, peraltro, Benedetto XVI non è estraneo: anche in altre occasioni, infatti, ho potuto notare che il Papa ama esprimere il suo affetto anche con questi gesti così intensi.
D. – Veniamo alle parole che Benedetto XVI e Napolitano si sono scambiati. Il Papa ha detto: in questi sette anni “ci siamo incontrati più volte, abbiamo condiviso esperienze e riflessioni”. Napolitano ha evocato “in sette anni difficili”, il loro reciproco ascoltarsi…
R. – Certamente, c’è stato un incontro profondo. Io credo che Napolitano abbia trovato in Papa Benedetto XVI un sicuro riferimento su due questioni importanti: la prima, quella dell’unità del Paese, l’altro tema è la preoccupazione per il bene comune degli italiani. Il forte senso etico che esprime Benedetto XVI in tutte le sue prese di posizione certamente ha aiutato l’Italia a trovare la rotta in anni difficili in cui lo stesso presidente Napolitano è stato spesso isolato nel tenere alta, per così dire, la bandiera del Paese a fronte di una classe politica non sempre all’altezza della situazione.
D. – Napolitano ha confidato anche di essersi molto arricchito dal dialogo con Benedetto XVI. Un ex dirigente comunista, un teologo divenuto Papa: qualcuno potrebbe meravigliarsi di un’intesa tra due persone così diverse…
R. – Due storie molto diverse, certamente. Ma proprio questo credo spieghi l’intensità del loro incontro. Napolitano ex-comunista e in quanto ex-comunista in qualche modo privo di riferimenti tradizionali a cui richiamarsi, alla ricerca – invece – di altre autorevoli figure con cui confrontarsi. Certamente, Benedetto XVI è stato una di queste figure. Non è dunque strano che un laico come Napolitano abbia trovato in Benedetto XVI un confronto utile e anche, direi, un magistero che ha sostenuto lo sforzo del presidente della Repubblica negli ultimi anni.
D. – Il presidente Napolitano ha concluso il suo intervento assicurando anche in futuro attenzione ai messaggi del Papa, e ha sottolineato: attenzione “come italiani”. Pensavo alle accuse che a volte alcuni muovono all’Italia di essere quasi "ostaggio" del Vaticano: mi sembrava allora particolare questa affermazione di Napolitano…
R. – E’ un’accusa antica, viene in qualche modo da Machiavelli che la Santa Sede sia un impedimento per l’Italia. Le cose, in realtà, complessivamente non stanno così. Certo, l’Italia deve tener conto delle esigenze della presenza della Chiesa cattolica al suo interno – che peraltro non è detto siano negative per il Paese. Ma al di là di questo, c’è una solidità che la presenza della Santa Sede nel territorio italiano garantisce all’Italia. Questo è tanto più interessante perché viene garantita da un Papa straniero, anzi, da due Papi stranieri, nel senso di "non italiani", i quali però si sono rivelati attentissimi alla situazione italiana e generosi nel sostenere le esigenze italiane. Quindi, mi pare che la visione storica di lungo periodo sottolinei quell’"italianità" del Papato – come hanno notato varie volte gli storici – la quale non è interferenza ma, al contrario, sulle questioni italiane più cruciali è alla fine, ripeto, una risorsa di cui l’Italia, complessivamente, beneficia non poco.
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