venerdì 23 novembre 2012

La lingua di Cicerone, perfetta per Twitter. I primi passi del nuovo dicastero per il latino (Guidi)

I primi passi del nuovo dicastero per il latino

La lingua di Cicerone, perfetta per Twitter


di Silvia Guidi


Flumina pauca vides de magnis fontibus orta; il cardinale Ravasi ha citato Ovidio per fare gli auguri alla neonata Pontificia Academia (con l'accento sulla i, se si vuole rispettare la pronuncia corretta) Latinitatis durante la diciassettesima seduta pubblica delle Pontificie Accademie.

Grandi fiumi possono nascere da piccole fonti, scriveva il poeta latino dei Remedia Amoris e, a pochi giorni dalla nascita della nuova istituzione. già “fiumi” di richieste di adesione investono gli uffici del Pontificio Consiglio della Cultura, ha confermato il suo presidente. Il motu proprio del Papa Latina lingua è stato pubblicato solo lo scorso 11 novembre, ma già multae guttae implent flumen anche nel grande mare della Rete: Hodie una cum Ivano Dionigi novam aperiemus academiam pontificiam latinitatis a Benedicto conditam, hora XVII, via Conciliationis v, si legge nel tweet con cui Ravasi ha annunciato la nascita dell'ottavo dicastero.
In fondo la brevitas del latino, una lingua senza articoli, geneticamente e strutturalmente temporale, incentrata sulla forza dinamica del verbo, si accorda benissimo con la concisione imposta da Twitter, il più giovane dei social network, come la giovane età dei premiati durante la seduta «Pulchritudinis fidei testis» si è accordata perfettamente alla solennità dell'evento. Nell'occasione, infatti, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ha consegnato il Premio delle Pontificie Accademie agli artisti Anna Gulak e David Ribes López; la medaglia del Pontificato è andata a un venticinquenne, lo scultore italiano Jacopo Cardillo.
La giovinezza perenne dei classici è un tesoro prezioso per ogni epoca, ma dev'essere riscoperta, coltivata e protetta, ha ribadito il rettore dell'Alma Mater di Bologna, Ivano Dionigi, presidente della Pontificia Academia, durante il suo intervento di saluto nella lingua di Cesare, Tacito e Seneca. Molte cose possono essere fatte per raggiungere questo scopo, ad latinam linguam fovendam: il verbo foveo significa appunto tenere al caldo, proteggere, coltivare e custodire. Nessuna generazione deve sottrarsi a questo compito perché, solo il presente “esiste” davvero, come diceva sant'Agostino; «ciò che hai ereditato dai padri -- ammoniva Goethe, molti secoli dopo -- conquistalo per possederlo».
Una conquista difficile se non ci sono insegnanti “vocati” a educare, ha detto Pupi Avati, accademico dei Virtuosi al Pantheon invitato a partecipare alla seduta pubblica delle Pontificie Accademie, presentando Guardando oltre, gli «auguri del cinema italiano a Benedetto XVI», il video che ha regalato al Papa in occasione del sessantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. «Ascoltando il suono delle parole latine scandite stasera -- ha detto il regista italiano -- mi sono sentito precipitare in un tempo remoto, ai tempi del liceo San Domenico di Bologna. Con una certa inquietudine». Per chi non ha avuto la fortuna di incontrare maestri capaci di comunicare la passione per ciò che insegnano, ha continuato Avati, il latino ricorda solo l'attimo di terrore che precede l'interrogazione; «l'opera del maestro non deve consistere nel riempire un sacco, ma nell'accendere una fiamma» come ha scritto recentemente il cardinale Ravasi su «Avvenire».
«A 74 anni -- ha continuato il regista nel suo intervento di saluto -- posso dire di aver raggiunto la terza e forse la quarta età, e mi sono accorto che la vecchiaia è la stagione della vita che contiene tutte le altre. Noi siamo anche il bambino, l'adolescente, il giovane che eravamo. Col passare del tempo, l'ellisse della vita si allontana dall'età matura, l'età deleteria del razionalismo in cui eliminiamo la categoria del “per sempre”».
«Il soggetto del mio prossimo film -- ha aggiunto il regista -- l'ho scritto in tre notti. Per raccontare il dramma di un bambino lasciato a se stesso dai genitori, è bastato tornare con la memoria ai miei 11 anni e immedesimarmi con questo dolore».
«La fede -- ha concluso Avati -- è l'unica cosa che mi promette il “per sempre” delle cose che amo e che ho amato. Quello che desidero ritrovare alla fine della vita ha il volto di mio padre e mia madre che mi aspettano a casa, nella cucina di via San Vitale 51».

(©L'Osservatore Romano 23 novembre 2012)

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