lunedì 26 novembre 2012

Con Michelangelo entrò in scena il Cristo divino. Prima del «Giudizio», nella Cappella Sistina era presente solo il Gesù uomo (Verdon)

Prima del «Giudizio», nella Cappella Sistina era presente solo il Gesù uomo

Con Michelangelo entrò in scena il Cristo divino


di Timothy Verdon


I disegni che documentano i primi passi compiuti da Michelangelo nel pensare il Giudizio universale della Sistina già fanno della figura di Cristo il perno assoluto della vasta composizione, e così possiamo dire che il Cristo al centro dell'affresco ne è l'idea di partenza, la forza propulsiva, la chiave ermeneutica, il punto di fuoco ultimo.

Il Cristo di Michelangelo è una figura “imperiale”: nell'affresco della Sistina la destra alzata del Giudice è il gesto tipico della adlocutio antica, il gesto che nell'arte romana fu attribuito a un comandante che convocava le truppe e parlava loro. È infatti il gesto dell'imperatore nella statua equestre del ii secolo raffigurante Marco Aurelio, la statua che, su ordine di Paolo III nel 1538, mentre stava dipingendo il Giudizio, Michelangelo trasferì da San Giovanni in Laterano al Campidoglio, ideando per essa la splendida piazza realizzata nei decenni successivi.
All'epoca si riteneva che l'imperatore raffigurato fosse Costantino, presentato dal suo biografo Eusebio come un «giusto giudice» che, con l'Editto di Milano e i privilegi accordati ai cristiani, aveva dato ragione alla Chiesa lungamente perseguitata. Il gesto romano ha tuttavia un'equivalente figura biblica, sempre nel libro dei Salmi, dove l'autore immagina una adlocutio divina: «Parla il Signore, Dio degli dèi, /convoca la terra da oriente a occidente. / Da Sion, splendore di bellezza, Dio risplende. / Viene il nostro Dio e non sta in silenzio; / davanti a lui un fuoco divorante, / intorno a lui si scatena a tempesta. / Convoca il cielo dall'alto / E la terra per giudicare il suo popolo» (Salmi, 49 [50], 1-4).
In ogni caso il movimento dinamico e il gesto imperioso della figura dipinta da Buonarroti comunicano la «grande potenza e gloria» della parusìa, la seconda e definitiva venuta del Figlio di Dio (cfr. Matteo, 24, 30).
Prima del Giudizio universale mancava un Cristo di questo genere nella Sistina, dove le raffigurazioni del Salvatore negli affreschi quattrocenteschi lo rappresentano come uomo ma non come Dio; nell'umiltà del ministero terreno ma non nella gloria celeste. Mancava perciò nella Cappella del suo vicario un'immagine del Capo della Chiesa nella sua condizione divina, e di conseguenza il programma iconografico doveva sembrare incompleto. Perché il Cristo che guida la Chiesa è, sì, uomo, ma ormai riconoscibile soprattutto nella sua divinità. Non bastava la sola umanità, dal momento che, come afferma un padre della Chiesa, san Cirillo di Gerusalemme, «duplice è la generazione, una da Dio Padre prima del tempo, e l'altra, la nascita umana, da una vergine nella pienezza dei tempi».
«Perciò -- continua san Cirillo -- non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo nell'attesa della seconda. E poiché nella prima abbiamo acclamato: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (Matteo, 21, 9), la stessa lode proclameremo nella seconda. Così, andando incontro al Signore insieme agli angeli e adorandolo, canteremo: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”».
Ma se la seconda venuta del Salvatore è così intensamente desiderata dall'uomo, consegue che vi è un grande bene nascosto nel giudizio. Questo bene viene suggerito dallo stesso profeta Malachia che parla del «fuoco del fonditore», quando afferma che nel giorno che il Signore prepara i giusti diventeranno la sua «proprietà particolare» (Malachia, 3, 17). Di questi giusti Dio dice poi: «Avrò cura di loro come il padre ha cura del figlio che lo serve. Voi allora vedrete la differenza fra il giusto e il malvagio, fra chi serve Dio e chi non lo serve. Ecco infatti: sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà -- dice il Signore degli eserciti -- fino a non lasciar loro né radice né germoglio. Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia e voi uscirete saltellanti come vitelli dalla stalla» (Malachia, 3, 17b-20).
Così lo stesso “giorno” che per i peccatori sarà rovente come un forno, bruciandoli, vedrà sorgere sui giusti un sol justitiae i cui raggi avranno effetti benefici, il cui calore risanerà. Proprio questa figura, del “sole di giustizia” a doppio effetto, sembra aver determinato il modo in cui Michelangelo dipinse il Cristo, avvolto in un disco di luce il cui bagliore accoglie anche la Madonna accovacciata sotto il braccio destro innalzato del Figlio. Cristo infatti è luce, ma l'illuminazione che Egli è viene accettata da alcuni, da altri rifiutata. Anche Cristo Giudice, quando promette: «Ecco, io vengo presto e ho con me il mio salario per rendere a ciascuno secondo le sue opere» (Apocalisse, 22, 12), distingue tra giusti e ingiusti, dicendo: «Beati coloro che lavano le loro vesti per avere diritto all'albero della vita e, attraverso le porte, entrare nella città. Fuori i cani, i maghi, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna!» (Apocalisse, 22, 14-15).
Per quanti avranno avuto invece sete della verità, e avranno “lavato le loro vesti” nel sangue dell'Agnello, accettando il perdono dei peccati, ci saranno grandi beni: ecco il frutto positivo del Giudizio, così allettante che «lo Spirito e la sposa dicono» al Giudice: «Vieni!» ed egli risponde dicendo: «Sì, vengo presto!» (Apocalisse, 22, 17a. 20b). Nei giusti vi è cioè un desio sponsale della sua venuta, una santa bramosia, che Michelangelo esprime negli sguardi dei santi nella parte alta dell'affresco, rivolti con intensità al Cristo come sono protesi verso di lui i loro magnifici corpi.
Il loro anelito a Cristo riassume l'anelito al bene di ogni uomo e di tutta la storia. Sant'Agostino, premettendo che «Dio stabilì un tempo per le sue promesse e un tempo per il compimento di esse», aiuta a cogliere l'urgenza dell'umana attesa di Dio e del bisogno esistenziale che l'uomo ha di vedere compiute le divine promesse: «Dio promise la salvezza eterna e la vita beata senza fine con gli angeli e l'eredità incorruttibile, la gloria eterna, la dolcezza del suo volto, la dimora santa nei cieli, e, dopo la risurrezione, la fine della paura della morte. Queste le promesse finali verso cui è volta tutta la nostra tensione spirituale: quando le avremo conseguite, niente più cercheremo» (Commento su Salmo 109, ccl 40, 1601-1603).
«Queste le promesse finali verso cui è volta tutta la nostra tensione spirituale»: ecco una chiave di lettura preziosa al Giudizio di Michelangelo, un'opera in cui l'evidente tensione fisica serve da metafora per la tensione spirituale che l'attesa della venuta di Dio crea. Le energie di tutti sono volte a Cristo, perché in lui viene finalmente colmata questa attesa. Continua infatti Agostino: «perché gli uomini credessero, oltre al patto scritto, Dio volle anche un mediatore della sua fedeltà. E volle che fosse non un principe qualunque o un qualunque angelo o arcangelo, ma il suo unico Figlio, per mostrare per mezzo di lui per quale strada ci avrebbe condotti a quel fine che aveva promesso».
Il Bene del Giudizio va addirittura oltre il religioso calcolo basato su promesse e conseguenti speranze, coinvolgendo il senso stesso dell'esistenza umana. Un altro padre della Chiesa, san Pietro Crisologo, dopo aver ripercorso le tappe della storia della salvezza, segnalando i doni di Dio all'uomo, afferma: «Per i fatti ricordati, la fiamma della divina carità accese i cuori umani e tutta l'ebbrezza dell'amore di Dio si effuse nei sensi dell'uomo. Feriti nell'anima, gli uomini cominciarono a voler vedere Dio con gli occhi del corpo».
Ecco, nel Giudizio futuro verrà appagato il primordiale desiderio della creatura di “vedere” il Creatore, di conoscerlo, di entrare definitivamente in rapporto con Lui, di amarlo oltre la paura di perderlo. La Bibbia situa tale appagamento in un atto soprattutto: la rivelazione alla creatura del “volto” divino, vedere il quale è l'obiettivo più fondamentale del nostro essere, come suggerisce il teologo medievale sant'Anselmo. Anselmo si lamenta perché, come dice, «Signore Dio mio, mai io ti vidi, non conosco il tuo volto». E chiede: «Che cosa farà, o altissimo Signore, questo esule, che è così distante da te, ma che a te appartiene? Che cosa farà il tuo servo tormentato dall'amore e gettato lontano dal tuo volto? Anela a vederti e il tuo volto gli è troppo discosto. Desidera avvicinarti e la tua abitazione è inaccessibile. Brama trovarti e non conosce la tua dimora. S'impegna a cercarti e non conosce il tuo volto».
Spiega infine la causa dell'angoscia che prova non vedendo il volto divino: «Signore, tu sei il mio Dio, tu sei il mio Signore e io non ti ho mai visto. Tu mi hai creato e ricreato, mi hai donato tutti i miei beni, e io ancora non ti conosco. Io sono stato creato per vederti e ancora non ho fatto ciò per cui sono stato creato» (Proslògion, 1).
L'uomo allora è stato creato per vedere il Dio invisibile. Ma Dio si fa vedere solo in Cristo, come afferma lo stesso Salvatore dicendo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Giovanni, 14, 9b). È infatti la volontà del Padre che «chiunque vede il Figlio e crede in lui» abbia la vita eterna, e venga risuscitato nell'ultimo giorno (cfr. Giovanni, 6, 40). Il Giudizio è quindi il momento in cui verrà finalmente rivelato il senso della vita umana, quando tutti vedranno Cristo, anche quelli che l'hanno trafitto (cfr. Giovanni, 19, 37). «Vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria» (Matteo, 24, 30: cfr. Deuteronomio, 7, 13-14), e allora quelli che sono in Cristo “riceveranno la vita” (1 Corinzi, 15, 22b).
Ecco dunque il significato della figura michelangiolesca del Salvatore e della straordinaria bellezza del suo volto: in Lui i santi godono del bene supremo, la visione di Dio che è vita eterna. E in Lui, visto come veramente è, è reso manifesto il senso della storia del mondo e di ogni cosa creata: verrà svelato cioè «il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi» (Colossesi, 1, 26). In Lui viene rivelato anche il significato delle cose materiali, perché «tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in Lui sussistono» (Colossesi, 1, 16c-17).

(©L'Osservatore Romano 24 novembre 2012)

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