Presentato il primo catalogo generale del Museo Etnologico Vaticano
Tutto un mondo da scoprire accanto a Michelangelo e a Raffaello
di Nicola Mapelli
«In Vaticano si trova un tesoro sconosciuto ai più: è l'immenso patrimonio custodito nel Museo Etnologico dei Musei Vaticani. Dai dipinti su corteccia e pietra degli aborigeni australiani a quelli su seta degli artisti cinesi e giapponesi; dalle statue in legno della Polinesia a quelle in pietra delle civiltà precolombiane; dai lavori in piume della Papua Nuova Guinea a quelli in maiolica del Medio Oriente: non c'è continente, non c'è epoca storica che non sia degnamente rappresentata nel Museo Etnologico». Così il cardinale Giovanni Lajolo, presidente emerito del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, introduce il primo catalogo generale del Museo Etnologico dei Musei Vaticani.
Fu Papa Paolo VI a volere questa collocazione per il museo. Prima di allora era stato ospitato nel Palazzo Apostolico Lateranense, dove aveva ereditato le decine di migliaia di opere d'arte che nel 1925, da tutto il mondo, vennero inviate in Vaticano per una grande esposizione voluta da Pio XI. La nascita del Museo Etnologico, però, risale ancora nel tempo: nel 1692 cinque preziosi manufatti precolombiani, appartenenti agli indigeni del gruppo Tairona dell'odierna Colombia, furono donati a Papa Innocenzo XII. Negli anni successivi la collezione si accrebbe grazie ai molti doni che da ogni angolo del pianeta venivano inviati ai Pontefici, e alla passione del cardinale Stefano Borgia (1731-1804), che collezionò manufatti e opere d'arte. Oggi la raccolta annovera oltre ottantamila opere d'arte. Ognuno di questi oggetti è un ambasciatore culturale, che rappresenta e dà voce ai popoli di tutto il mondo, favorendo, tramite l'arte, l'incontro fra popoli e religioni.
Il catalogo -- arricchito da un sostanzioso corredo fotografico -- è suddiviso in due parti. Dopo una breve presentazione della storia del Museo, la prima parte è dedicata alle collezioni indigene del Museo, ossia a quelle opere che una volta ricadevano sotto la dicitura di “arte tribale”. In queste pagine Katherine Aigner illustra l'arte e la cultura materiale custodita nel Museo e proveniente dall'Australia, dall'Oceania, dall'Africa e dalle Americhe. A completamento: una sezione dedicata all'arte precolombiana, ai reperti preistorici e all'arte dell'Asia tribale. Il resto del continente asiatico è trattato invece nella seconda parte del volume, dove Nadia Fiussello si dedica all'arte orientale: Cina, Giappone e India prevalgono, ma un'importante sezione è dedicata anche all'arte islamica. In tutto il testo vi sono specifici approfondimenti sull'arte che nasce dall'incontro fra cristianesimo e culture locali.
«Ritengo un qualcosa di assolutamente straordinario -- scrive il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci, nella Presentazione -- e degno di nota il fatto che nello stesso museo che ospita i capolavori di Michelangelo e Raffaello si trovino anche opere d'arte e manufatti provenienti da tutto il mondo e da tutte le epoche storiche. (...) ogni singola espressione artistica dell'orizzonte culturale umano è qui pienamente valorizzata. Le cifre confermano quanto detto. Secondo una stima approssimativa, delle circa 150.000 opere presenti nei Musei Vaticani oltre la metà sono custodite nel Museo Etnologico: ci troviamo sicuramente di fronte a uno dei patrimoni artistici e culturali più complessi da gestire, sia per le sue vicissitudini storiche, sia per le sue dimensioni, sia per la grande varietà di manufatti e opere d'arte in esso contenuta». Per la prima volta, continua Paolucci, grazie al catalogo generale di queste opere «possiamo mostrare a tutti che la bellezza dei Musei del Papa non si riduce alla Cappella Sistina e al Laocoonte ma abbraccia le culture di tutto il mondo e di tutte le epoche storiche».
La pubblicazione del catalogo si accompagna al progetto di rinnovamento del Museo Etnologico. Dal 25 novembre, infatti, sarà aperta al pubblico una mostra dedicata ai tesori del Museo Etnologico: una sezione sarà dedicata ai misteri dell'Isola di Pasqua, un'altra agli Yahgan, un gruppo etnico della Terra del Fuoco, e una terza alle opere dell'artista tedesco Ferdinand Pettrich, che nella metà dell'Ottocento ritrasse in sculture i nativi americani. Si potranno infine vedere i lavori preparatori per la mostra permanente sull'Australia, curata da Katherine Aigner.
Di particolare interesse sarà la visione del nuovo allestimento dei bassorilievi di Borobudur, inaugurato il 21 novembre alla presenza delle autorità indonesiane e del cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato e grande forza ispiratrice del rinnovamento del Museo Etnologico. Il nuovo allestimento è infatti il primo visibile risultato di una pluriennale collaborazione tra i Musei Vaticani e il Governo della Repubblica di Indonesia, che ha finanziato i lavori. Risalente all'VIII secolo dell'era cristiana e situato nell'isola indonesiana di Giava, Borobudur è il più grande tempio buddhista al mondo. Grazie al nuovo allestimento, per la prima volta dopo quarant'anni, ventiquattro dei suoi bassorilievi, che narrano la vita del Buddha, saranno visibili al grande pubblico, dando un'ulteriore testimonianza di quel dialogo fra culture e religioni che i Musei Vaticani portano avanti attraverso l'arte.
La lungimiranza di Pio e di Paolo
«Il Museo Etnologico è espressione dello sguardo di positivo apprezzamento che la Chiesa cattolica, fin dai suoi inizi, ha avuto e continua ad avere per le culture di tutto il mondo». Il cardinale Giovanni Lajolo, presidente emerito del Governatorato, intervenendo alla presentazione del catalogo Ethnos. Le collezioni etnologiche dei Musei Vaticani, sottolinea il significato della collezione e l'importanza del lavoro svolto da padre Mapelli e dai suoi collaboratori nel realizzare quest'opera, la prima di una serie che si propone di far conoscere ogni singola collezione custodita nel Museo Etnologico. Un lavoro introduttivo «per evitare che la vastità e la varietà della collezione disorienti il lettore, trasmettendo un'immagine frammentaria di quello che è invece un patrimonio spiritualmente unitario». Spiega infatti il cardinale Lajolo: «È alla lungimiranza di Paolo VI -- il grande Papa del dialogo -- che si deve il trasferimento dal Palazzo del Laterano all'interno delle collezioni vaticane delle opere rappresentative di culture, arti e religioni extraeuropee. Avere a poca distanza dalla cupola di San Pietro statue buddiste e induiste, di divinità polinesiane e di antenati africani, dipinti provenienti dalla ricca tradizione degli aborigeni australiani, è un segno tangibile e concreto non solo dell'apprezzamento della Chiesa cattolica nei confronti delle altre culture, ma anche del suo continuo sforzo di promuovere il dialogo e la convivenza pacifica tra popoli e religioni. Quando Papa Pio XI fondò nel 1926 il Museo Etnologico, lo fece con sguardo aperto su tutta l'umanità, nella consapevolezza che ogni popolo produce opere d'arte di altissima qualità, nella convinzione che ognuna di esse è partecipazione alla Bellezza divina, ognuna testimonianza dell'imprescindibile rapporto dell'uomo con l'ambiente che lo circonda.
(©L'Osservatore Romano 23 novembre 2012)
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