giovedì 27 dicembre 2012

Le ragioni della fede nell'età secolare. Le risposte dei teologi riuniti a Roma


Le ragioni della fede nell'età secolare. Le risposte dei teologi riuniti a Roma

La fede con le sue ragioni, interpellata nell’età secolare. A cercare risposte per tre giorni saranno gli esperti convocati dall’Associazione italiana teologi (Ati). Appuntamento a Roma da oggi al 29 dicembre, presso Villa Aurelia, per il tradizionale Corso di aggiornamento proposto ai docenti di teologia. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. don Riccardo Battocchio, segretario nazionale dell’Ati.

R. - Viviamo immersi in una situazione storica che possiamo chiamare secolarismo, dando però con questo termine un’interpretazione negativa di un complesso di realtà, che forse presenta anche aspetti da leggere in positivo. Siamo in un’epoca in cui, a detta di tanti, la religione, la fede cristiana in particolare pare, nell’ambito del discorso pubblico, un’opzione fra le tante. Questo interpella la responsabilità dei cristiani, di chi riflette sulla fede, alla ricerca delle possibilità che questo offre, anzitutto del fatto che la fede si presenta come scelta. Ora dobbiamo cercare, in questo Corso come teologi, di riflettere sulle condizioni che rendano possibile una libera adesione alla fede, alla Parola della Rivelazione che si propone come dotata di senso oggi come in ogni contesto: nel contesto secolare non meno che in contesti che apparentemente sembrino maggiormente segnati da una presenza pubblica della religione.

D. – La fede come scelta di libertà: qual è il compito dei teologi?

R. – I teologi non hanno il compito di dimostrare la verità della fede, quanto piuttosto quello di cercare di mostrare le ragioni che rendono plausibile l’adesione di fede, ed una delle strade che cerchiamo di percorrere è quella di evidenziare la corrispondenza tra la proposta della fede, l’annuncio del Vangelo e quella attesa di libertà che vive nell’esperienza umana originaria, consapevoli anche della fede come istanza critica nei confronti dell’umano. Non possiamo proporre la fede senza tener conto di ciò che l’uomo è in questo tempo, nella sua storia. E la teologia dovrebbe cercare questo dialogo con la storia, con le condizioni in cui l’uomo si trova. Il compito dei teologi è quello di offrire le ragioni per cui credere è oggi un atto di libertà, che non solo suppone la libertà ma gli consente di realizzarsi nel modo più pieno.

D. – Perché modernità e identità cristiana vengono così spesso contrapposte? E’ un luogo comune?

R. – E’ il frutto di una storia segnata da una serie di conflitti, tra un’istanza di autonomia che sembra essere quella caratteristica dell’epoca moderna – l’uomo che definisce se stesso a partire da sé – e la supposta eteronomia, cioè la dipendenza che sarebbe implicata in ogni esperienza religiosa, e nella fede cristiana in particolare, nel dover rinunciare a qualcosa di autenticamente umano per essere un credente. In questo caso, per la teologia, dimostrare come l'istanza di autonomia, che è propria della modernità, non sia necessariamente contraddittoria rispetto a quella dipendenza che è implicata nella fede, ma che è una dipendenza che corrisponde alla condizione dell’uomo. Infatti, si tratta di una dipendenza non da un potere superiore, non da un’entità che si impone limitando l’uomo, ma da quell’origine che fa sì che l’uomo sia.

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