domenica 3 marzo 2013

Il lavoratore divenuto pellegrino. Coerenza di un Pontificato (Pelayo)


Coerenza di un pontificato

Il lavoratore divenuto pellegrino

Pubblichiamo, quasi integralmente, un articolo uscito sul quotidiano spagnolo «La Razón» di oggi, venerdì 1, dell'addetto ecclesiastico dell'ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, che da oltre un trentennio è corrispondente dal Vaticano per diverse testate.

di Antonio Pelayo

Dal balcone della sua residenza di Castel Gandolfo Benedetto XVI, ancora Papa per qualche ora, si è definito come un «pellegrino che inizia l'ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra». Mi sono tornate in mente altre parole, che egli pronunciò appena eletto Successore dell'apostolo Pietro dalla loggia della basilica Vaticana: sono «un umile lavoratore della vigna del Signore».
Tra queste due frasi ci sono quasi otto anni di un pontificato caratterizzato dalla solidità del magistero e dalla coerenza con una fede personale vissuta in comunione con una Chiesa che ha attraversato momenti difficili, scossa da tensioni molto forti.
Avendo avuto il privilegio di accompagnare Joseph Ratzinger in questi anni, mi sento in dovere di testimoniare la mia ammirazione per la sua persona, che non ha nulla a che vedere con la papolatria.
A differenza di quello che ci attende, il conclave che lo elesse nell'aprile del 2005 si aprì con una candidatura molto solida -- la sua -- in quanto il collegio dei cardinali non aveva nessuno che potesse competere, umanamente parlando, con lui. Bastarono in effetti quattro votazioni perché si raggiungesse la maggioranza.
Cosa videro i cardinali in Ratzinger? Una fede solida, ancorata non nel fideismo ma nella convinzione che fede e ragione non sono dissociabili bensì unite nella ricerca della verità che, per i credenti, non è altro che la persona di Gesù Cristo. A questa virtù teologale incarnata nella sua figura si univa una personalità grottescamente definita da alcuni media come quella del “panzer cardinale” o del “pastore tedesco”.
Caricatura che non ha retto all'analisi e che è perdurata solo perché alimentata dai pregiudizi e dalla chiusura mentale. 
Ratzinger in realtà è molto diverso: è un uomo affabile, aperto al dialogo, disposto a comprendere le ragioni opposte alla sue idee, convinto che persino nell'errore possono esserci semi di verità, capace di ascoltare e di non imporre nulla a nessuno con la forza.
L'analisi e la riflessione sui suoi anni di pontificato costituiscono una questione molto complessa perché è stato un periodo della storia ecclesiale per niente facile. Chi può negare la sua inflessibilità dinanzi alla scandalo della pedofilia di alcuni settori -- minoritari -- del clero cattolico? Non ha forse dato prova di volere trasparenza nella gestione delle finanze ecclesiastiche e delle istituzioni legate alla Santa Sede? Come spiegare, per esempio, che in questi anni siano stati costretti a dimettersi diverse decine di vescovi dai comportamenti ingiustificabili? È intellettualmente ammissibile che sia stato presentato come un uomo solitario, scontroso, privo di emozioni e di affabilità nei rapporti con gli altri, cristiani o non cristiani, religiosi o atei?
Nella sua ultima visita a Milano ha avuto un incontro molto affettuoso con il cardinale Carlo Maria Martini, già molto malato. Entrambi hanno parlato con franchezza e hanno convenuto sul fatto che la Chiesa di domani, di quel domani che si forgia già oggi, dovrebbe essere più evangelica, più pura, più vicina ai poveri e a quanti soffrono, caratterizzata dalla comunione e dal servizio.
Sono i cesti di vimini che Ratzinger lascia al suo successore affinché li utilizzi come ha fatto «l'umile lavoratore della vigna del Signore», che trascorrerà il suo pellegrinaggio terreno vicino a Gesù Cristo nel ritiro e nella preghiera.

(©L'Osservatore Romano 2 marzo 2013)

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