martedì 5 marzo 2013

In Ratzinger colpisce lo sguardo, così profondamente umano e realista di fronte al mistero della vita (Pessina)

La radice dell'ottimismo

di Augusto Pessina

Nel momento in cui Benedetto XVI è divenuto, come lui si è definito, «un semplice pellegrino che inizia l'ultima tappa del suo pellegrinaggio su questa terra» è stato impossibile non ricordare la sua omelia del 16 aprile 2012 (giorno del suo ottantacinquesimo compleanno): «Mi trovo di fronte all'ultimo tratto della mia vita e non so cosa mi aspetta. So però che egli è Risorto, che la sua luce è più forte di ogni oscurità; che la bontà di Dio è più forte di ogni male di questo mondo. Questo mi aiuta a procedere con sicurezza».
Colpisce sempre in lui il senso della drammaticità della vita vissuto tra meraviglia e realismo. Questo suo sguardo, così profondamente umano e realista di fronte al mistero della vita, sempre accompagnato da una forma di ottimismo radicale perché fondato sulla esperienza di un bene presente.
I ricercatori che amano porre domande e desiderano allargare la ragione hanno sempre riconosciuto nella testimonianza di Benedetto XVI, professore e pastore, un metodo affascinante e costruttivo essenziale nell'ambito della ricerca scientifica. Fin dai tempi delle sue lezioni carinziane egli correggeva le posizioni nichiliste e senza speranza con una forte testimonianza di positività: «Il mondo non è un prodotto dell'oscuro e dell'assurdo. Viene dal comprendere, viene dalla libertà e viene da una bellezza che è amore. E vedere questo ci dà il coraggio che ci fa vivere».
Nel suo discorso nel cinquantesimo di fondazione della facoltà di medicina della università cattolica del Sacro Cuore nel maggio 2012, rifacendosi al suo intervento al collège des Bernardins del 2008, sottolineava che «la ricerca scientifica e la domanda di senso zampillano da un'unica sorgente, quel Lògos che presiede all'opera della creazione e guida l'intelligenza della storia (...). Vissuta nella sua integralità, la ricerca è illuminata da scienza e fede e da queste due ali trae impulso e slancio». In tutto il suo insegnamento fino alle sue encicliche egli ha guardato, e chiesto agli studiosi di guardare, sempre alla realtà intera dell'uomo. In modo non “spiritualistico” ma attento anche ai suoi tratti biologici. «La vita biologica di per sé è un dono, eppure è circondata da una grande domanda. Diventa un vero dono solo se insieme ad essa si può dare una promessa che sia più forte di qualunque sventura».
Sebbene impedito di parlare all'università La Sapienza di Roma, nel testo diramato successivamente (ove cita la reciprocità tra scientia e tristitia in sant'Agostino) abbiamo potuto leggere «il semplice sapere, rende tristi perché il sapere deve cercare la verità la cui conoscenza ha come scopo la conoscenza del bene (...) è questo l'ottimismo della fede cristiana perché ad essa è stata concessa la visione del Lògos che nell'incarnazione di Dio si è rivelata come il Bene, come la Bontà stessa».
Questa è la radice dell'ottimismo e della scelta che Benedetto XVI ha voluto fare per quel Bene di cui lui fa esperienza e chiede a tutti noi di imparare ad amare: Cristo risorto e la sua Chiesa. Come ha scritto Isacco il Siro «Esiste un solo peccato, non credere al Cristo risorto. Tutti gli altri peccati sono niente perché Dio ci ha dato il pentimento per espiarli».

(©L'Osservatore Romano 6 marzo 2013)

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