lunedì 25 marzo 2013

Meditazioni per la Via Crucis. Intervista al card. Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti (Gori)


A colloquio con il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti

Un grido contro ogni ingiustizia

di Nicola Gori

Un grido contro l'ingiustizia, un invito a riscoprire il valore della pace, un gesto di solidarietà verso quanti soffrono. Sono i temi principali delle meditazioni preparate da giovani libanesi per la Via Crucis che sarà presieduta da Papa Francesco la sera del Venerdì Santo, 29 marzo, al Colosseo. Ne parla, in questa intervista al nostro giornale, il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, che ha guidato il gruppo di ragazzi nella preparazione delle riflessioni.

Qual è il messaggio principale di queste meditazioni?

Il valore della pace e il grido contro l'ingiustizia. I giovani libanesi vedono con i loro occhi che c'è tanta ingiustizia intorno a loro e si chiedono cosa faccia la comunità internazionale per ristabilire la pace e difendere i deboli. Purtroppo i libanesi, e quanti vivono nelle regione mediorientale, hanno conosciuto la guerra. Le nuove generazioni sono nate nella guerra, hanno inteso le voci della guerra, hanno visto le distruzioni, e purtroppo la guerra continua. Vedono la situazione della Siria e di altri Paesi schiacciati da grandi sofferenze, ma anche aperti alla speranza. Proprio a partire da questa esperienza personale, i giovani hanno potuto meditare sul valore della sofferenza di Cristo, come valore redentivo e di salvezza. In questo modo, si sono espressi a nome di quanti soffrono e hanno trasmesso la speranza della risurrezione. La scelta di Benedetto XVI di affidare a loro le meditazioni è stata un gesto profetico.

Come è nata l'idea?

Ripeto, è stata di Benedetto XVI. Ha voluto dare loro modo di esprimere tutte le ansie e le attese dei popoli del Medio Oriente. Nel preparare le meditazioni i ragazzi sono partiti dalle letture bibliche e hanno indicato tre punti essenziali: la meditazione spirituale, le sofferenze del Medio Oriente e dell'umanità e le attese di speranza in Cristo crocifisso e risorto. Le 14 stazioni sono state così arricchite con delle riflessioni composte in gruppo. Io ho solo rivisto il lavoro e l'ho trovato molto denso e capace di esprimere la realtà dell'umanità dal punto di vista orientale.

Che significato assume la sofferenza di Gesù per i giovani libanesi?

La Via Crucis di per sé porta il segno dell'incontro di ogni essere umano con Cristo. Ogni stazione sembra come una finestra che invita a incontrare Cristo, sia mentre porta la croce, sia quando cade, sia quando incontra sua Madre. Ogni volta Gesù riflette la sofferenza umana. Le meditazioni hanno voluto perciò essere come una proiezione: il volto di Gesù continua a essere riflesso nelle sofferenze umane che sono molteplici. Allo stesso tempo, queste riflessioni vogliono essere come una sola voce che si rivolge a Cristo perché ci doni luce e forza per portare la nostra croce e ci aiuti a riscoprire il valore redentivo e salvifico delle sofferenze umane. Al punto che vogliamo dire con san Paolo: mi vanto delle sofferenze, perché completo nel mio corpo quello che manca alle sofferenza di Cristo per la Chiesa.

Quali sofferenze in particolare trovano spazio nelle meditazioni?

Quelle provocate dalla guerra, dalla violenza. Ma trovano spazio anche le attese dei giovani che vedono il loro orizzonte limitato, notano la mancanza di sicurezza e i problemi ai quali la comunità internazionale non trova soluzioni. Noi viviamo la grande tragedia dei palestinesi che dà origine a tutto quello che avviene in Medio Oriente, come la tragedia in Siria, il fenomeno dei radicalismi e dei fondamentalisti. Tutti questi problemi che hanno ripercussioni internazionali sono compresi nelle preghiere, nelle meditazioni e nei propositi espressi dai giovani.

Si sono ispirati anche alla liturgia orientale e all'esortazione apostolica post sinodale «Ecclesia in Medio Oriente»?

Lo studio dell'esortazione apostolica è stato fondamentale e ha molto ispirato i giovani libanesi per preparare queste meditazioni. In particolare, si sono concentrati sui temi della comunione, dell'aprirsi agli altri, del costruire ponti di dialogo con tutti quelli con cui viviamo. I ragazzi hanno trovato anche nelle liturgie orientali: antiochena, bizantina e siriaca, la riposta umana al dono di Dio che è la fede. Oltre a ciò, hanno preso spunti anche dalla Bibbia.

C'è un po' della situazione libanese in questa Via Crucis ?

Quando leggiamo queste meditazioni ci accorgiamo che non rispecchiano solo la realtà del Medio Oriente, ma anche quella dell'umanità intera. Molto di rado troviamo la parola Medio Oriente, perché il grido di sofferenza e l'apertura alla speranza è a nome dell'umanità. È vero che la sofferenza varia da una persona all'altra, ma è sempre una e in Cristo ci unisce tutti quanti. I giovani hanno approfittato della loro realtà per riflettere sul destino comune dell'uomo. Sono contento che chi ascolterà le meditazioni troverà se stesso e non solo l'esperienza legata al Medio Oriente.

Qual è il valore delle riflessioni proposte?

Siamo sicuri che le stazioni non terminano con la morte di Cristo. In molte delle nostre chiese ci sono quindici stazioni, l'ultima è la risurrezione. Tutto il valore delle riflessioni è incentrato sulla risurrezione, sulla domenica, perché la storia non si ferma al venerdì. Soffriamo e moriamo per risuscitare. C'è un detto: crocifissi, quindi destinati alla risurrezione.

Come hanno accolto i popoli del Medio Oriente l'elezione di Papa Francesco?

Innanzitutto, hanno pregato molto perché dal Conclave potesse essere eletto un Papa secondo le attese del mondo. In genere i mediorientali amano molto il Papa chiunque esso sia. C'è una grande venerazione nei suoi confronti sia da parte cristiana, sia musulmana. Quando Benedetto XVI ha compiuto il viaggio apostolico in Libano, dal 14 al 16 settembre 2012, ha incontrato i rappresentanti musulmani in un quarto d'ora. Il giorno dopo avevamo un vertice al patriarcato e i musulmani sono tornati per dire al Papa che nella sua prossima visita in Libano o in quella del suo successore, vogliono averlo più tempo tra di loro, perché, dicevano, è Papa anche per noi musulmani e non solo per i cristiani. Il nostro popolo ha accolto con molto entusiasmo Papa Francesco, che con il suo sorriso e il suo stile fin dalla prima apparizione ha conquistato la simpatia del mondo intero. La sua elezione ha dato anche coraggio al nostro popolo e ha acceso una grande speranza. Noi guardiamo verso la Santa Sede e il Papa per implorare il dono della pace, della giustizia e perché la guerra termini.

Conosceva personalmente il cardinale Bergoglio quando era arcivescovo di Buenos Aires?

Non l'avevo conosciuto personalmente prima, ma solo di fama. Fin dai tempi di Giovanni Paolo II avevo sentito parlare del cardinale Bergoglio e quando sono arrivato a Roma ho chiesto chi fosse. L'ho visto solo dopo la sua elezione, ma l'ho identificato subito, perché sapevo che era capace e aperto. Noi cardinali nella preghiera, nella consultazione, nel suffragio siamo arrivati a identificare la persona voluta dallo Spirito Santo. Crediamo fortemente nella vocazione al sacerdozio, all'episcopato, al cardinalato, al patriarcato e al papato. È una vocazione divina, cioè è Dio che vuole qualcuno in quel posto. A noi spetta di cercarlo e di identificarlo. All'inizio delle congregazioni generali ho detto: fratelli miei, lo Spirito Santo ha già scelto il candidato, noi dobbiamo trovarlo. E veramente abbiamo vissuto questa esperienza nella preghiera.

È la prima volta di un Papa che viene dall'America latina.

Nella Chiesa non ci sono più distanze, né nazionalità: argentini, libanesi, cinesi, italiani. Tutti siamo corpo di Cristo. Nessuno a breve farà più distinzioni in base alla sua provenienza, perché sarà solo il Papa e basta. Perché è stato scelto lui mi sono chiesto? Ci sono dei cardinali con delle grandi personalità. Eppure, una volta eletto mi sono detto: non può essere che lui. Non potrebbe essere un altro. Dalla prima apparizione si è fatto vicino a tutti e lo sentiamo anche accanto a noi. Conosce bene le nostre comunità libanesi maronite in Argentina, sa i nostri problemi e le nostre speranze. Quando l'ho salutato e gli ho prestato obbedienza nella cappella Sistina gli ho detto che volevo visitare le nostre diocesi argentine, mi ha risposto che le conosce molto bene. È un uomo di ascolto.

(©L'Osservatore Romano 24 marzo 2013)

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