lunedì 4 marzo 2013

Sulle spalle del Papa (soprattutto in questo Pontificato) pesa la responsabilità delle cattive azioni e degli errori che i membri della Chiesa commettono (Scaraffia)

Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

La purificazione deve continuare

di Lucetta Scaraffia

L’addio del Papa ai suoi fedeli è stato una cerimonia non solo commovente, ma anche carica di significato. In questo momento, e nelle ultime decisioni prese personalmente da Benedetto XVI, è emerso molto chiaramente il ruolo e il significato della figura del pontefice. 
Il Papa come rappresentante di Cristo, come personificazione di quell’amore che Gesù prova per noi, un amore che deve essere capace di farsi sentire da tutti, che deve saper consolare solitudini e freddezze, confortare dubbi e rafforzare fedi vacillanti, con la sua sola esistenza, con la sua presenza per molti solo mediatica. Un ruolo così pesante da far gelare le vene ai polsi di qualsiasi essere umano, se non fosse confortato dalla certezza che lo Spirito Santo lo assiste e lo ispira.
L’affetto, il dolore per il distacco e la fiducia che spirava dai fedeli che hanno salutato il loro Papa, e che era condiviso da un vasto pubblico a casa, che lo seguiva per televisione, hanno fatto toccare con mano quanto Ratzinger abbia raggiunto questo obiettivo, quanto abbia saputo toccare il cuore dei fedeli e, in parte, anche di chi non si riconosce nella fede cattolica. E il nuovo Papa si dovrà misurare soprattutto con questo compito, ancora più essenziale del grande rispetto intellettuale che Benedetto XVI ha saputo suscitare negli intellettuali di tutto il mondo. Questo gran finale di pontificato ha anche confermato, ancora una volta, l’importanza del “romano pontefice” sulla scena del mondo. La Chiesa cattolica costituisce una felice eccezione rispetto alle altre religioni del mondo anche perché si esprime attraverso una voce unica e chiara, con un viso che le dà un’identità forte. Per questo è così conosciuta da tutti, per questo la sua voce è così ascoltata.
Il fatto che la Chiesa sia riconducibile a un volto e a un nome significa anche che c’è qualcuno che se ne assume tutte le responsabilità: sulle spalle del Papa infatti – e lo abbiamo visto tante volte, soprattutto in questo pontificato – pesa la responsabilità delle cattive azioni e degli errori che i membri della Chiesa commettono. 
Il Papa è una sorta di parafulmine, su cui si vengono a scatenare aggressività e colpevolizzazioni. 
E il Papa quindi può non solo incassare, ma anche rispondere: sia per chiedere scusa, che per negare la colpa, se questo è possibile. Non c’è credibilità maggiore di quella di un volto umano che, come si usa dire, «ci mette la faccia». E questa faccia può essere solo di una persona, non di un gruppo che fatalmente rivelerebbe modalità differenti nel rispondere alle questioni. È questa una risposta implicita a coloro che, da molti anni, chiedono che il ruolo del Papa venga ridimensionato da un organismo di potere collegiale: la Chiesa infatti non avrebbe più lo stesso impatto sul mondo, non potrebbe più con tanta certezza essere identificata con una linea di pensiero e di decisione.
Proprio pochi giorni fa il Papa ha chiuso la sua indagine sulla corruzione interna alla Curia: la commissione composta dai tre cardinali ultraottantenni ha deposto nelle sue mani il rapporto conclusivo. E Benedetto XVI ha annunciato che sarà nelle mani del prossimo pontefice, perché continui quel lavoro di purificazione della Chiesa da lui avviato con tenacia e convinzione. Questa non è la mossa di un Papa sconfitto dalla corruzione, depresso, come molti hanno scritto: è la scelta di un uomo che ha combattuto e vuole che la battaglia continui, passando le consegne al suo successore. Di un uomo che ha una grande fiducia nella scelta che farà il corpo cardinalizio, nel fatto che, illuminato dallo Spirito Santo, sceglierà un successore in grado di continuare il cammino che egli ha iniziato.
Non è questa l’unica questione urgente che deve affrontare il nuovo Papa: ce ne sono molte, già segnalate da Benedetto XVI, come il raffreddamento della fede, soprattutto nei Paesi europei, e la necessità di rivedere le modalità di insegnamento della tradizione cristiana. Ma in questi giorni una salta agli occhi di tutti, in particolare dei corrispondenti stranieri: la totale assenza di presenze femminili nelle riunioni che precedono il conclave. Le religiose costituiscono i due terzi dei religiosi, e con il loro lavoro tengono in piedi la Chiesa: ci sarà un modo per trovare spazio ai loro pareri e alle loro richieste in questa delicata fase di preparazione?

© Copyright Il Messaggero, 1° marzo 2013 

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