giovedì 7 marzo 2013

Una sintesi della missione del Papa. Semplicità e valore di un gesto (Coppa)

Semplicità e valore di un gesto

Una sintesi della missione del Papa

di Giovanni Coppa

Uno dei cardini della preparazione che abbiamo ricevuto nel seminario di Alba, soprattutto mediante l'opera di un direttore spirituale della statura di monsignor Agostino Vigolungo -- autore di opere largamente diffuse dedicate alla “formazione dei formatori” -- è stato la fedeltà e l'amore al Papa: un amore viscerale per noi giovani, che vedevamo in quegli anni immediatamente seguiti alla guerra l'inizio di una campagna sempre più virulenta contro il Sommo Pontefice, il quale fu perfino accusato di avere le mani macchiate di sangue. Amare il Papa, in quei tempi ormai lontani, importava una adesione vitale a lui, al suo ministero, alla sua missione.
In questa testimonianza di amore era fortemente accentuato il rapporto tra il Pontefice e l'Eucaristia, che ci veniva poi come sminuzzato nelle meditazioni. Il Papa, ci insegnavano, è come l'ostia consacrata: è a disposizione di tutti, abbraccia tutti, non esclude nessuno, come Gesù eucaristico si mette totalmente nelle nostre mani, anche degli indegni e dei profanatori. I maestri ai quali si attingevano questi insegnamenti erano di una statura spirituale che conferiva loro un grande prestigio, e li rendeva a quel tempo ben noti anche a molti di noi, ancora laici.
Il primato era detenuto dal monaco benedettino Columba Marmion -- poi beatificato da Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000 -- con la sua grande trilogia; seguivano il teologo Frederick William Faber, il gesuita Léonce de Grandmaison, e soprattutto padre Silvio M. Giraud, missionario di Nostra Signora di La Salette, di cui divorammo la traduzione dell'opera Sacerdote e Ostia, pubblicata nel 1944 da Vita e Pensiero. Sono opere datate, sì, ma non sarebbe male riprenderle in mano e magari ripubblicarle con una ripulitura stilistica moderna, perché hanno indubbiamente contenuto e spessore, come appare dalla citazione che mi permetto di fare: «Gloria e oscurità; potenza e servitù; beatitudine e afflizione: ecco Gesù nel SS. Sacramento, ed ecco pure il Suo Vicario, il Papa». Certamente, la sterminata cultura teologica di Benedetto XVI passa smisuratamente al di sopra degli orizzonti culturali di quel modesto momento dell'età postbellica che ho vissuto, e si è arricchita da chissà quanti autori e titoli di opere. E infatti la temperie spirituale del Papa, come abbiamo seguito nei suoi documenti sull'Eucaristia -- soprattutto nell'esortazione apostolica Sacramentum caritatis del 2007 -- ha un'ampiezza teologica, spirituale e sociale che ben si adatta alle esigenze del nostro tempo, globalizzato anche negli studi. Ma resto convinto che quel pur limitato sottofondo teologico-spirituale, che ci ha dato abbondante linfa ideale negli anni del seminario, si accordi anch'esso tuttora con le parole e col pensiero di Benedetto XVI.
Ed è il fascino e la commozione che ha suscitato in me il suo discorso di commiato di mercoledì 27 febbraio. È stato un saluto a tutta la Chiesa del mondo, la traccia del suo ministero petrino di questi ultimi e indimenticabili otto anni del suo pontificato, i motivi della sua decisa e sofferta rinuncia all'incarico da Dio affidatogli. E in quelle straordinarie pagine, scritte e pronunciate per tutto il mondo, non mi è sfuggito, al di là del contenuto stesso del messaggio, il nesso profondo con cui Benedetto XVI vede nel ministero di Pietro un ineguagliabile nesso con l'Eucaristia. Tutte le sue omelie hanno una caratteristica e insuperabile ricchezza di senso, che suggerisce, come nelle opere dei Padri della Chiesa, accostamenti e orizzonti che vanno al di là del significato primo e constatabile del contesto. Quelle parole mi hanno fatto venire i brividi.
Benedetto XVI ha dato una grande definizione eucaristica del suo servizio alla Chiesa. Nel tratteggiare la sua totale espropriazione nel servizio dell'uomo, parlava certo di se stesso. Ma non parlava forse anche dell'espropriazione di sé che Cristo opera nel sacramento eucaristico? Non parlava forse del non appartenere più a sé, ma solo a Dio, come l'ostia eucaristica che si dona e vive solo per gli altri, solo per noi? E, al tempo stesso, nell'accenno al futuro, non dava un'altra definizione “eucaristica” di sé, non come avveniva nel passato, ma come ha cominciato a essere ora, e sarà nel futuro? Egli sarà come un'ostia che resta in offerta perenne presso Cristo crocifisso. Quella autopresentazione è stata una grandiosa sintesi della missione del Papa, di ogni Papa, nella Chiesa. Un'ostia che appartiene a tutti, un'ostia che si consuma nell'amore per il Crocifisso, nella Chiesa e per la Chiesa.
Aveva ragione padre Giraud a scrivere queste ultime parole, che forse oggi ci paiono su di tono, ma sono profondamente vere: «Siccome Gesù Cristo non è meno presente nel Papa (benché in una maniera differente) che nel SS. Sacramento, l'unione col Papa è realmente il complemento dell'unione con Gesù Ostia, e un tal complemento, che dà all'unione con Gesù maggior semplicità umiltà e verità». Quella semplicità, quell'umiltà, che tutti abbiamo ammirato nella figura e nell'opera di Benedetto XVI, e che è sfolgorata l'11 febbraio nella decisione di restare con noi pur nel lasciarci; una decisione che ha anch'essa profonde dimensioni eucaristiche.
Questi riflessi eucaristici irradiati sulla Chiesa possono aiutarci a essere fedeli nella nostra costante preghiera per lui, come per colui che Dio ci darà come suo successore, e successore di Pietro. Perché il Papa è Cristo in terra, sempre, ma specialmente oggi.

(©L'Osservatore Romano 7 marzo 2013)

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