La seconda predica di Avvento dedicata al cinquantesimo di apertura del concilio Vaticano II
Promessa di Pentecoste
Il concilio Vaticano II ha mantenuto la promessa di una nuova Pentecoste per la Chiesa. Se ne è detto certo il cappuccino Raniero Cantalamessa, durante la seconda predica di Avvento tenuta venerdì mattina, 14 dicembre, nella cappella Redemptoris Mater, alla presenza di Benedetto XVI.
Dopo aver dedicato la settimana scorsa la prima riflessione all'Anno della fede, il predicatore della Casa Pontificia si è soffermato in questa circostanza sul cinquantesimo dell'apertura del Vaticano II per constatare «il compimento da parte di Dio della promessa fatta alla Chiesa per bocca di Giovanni XXIII»», che nel discorso di chiusura della prima sessione, parlò dell'assise come di «una nuova desiderata Pentecoste».
E se questo può sembrare un'esagerazione «visti tutti i problemi e le controversie sorti nella Chiesa dopo e a causa del concilio», ha detto il predicatore, basta andare a rileggere gli Atti degli apostoli per vedere «come problemi e controversie non mancarono neppure dopo la prima Pentecoste. E non meno accesi di quelli di oggi».
Ecco allora che alla domanda se ci sia stata una nuova Pentecoste occorre rispondere affermativamente. E il segno più convincente è «il rinnovamento della qualità della vita cristiana, laddove tale Pentecoste è stata accolta», ovvero nei movimenti ecclesiali.
Da questo punto di vista, ha però fatto notare il predicatore, «movimenti e parrocchie non vanno visti in opposizione o in concorrenza, ma uniti nella realizzazione, in modo diverso, di uno stesso modello di vita cristiana». Per questo si «deve insistere sul corretto nome: movimenti “ecclesiali”, non “laicali”. La maggioranza di essi sono formati da tutte le componenti ecclesiali: laici, certo, ma anche vescovi, sacerdoti, religiosi, suore. Rappresentano l'insieme dei carismi, il “popolo di Dio”».
Infine padre Cantalamessa ha notato che i movimenti ecclesiali e le nuove comunità non esauriscono tutte le potenzialità e le attese di rinnovamento del Concilio, ma comunque rispondono alla più importante di esse. Del resto «quale altra grande novità è apparsa nella storia della Chiesa senza sbavature umane? Non avvenne la stessa cosa -- ha ricordato -- quando, nel secolo XIII, apparvero gli ordini mendicanti? Anche allora furono i pontefici a riconoscere ed accogliere per primi la grazia del momento e a incoraggiare il resto dell'episcopato a fare altrettanto».
La predica è stata sostanzialmente incentrata sulle diverse chiavi di lettura date dell'avvenimento conciliare: aggiornamento, rottura, novità nella continuità. E se nell'annunciare al mondo il concilio Papa Roncalli usò ripetutamente la parola “aggiornamento”, a mano a mano che i lavori e le sessioni del Concilio progredivano, si andarono delineando due schieramenti opposti: la continuità con il passato e la novità rispetto a esso? Per i fautori di questa seconda interpretazione poi la parola aggiornamento finì per essere sostituita dalla parola rottura. Ma con intenti diversi a seconda dell'orientamento: così per l'ala progressista si trattava di una conquista; per il fronte opposto, di una tragedia. Tra questi due fronti si colloca la posizione del magistero papale che parla di novità nella continuità.
Da Paolo VI a Giovanni Paolo II fino a Benedetto XVI, che pochi mesi dopo la sua elezione, nel noto discorso programmatico alla Curia romana del 22 dicembre 2005, pur ammettendo una certa discontinuità e rottura, fece notare che essa non riguarda i principi e le verità di base della fede cristiana, bensì alcune decisioni storiche.
«Per questo -- ha commentato il predicatore -- se dal piano assiologico, cioè dei principi e dei valori, passiamo al piano cronologico, potremmo dire che il Concilio rappresenta una rottura e una discontinuità rispetto al passato prossimo della Chiesa e rappresenta invece una continuità rispetto al suo passato remoto».
Del resto la lettura della novità nella continuità aveva avuto un precursore nel Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana del cardinale Newman, definito «il Padre assente del Vaticano II». Ma per padre Cantalamessa esso non teneva sufficiente conto del ruolo che Gesù aveva riservato al Paraclito.
(©L'Osservatore Romano 15 dicembre 2012)
2 commenti:
Ha ragione Cantalamessa sui movimenti, ma per il resto non era il caso di filosofeggiare sull'ermeneutica nel predicare alla Casa Pontificia, alla quale forse non importa granché della sua personale opinione.
gianni
Cantalamessa è noto per essere un progressista. Se non fosse costretto a sottomettersi all'ermeneutica conciliare imposta da Benedetto XVI, per lui il concilio sarebbe una benefica rottura col passato su tutti i fronti, a partire dalla smania ecumenista. Comunque, pericolosissimo parlare di nuova pentecoste, Cantalamessa poteva proprio risparmiarselo.
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