mercoledì 30 gennaio 2013

Quelle feste scippate. Il valore culturale misconosciuto delle grandi ricorrenze cristiane in un volume di Mimmo Muolo (Fisichella)

Il valore culturale misconosciuto delle grandi ricorrenze cristiane in un volume di Mimmo Muolo

Quelle feste scippate


Pubblichiamo la prefazione che l'arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha scritto per il libro di Mimmo Muolo intitolato Le feste scippate. Riscoprire il senso cristiano delle festività (Milano, Àncora, 2012, pagine 135, euro 12).


di Rino Fisichella


Non è senza una vena di amarezza che si leggono le belle pagine di quest'ultimo libro di Mimmo Muolo. Essa sorge, lentamente ma inesorabilmente, dall'analisi che compie. Le feste scippate pone dinanzi a una situazione culturale che provoca a prendere una decisione e a fare una scelta. Non si può affrontare questo tema senza fare qualcosa per restituire alla festa il suo valore originario. Non è questione di nostalgia per il passato. Al contrario. È condizione per poter avere un futuro. Ciò che emerge da queste pagine è un lento ma inesorabile movimento che tende all'oblio del sacro per imporre una visione neopagana. Non si sa cosa emergerà seguendo questa onda. Ciò che è certo, invece, è la disintegrazione di un'identità personale e sociale, radicata su un fondamento culturale che è stato plasmato dalla fede. Chi vuole seguire questo movimento di estraniazione è libero di farlo, ma deve sapere a cosa va incontro. L'oblio per il valore sacro della festa viene sostituito solo dal puro divertimento imposto dal consumo. La sproporzione è troppa per poter essere accettata in maniera passiva e indolore. Alla memoria di eventi che hanno segnato la vita di intere generazioni, creando storia, si contrappone ora l'arroganza e la furbizia di chi sa vendere meglio il prodotto per il proprio guadagno. Poco, troppo poco per consentire che vada perduta l'originalità della cultura.

Quanto Mimmo Muolo descrive non è fantasia. Purtroppo, è la vicenda di questi ultimi decenni. Io stesso ne ho fatta esperienza. Alcuni anni fa, nel mese di dicembre, mi trovavo a New York. Durante una sosta dagli impegni, passeggiai fino a Washington Square. Incuriosito da un vasetto di miele bianco, entrai nel negozio. Pagando alla cassa, la signora con molta gentilezza mi chiese se volevo fare un'offerta per un'iniziativa che veniva da loro sponsorizzata. Le chiesi se il denaro sarebbe andato realmente a buon fine e, ricevuta la sua assicurazione, lasciai il resto. Nel salutarla le dissi volutamente: «Merry Christmas». Lei mi rispose: «Happy holidays». La guardai con un sorriso e rincarai la dose: «Sa, io sono italiano: Merry Christmas». Di nuovo, sempre con tanta gentilezza, mi rispose: «Happy holidays». Allora le chiesi per quale motivo ci fossero le vacanze. La risposta fu: «Perché è Natale». «Bene, allora perché non dice anche lei “Merry Christmas?”», ripresi io con un accenno polemico. La signora, allora, mi prese le mani e tenendole strette mi sussurrò a bassa voce: «Non possiamo più dirlo». Un caso isolato? Non credo. Sfido a trovare in New York biglietti natalizi augurali con la scritta «Merry Christmas»!
Leggere queste pagine mi ha riportato alla mente questo fatto che mi ha coinvolto direttamente. Eppure, anche Benedetto XVI, parlando alle autorità civili del Regno Unito nella Westminster Hall il 17 settembre 2010, ha detto testualmente: «Vi sono alcuni che sostengono che la voce della religione andrebbe messa a tacere, o tutt'al più relegata alla sfera puramente privata. Vi sono alcuni che sostengono che la celebrazione pubblica di festività come il Natale andrebbe scoraggiata, secondo la discutibile convinzione che essa potrebbe in qualche modo offendere coloro che appartengono ad altre religioni o a nessuna... Questi sono segni preoccupanti dell'incapacità di tenere nel giusto conto non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione nella sfera pubblica». Parole molto eloquenti. Mentre, da una parte, descrivono il fenomeno come un fatto molto più vasto di quello che si possa pensare, dall'altra indicano la strada che siamo chiamati a percorrere, perché non vinca il senso di oblio che si vuole imporre sulla memoria.
Abbiamo una grande responsabilità: trasmettere a quanti verranno dopo di noi il grande patrimonio di cultura che abbiamo ricevuto. Privarli di questo tesoro non può essere il frutto di una scelta subita o di un agire inconsapevole. Il senso della festa e il valore impresso dalla fede appartengono a questo patrimonio. Trasmetterlo con coscienza arricchendolo dell'esperienza personale può essere un modo per sentirsi ancora coinvolti nell'uscire dal tunnel di una crisi profonda e creare di nuovo genuina cultura.

 (©L'Osservatore Romano 30 gennaio 2013)

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