martedì 29 gennaio 2013

Cosa rivelano i deserti del nostro tempo. Per riflettere sull'educazione della coscienza (Nykiel)


Per riflettere sull'educazione della coscienza

Cosa rivelano i deserti del nostro tempo

Con il titolo «Riconciliazione e direzione spirituale “luoghi” privilegiati di educazione della coscienza e di permanente evangelizzazione» si svolge a Loreto, il 28 e il 29 gennaio, il quarto Simposio per penitenzieri organizzato dalla Penitenzieria Apostolica. Anticipiamo stralci della relazione di apertura tenuta dal reggente della Penitenzieria.

di Krzysztof Nykiel

Riflettere sull'educazione della coscienza significa affrontare una delle questioni più delicate e difficili per la missione evangelizzatrice della Chiesa nel momento presente. Questione delicata, perché il termine «coscienza» rimanda a quell'interiorità profonda della persona umana che il Vaticano II ha voluto descrivere efficacemente come «il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo»; ma anche difficile, perché ai nostri giorni proprio questa dimensione interiore, viene facilmente declinata in senso individualistico, sottraendola de facto o de jure all'esigenza della sua formazione.
La suggestiva immagine del deserto, utilizzata varie volte da Benedetto XVI, è un mezzo efficace per interpretare il mondo moderno e la sua crisi. A prima vista essa potrebbe sembrare pessimistica, in quanto mette dolorosamente in rilievo quelle che sono le grandi contraddizioni del nostro tempo che vive un evidente vuoto spirituale, una vera e propria «desertificazione spirituale», come se Dio non ci fosse. Approfondendo, però, questa immagine nell'insegnamento del Papa si vede che non è affatto pessimistica. Infatti, nel deserto -- ricorda Benedetto XVI -- «si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita».
Nella sapienza biblica, il deserto è l'esperienza della prova e della sofferenza, ma è anche l'esperienza in cui si sperimenta che Dio è educatore del suo popolo. Nell'interpretazione teologica della dolorosa esperienza del deserto, Israele impara, infatti, come annota il Deuteronomio, che soltanto una società che ascolta la parola di Dio e la mette in pratica è una società che può avere vita e futuro. Un'esistenza, personale e sociale, costruita senza riferimento a Dio, affidata solo alle sue forze, è una vita incompiuta e malata che prima o poi si autodistrugge.
I deserti diventano così l'occasione propizia per la purificazione, per la crescita spirituale: un passaggio obbligato, possiamo dire, per prendere coscienza della realtà con tutti i suoi limiti. I deserti sono quindi anche delle attese che spesso rimangono implicite e richiedono un'opera di decifrazione per trasformarsi in opportunità. Dietro al vuoto del nostro tempo, dietro ai problemi più gravi che nella prassi pastorale constatiamo, si nascondono non di rado bisogni profondi del cuore, aspirazioni e speranze per una vita più sensata e umana. I deserti del nostro tempo rivelano anche una grande sete di verità e di bene.
Mi sembra di poter identificare almeno un forte sintomo di questa «desertificazione spirituale» attorno alla coscienza morale, che può diventare però anche un'opportunità, per riscoprire ciò che è essenziale per la vita morale, intesa come pienezza di vita (cfr. Giovanni, 10, 10). Tale sintomo della «desertificazione spirituale» attorno alla coscienza morale si può riconoscere nella sua interpretazione radicalmente individualistica. Se oggi sentiamo spesso come le persone affermano l'idea che «una scelta è buona», semplicemente perché è stata «decisa autonomamente», in quanto espressione della propria «coscienza individuale», ciò è indubbiamente frutto di un'antropologia soggettivistica che declina il soggetto in termini di un'individualità chiusa e autosufficiente. La cultura moderna è caratterizzata, infatti, sin dalle sue origini dalla riduzione del soggetto a individuo, a scapito della sua dimensione personale in riferimento al prossimo, alla comunità e a Dio.
L'illuminismo ha fortemente contribuito a esaltare tra le diverse forme di libertà quella della coscienza, intesa come affermazione di diritti individuali. L'industrializzazione e l'affermazione del capitalismo hanno rafforzato un concetto di libertà fondato su un presupposto essenzialmente individualistico ed egoistico. Così anche il successivo diffondersi del sistema democratico ha posto alla sua base il riconoscimento dei diritti della coscienza individuale. Dobbiamo inoltre ricordare anche un'altra sfida che oggi si presenta come molto attuale attorno al tema della coscienza. Si tratta di una tendenza diametralmente opposta, quella di negare alla coscienza ogni spessore personale, riducendola a semplice funzione biologica del cervello.
La sfida lanciata in questi ultimi anni dalle neuroscienze non è però solo una pericolosa riduzione della coscienza e della sua possibilità di formarla adeguatamente. Proprio dagli studi neuroscientifici emergono anche prospettive stimolanti per il compito ecclesiale di educare a livello morale. Come le scienze psicologiche e sociali hanno ampliato nella pedagogia cristiana la consapevolezza circa i condizionamenti della coscienza, così anche i recenti studi sul cervello umano offrono dei tasselli per cogliere meglio la sua complessità. Occorre tenere presente tale complessità della coscienza morale, affinché l'educazione morale sia più aderente alla realtà ed efficace nella vita delle persone. Le scienze, infatti, se coltivate onestamente e senza pregiudizi ideologici, non sono mai nemiche della fede.
Così le neuroscienze ci ricordano, ad esempio, che nell'educazione morale è fondamentale la componente affettiva. Il decidere è strettamente legato agli affetti, alle emozioni, come già una certa tradizione spirituale aveva intuito saggiamente: si pensi ad esempio alla dinamica degli Esercizi spirituali di sant'Ignazio di Loyola che è particolarmente attenta a questa dimensione empatica e anche emotiva in ordine al discernimento morale e spirituale. Troppo spesso si è pensato nel passato alla formazione della coscienza soprattutto come problema di trasmissione di contenuti normativi: sullo sfondo vi era una concezione della coscienza per cui la formazione era intesa prevalentemente come trasmissione di un sapere.
Il dialogo con le scienze empiriche incoraggia invece a prendere maggiormente sul serio la dimensione degli affetti, delle emozioni, dei bisogni nello sforzo di educare la vita morale dei credenti. Il decidere morale è molto più di un'applicazione sillogistica; esso è discernimento che coinvolge non solo la ragione, ma anche il cuore. Gli educatori e i confessori sono sollecitati a convincersi che non basta più solo enunciare la verità morale, ma occorre proporla in modo significativo, affinché sia incontrata con la mente e con le risorse affettive ed emotive della persona. In questa prospettiva è altamente significativa la riscoperta dell'etica delle virtù che ha guadagnato recentemente nuova attenzione e attualità. Le virtù, in quanto disposizioni abituali e ferme a fare il bene, mettono in rilievo come tale disposizione è profondamente legata a tutte le dimensione della persona umana, non solo a quella cognitiva. È in questione un'idea di formazione integrale della personalità morale: il pensare, il sentire e il decidere sono intrecciati in modo inseparabile.

(©L'Osservatore Romano 28-29 gennaio 2013)

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