Intervista al cardinale Jean-Louis Tauran
In dialogo sulla questione di Dio
di Mario Ponzi
Un mondo aperto al dialogo sulla questione di Dio. Così il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, immagina lo scenario che si presenta in questo inizio d'anno. E rafforza la sua impressione sottolineando -- nell'intervista rilasciata al nostro giornale -- l'attualità del dibattito tra cristianità e secolarismo, di cui oggi si trova eco in molti libri e riviste internazionali. Da questa considerazione il porporato trae spunto per ribadire l'importanza del lavoro svolto dal dicastero nell'anno appena concluso, soffermandosi in particolare sui diversi aspetti del dialogo con il mondo musulmano.
Cosa ha caratterizzato l'attività del Pontificio Consiglio durante il 2012?
Certamente le nomine di un nuovo segretario e di un nuovo sotto-segretario costituiscono importanti novità per il dicastero. Per quanto riguarda lo svolgimento della nostra missione, abbiamo sostanzialmente cercato di rimanere fedeli al compito assegnatoci dalla costituzione apostolica Pastor bonus, che stabilisce che il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso debba «favorire diverse forme di rapporto» con i seguaci delle altre religioni e promuovere «opportuni studi e convegni perché ne risultino la reciproca conoscenza e stima e mediante un lavoro comune siano promossi la dignità dell'uomo e i suoi valori spirituali e morali», senza dimenticare «la formazione di coloro che si dedicano a questo tipo di dialogo». Anche se una parte della popolazione mondiale, soprattutto in Occidente, è di fatto secolarizzata, non si può negare il fatto che Dio rimanga un argomento di attualità. Basti pensare all'impressionante numero di libri e riviste -- che vedo esposti, per esempio, nelle edicole degli aeroporti -- sui quali appare la parola «Dio». Dunque c'è tutto un mondo aperto a questo tipo di dialogo.
Qual è stato l'impegno maggiore in quest'anno appena concluso?
Il dialogo con i musulmani. Purtroppo, alcune minoranze deviate, che strumentalizzano la religione per giustificare l'uso della violenza, o cercano di imporre a tutti, senza distinzioni, la legge islamica anche con la forza, costituiscono un pericolo non solo per le loro società, ma anche per il mondo intero, e mettono in difficoltà il dialogo tra le religioni. Basta ricordare, in proposito, la sorte di alcune comunità cristiane in Paesi come il Pakistan o la Nigeria. Nessuno e nessuna causa possono giustificare tali eccessi. Purtroppo, il peso dell'integralismo rischia di far dimenticare la dimensione religiosa e spirituale dell'islam.
Eppure il Papa a Beirut, durante la sua recente visita in Libano, ha trovato anche tra i musulmani un clima di cordiale accoglienza.
Indubbiamente si è trattato di un avvenimento fuori del comune. Proprio l'instaurarsi di una clima particolarmente cordiale, favorito dai capi religiosi musulmani del Paese, ha consentito al Papa di ribadire l'impegno della Chiesa cattolica per un dialogo rispettoso e senza ambiguità. E per di più -- fatto davvero straordinario -- i suoi interlocutori musulmani non hanno avuto difficoltà nel riconoscere che i cristiani in Medio Oriente, in particolare quelli in Libano, sono una ricchezza. Per noi il luminoso magistero di Benedetto XVI rimane un faro. Nell'udienza alla Curia romana del 21 dicembre scorso, per esempio, il Pontefice ha tenuto un discorso che si potrebbe definire programmatico per quanto riguarda il rapporto tra dialogo e verità, e tra annuncio e conversione.
Come procede il dialogo con le altre religioni?
Tra le esperienze più significative dei mesi passati, non si può non fare riferimento al King Abdullah bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue, inaugurato a Vienna il 26 novembre scorso. Un centro che, seppure voluto e finanziato per qualche anno dall'Arabia Saudita, rappresenta una più ampia organizzazione internazionale non governativa -- fondata dalla stessa Arabia Saudita insieme con l'Austria e la Spagna -- nella quale la Santa Sede è presente in qualità di founding observer. Costituisce un buon canale di dialogo che ci auguriamo possa non solo promuovere una migliore conoscenza reciproca tra credenti, ma anche essere uno spazio adatto per denunciare situazioni dove le libertà di coscienza e di religione non sono adeguatamente rispettate e tutelate.
È stato anche un anno nel quale lei ha compiuto viaggi importanti.
Direi che in questo senso un particolare significato ha avuto la visita in Nigeria nel maggio scorso. Ho potuto constatare che i nigeriani vogliono rimanere insieme, nonostante le diversità tra nord e sud. Ricordo con emozione la visita a una scuola tecnica, situata in una regione a maggioranza islamica. Gestita da un sacerdote cattolico, essa accoglie una trentina di ragazzi che lavorano il legno. L'atmosfera e le relazioni tra i ragazzi sono state per me la prova che il dialogo interreligioso contribuisce anche al bene comune. Dimostrano che nonostante la drammaticità di certe situazioni, è possibile vivere e lavorare insieme! Purtroppo ci sono anche altre situazioni meno incoraggianti. Penso, per esempio, all'Egitto, Paese in piena trasformazione. Anche quest'anno il dialogo con Al Azhar si è interrotto per scelta dei nostri partner musulmani. Per quanto ci riguarda, continuiamo a ribadire che le nostre porte sono sempre aperte a un dialogo sincero e rispettoso.
Cosa intende in questo caso per dialogo sincero e rispettoso?
Che bisogna avere sempre presente l'alta dimensione spirituale di ogni religione. La cosa più importante è evitare che gli aspetti sociologici o politici ci facciano dimenticare questa dimensione. Spesso avverto che molti cattolici, seppure desiderosi di dialogare con altri credenti, si scoraggiano per ciò che accade intorno a loro. Difficile dimenticare, per esempio, che ogni cinque minuti un cristiano viene ucciso a causa della sua fede. Naturalmente è necessario, comunque, denunciare senza ambiguità una tale barbarie. Detto ciò, una situazione del genere può essere per i credenti uno stimolo per approfondire le proprie convinzioni e testimoniare, in mezzo a tanta violenza, che tutte le religioni favoriscono la fraternità. In questo senso, le religioni sono una risorsa per il bene comune. La Chiesa cattolica, per parte sua, rimane attiva nel dialogo tra le religioni; non solo con i musulmani, ma anche con i fedeli delle religioni orientali e tradizionali. Le visite ad limina dei vescovi, che volentieri vengono a condividere con noi le loro iniziative, sono un'ulteriore prova della serietà di tale impegno.
Cosa significa l'Anno della fede nell'ottica del dialogo interreligioso?
Durante l'Anno della fede saremo tutti impegnati a rinvigorire la nostra fede cristiana in modo da conoscere meglio il suo contenuto e proporre con parole e opere il messaggio di Gesù Cristo. E poiché siamo all'inizio di un nuovo anno, dunque nel momento degli auguri, faccio mio l'augurio formulato dal Papa alla Curia romana con le parole di Gesù: «Venite e vedrete!». Pregheremo il Signore affinché la Chiesa, nonostante le proprie povertà, diventi sempre più riconoscibile come sua dimora. Lo pregheremo affinché possiamo testimoniare sempre meglio e in modo sempre più convincente che «abbiamo trovato Colui, del quale è in attesa tutto il mondo, Gesù Cristo, vero Figlio di Dio e vero uomo».
(©L'Osservatore Romano 4 gennaio 2013)
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