Intrepidi sulla via
Erode e Gerusalemme sono presi da smarrimento mentre sommi sacerdoti e scribi sanno ma non riconoscono
di Inos Biffi
L'avvenimento del Figlio di Dio che diventa uomo -- il mistero, come lo chiama Paolo -- è destinato alla manifestazione: deve farsi annunzio ed epifania, poiché Gesù è assolutamente l'unico Salvatore di tutti. Non esistono altre vie di redenzione. Cristo è «luce per illuminare le genti». Su Israele, che personifica il messia, brilla la gloria del Signore e Isaia può dire: «Alla tua luce cammineranno i popoli, e i re allo splendore del tuo sorgere». L'evangelista Matteo vede nella venuta dei Magi da oriente avverarsi l'apparizione della Luce del Messia oltre i confini d'Israele e l'inizio dell'adorazione universale e della proclamazione della gloria del Signore.
Vorremmo sapere di più su questa laboriosa e inattesa venuta di Magi, intrepidi e in apparenza ingenui, che d'improvviso si affacciano, per subito allontanarsi e scomparire sulla strada del ritorno al loro Paese. Ameremmo conoscerne la provenienza e l'identità, sapere cosa significa la stella, così docile e benigna, sorta ai loro occhi e poi quieta e intelligente guida e compagna nel cammino. E, ancora, desidereremmo conoscere la natura e il senso di quei doni estratti dagli scrigni.
Ma l'evangelista non si sogna affatto di soddisfarci in queste nostre curiosità, così come ci lascia ai nostri interrogativi sui contenuti storici precisi di quella venuta. Egli intende illustrarci un messaggio: quando nasce Gesù si accende una stella che è una chiamata silenziosa e irresistibile di uomini lontani ma disponibili e attenti a Cristo: «Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».
Ora è la Chiesa ad accendere la stella di Cristo, a farsi vocazione mediante il suo annunzio e la sua stessa vita, che predica il Signore a tutti gli uomini, perché tutti -- com'è detto da Paolo agli Efesini -- prendano parte alla stessa eredità, formino lo stesso corpo e partecipino alla promessa per mezzo del Vangelo. L'essere missionaria non è una delle caratteristiche della Chiesa, ma è la sua stessa definizione. Se la Chiesa è appassionata del Signore, l'unico e insostituibile redentore del mondo non può rinunziare a rivelarlo. Sarebbe un falso e nefasto ecumenismo quello che livellasse ogni religione sul medesimo piano, o ritenesse che l'evangelizzazione compiuta dalla Chiesa sia lesiva delle coscienze od offensiva delle espressioni religiose dei popoli. Il Vangelo, che è per tutti obiettivamente liberante, non dev'essere mai imposto in nessuna forma a nessuno. Ma questo non rende la Chiesa né inerte, né indifferente: essa stessa, d'altronde, proviene sia dall'ebraismo, che con gli apostoli s'è compiuto nel riconoscimento di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, sia dal paganesimo, cioè dai «Gentili chiamati in Cristo Gesù».
Sarebbe allo stesso modo un ecumenismo inaccettabile quello che facesse coincidere tra di loro le varie Chiese o comunità cristiane; né questa inaccettabilità equivale ad arroganza per la Chiesa cattolica: essa dice invece la sua dedizione a che l'annunzio e l'originalità di Cristo non perdano nulla dei tratti da lui voluti. La Chiesa non esibisce se stessa, ma Gesù Cristo nella sua integralità. Una indifferenza al riguardo sarebbe semplicemente disinteresse verso il Signore. Tanto oggi si parla di inculturazione del Vangelo, essa sarebbe però deleteria se comportasse un dissolversi o un annebbiarsi dell'originalità e della necessità di Gesù Cristo, che devono risaltare nella formulazione della fede, nel linguaggio, nella liturgia, e nei suoi segni. Si dimentica talora che nessun uomo e nessuna cultura sono dispensati dalla conversione e dall'adesione all'avvenimento preciso e concreto di Gesù Cristo. Capita che disavveduti pastori, in fondo poco confidenti in Cristo, creino smarrimenti nei fedeli e confusione nella loro fede per un concordismo tutto sommato facile e disimpegnato.
Il cammino dei Magi per l'adorazione del re dei Giudei non trova facilitazione ma ostacoli, e stranamente da chi dovrebbe essere al servizio di questo re. Erode -- il nuovo faraone persecutore -- rimane turbato dall'interrogativo di quei Magi: egli immagina che la regalità ricercata per l'adorazione sia una regalità di questo mondo, concorrenziale alla sua. Con Erode è presa da smarrimento tutta Gerusalemme, e quanto ai sommi sacerdoti e agli scribi: conoscono le Scritture e sanno, ma non riconoscono.
Matteo prefigura così il dramma del rigetto di Gesù che un giorno sarà consumato proprio a Gerusalemme. La ricerca di Cristo, l'accoglienza della vocazione, in una parola la fede, non sono mai facili e pacifici. Domandano sempre una coraggiosa decisione della libertà, che tocca l'intimo della coscienza, dove il Vangelo si iscrive e diviene luce e attrattiva, senza essere costrizione. A completare il discorso sopra accennato sulla missione occorre aggiungere che -- per le vie che Dio conosce e che non è tenuto a rivelarci -- nella coscienza di ogni uomo si accendono i segni di Dio, che esigono consenso e conversione, elezione e distacco, poiché nessuno uomo -- che dall'eternità è predestinato in Cristo -- è dal Padre abbandonato a se stesso, alle proprie tenebre naturali, e alle proprie impossibilità e disavventure. Dio non ama parzialmente: ogni uomo nasce prevenuto dall'immenso amore del Padre. Toccherà ai credenti predicare come tale amore abbia preso forma storica in Gesù.
Predicava san Bernardo: «Guardate e vedete quale vista penetrante abbia la fede; considerate con molta attenzione che occhi di lince abbia chi riconosce il Figlio di Dio mentre succhia il latte, chi lo riconosce sospeso a una croce e morente. Il ladrone lo confessa sul patibolo, i Magi nella stella; quello confitto coi chiodi, questi avvolto nei panni. Non vi dà fastidio, o Magi, l'umile dimora della stalla, la povera culla della mangiatoia? Non vi scandalizza la presenza di una povera madre, né l'infanzia di un bambino che succhia il latte?».
Forse allora Gesù non era già più in una stalla, ma certo non risiedeva in una reggia. C'è sempre sproporzione tra quello che la fede immediatamente vede e quello che, confidentemente, crede.
Dei Magi Matteo dice che al rivedere la stella «provarono una grandissima gioia». La fede, che ancora aspetta e desidera la visione beatifica, sa far pregustare la gioia, della quale è intessuto il Vangelo: una gioia interiore, di là dal turbamento, capace di dominare le penose ricorrenti vicissitudini con la certezza della speranza nella Provvidenza. È la gioia messianica, che incomincia quaggiù e che può stranamente convivere con la passione. Teresa di Lisieux ha questa singolare riflessione sulla stella: «Talvolta, quando il cielo è coperto di nuvole, la sera senza luci è triste per Gesù, nell'ombra. Per rallegrare Gesù Bambino, fatti ardente di luce, brilla di tutte le tue virtù, come una stella».
(©L'Osservatore Romano 6 gennaio 2013)
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