sabato 5 gennaio 2013

La carità del Papa per le emergenze umanitarie. Mons. Dal Toso traccia il bilancio dell'attività di Cor Unum nell'anno appena trascorso (Ponzi)

Monsignor Giampietro Dal Toso traccia il bilancio dell'attività di Cor Unum nell'anno appena trascorso

La carità del Papa per le emergenze umanitarie

di Mario Ponzi

Trecentottantotto conflitti armati, venti dei quali ad alta intensità, sessantanove crisi umanitarie conclamate, quarantuno appelli disperati ai quale dare risposta immediata. Cifre che rispecchiano la situazione drammatica in cui versa gran parte della popolazione mondiale e che riflettono l'impegno di Cor Unum -- l'organismo al quale è demandato l'incarico di distribuire la carità del Papa -- nell'anno appena trascorso. Siria, Libia, Bangladesh, Sud Sudan, Bolivia, Paraguay: sono alcuni dei Paesi nei quali più deciso è stato l'intervento del dicastero nel 2012, anno tra l'altro caratterizzato dalla riforma strutturale di Caritas Internationalis, «una federazione fondamentale -- dice monsignor Giampietro Dal Toso, segretario di Cor Unum, nell'intervista al nostro giornale -- per rendere ancora più efficace l'intervento della Chiesa», e dalla pubblicazione del motu proprio Intima Ecclesiae natura, attraverso il quale si è voluta «riaffermare la comunione ecclesiale profonda tra gli organismi di carità cattolici nella persona del vescovo», che diviene così un garante della carità della Chiesa.

Quanti interventi sono stati realizzati in quest'anno appena trascorso?

Nel 2012 c'è stato un picco di crisi umanitarie nel mondo. Caritas Internationalis ha lanciato ben 41 appelli a sostegno di popolazioni in difficoltà, un dato mai registrato prima. A oggi ci risulta che siano 69 le situazioni di crisi umanitaria conclamate. Ciò significa che ci sono state moltissime criticità. Dunque gli interventi di Cor Unum sono stati anche quest'anno numerosi.

Da cosa dipende questo aumento delle crisi umanitarie?

A causare emergenze umanitarie sono soprattutto fenomeni naturali: terremoti, cicloni, alluvioni, inondazioni, che ultimamente si registrano con sempre maggiore frequenza anche per effetto del cambiamento climatico. E poi ci sono le guerre. Oggi nel mondo si registrano 388 conflitti armati in corso, di cui 20 ad alta intensità, cioè con più di mille morti l'anno. Sono numeri che parlano di un'instabilità diffusa.

E dove è intervenuto Cor Unum?

Il dicastero è intervenuto in molte situazioni difficili. Per esempio in Bangladesh, dove si sono verificate tragiche alluvioni; così in Bolivia, dove l'emergenza è stata causata ancora da gravi inondazioni. Ci siamo preoccupati di soccorrere poi le popolazioni italiane dell'Emilia sconvolte dal terremoto; ci siamo presi cura dei rifugiati in Libia, perché gli sconvolgimenti politici nel Paese hanno fatto passare in secondo piano la situazione degli immigrati dall'area subsahariana. L'elenco si allunga poi con gli interventi per catastrofi naturali in Paraguay e con l'aiuto offerto alle popolazioni del Sud Sudan per favorirne il rientro in patria dopo la stabilizzazione politica. Un capitolo a parte riguarda invece le popolazioni della Siria.

Come siete intervenuti nella difficile situazione di quel Paese?

Quella del popolo siriano è una situazione drammatica che si protrae ormai da oltre un anno e mezzo. Cor Unum è intervenuto più volte. Personalmente sono stato a Damasco nel mese di marzo e ho portato un primo aiuto a nome del Papa. Il milione e mezzo di profughi interni è un fatto doloroso che non poteva passare inosservato alla Chiesa, la quale ha messo subito in campo la sua opera caritativa. Il Pontefice non ha voluto far mancare il suo apporto a questi interventi e ha mandato un primo contributo di centomila dollari. La situazione si è mano a mano aggravata e Benedetto XVI ha deciso di inviare a novembre il nostro cardinale presidente Robert Sarah per dare un segno della sua particolare vicinanza a quelle popolazioni e per portare un secondo, forte contributo, questa volta frutto di un colletta del Sinodo dei vescovi e di una sua cospicua donazione personale. Non c'erano le condizioni di sicurezza necessarie per andare direttamente in Siria, e dunque il cardinale si è fermato in Libano. La missione del presidente di Cor Unum, tra l'altro, ha dato seguito a quella che inizialmente era stata pensata dai padri sinodali riuniti a Roma e che poi non ha potuto realizzarsi. Ho accompagnato il cardinale e quindi posso testimoniare il grande sforzo che la Chiesa sta facendo in quella regione. Abbiamo incontrato in una riunione speciale i rappresentanti di oltre 25 organizzazioni cattoliche impegnate al momento e abbiamo ascoltato storie dolorose e testimonianze drammatiche. Il sostegno si articola in due grandi capitoli. Il primo è l'aiuto che si fornisce direttamente all'interno della Siria. È un aiuto che definirei molto spicciolo, perché la situazione non consente di predisporre iniziative in grande stile. Consiste nel sostegno diretto alle famiglie che hanno bisogno di mangiare, di vestire, di curarsi, di un tetto. E questo è un lavoro capillare svolto molto bene dalla Chiesa locale in tutte le sue componenti. Poi l'altro capitolo riguarda l'assistenza ai profughi, soprattutto in Libano, ma anche in Giordania, in Iraq e in Turchia. Questo è un lavoro più articolato e più organizzato al quale concorrono anche organismi internazionali.

Quanto è stato raccolto tra i padri sinodali?

A novembre abbiamo portato un milione di dollari, compresa la somma offerta personalmente dal Papa. I soldi sono stati distribuiti secondo i due grandi capitoli di cui le parlavo: una parte sono stati destinati all'assistenza interna alla Siria e una parte all'assistenza ai profughi all'estero.
Come è stato accolto questo intervento da cristiani e musulmani?
I cristiani hanno percepito chiaramente la vicinanza e la partecipazione del Papa e della Chiesa al loro dramma. I musulmani capiscono che l'aiuto della Chiesa non è confessionale, ma è per tutti. Ne ho avuto la netta sensazione visitando un campo profughi in Libano, dove ci sono praticamente solo musulmani assistiti dalla Chiesa locale.

Ovviamente continuerete a tenere sotto controllo l'evolversi della situazione umanitaria in Siria.

Come è nello stile di Cor Unum. Nel senso che l'attenzione non si esaurisce con l'intervento in emergenza. Prendiamo per esempio Haiti. Siamo intervenuti immediatamente dopo la catastrofe, ma non ci siamo certo fermati. Stiamo seguendo tutto il lungo processo di ricostruzione intervenendo ancora secondo le nostre possibilità. In questo periodo siamo impegnati nella realizzazione di due scuole, ma il cammino da compiere è ancora lunghissimo e difficile per tanti aspetti: la debolezza politica, l'inconsistenza a livello economico, il verificarsi di nuove catastrofi naturali ed epidemie.

Quanto ha influito in questa operosa attività di Cor Unum la ristrutturazione di Caritas Internationalis?

Direi che si è trattato di un momento molto significativo dell'attività di quest'anno, che non è stata solo di carattere umanitario, ma anche e soprattutto strutturale. In questo quadro rientrano senza dubbio l'entrata in vigore, lo scorso 2 maggio, del nuovo statuto e del nuovo regolamento di Caritas Internationalis, e la divisione delle competenze, nell'ambito della Curia romana, rispetto alla stessa Caritas Internationalis. Questo è lo sbocco di un processo avviato agli inizi degli anni 2000, quando Caritas chiese la personalità giuridica canonica pubblica. L'opera di rinnovamento si è realizzata in collaborazione con diversi dicasteri della Santa Sede e, in prima istanza, con la Segreteria di Stato: un lungo lavoro che sta a significare soprattutto l'importanza che Caritas Internationalis ha per la Chiesa. Giuridicamente la normativa dà una più chiara configurazione a questa confederazione e ora è in fase di applicazione. Ci conforta il fatto che si è creato un ottimo clima di collaborazione tra Cor Unum e Caritas Internationalis. E questo non può che rendere ancora più efficace l'intervento della Chiesa, nelle sue varie componenti, nelle emergenze umanitarie. Territorialmente Caritas Internationalis è suddivisa in regioni, che in sostanza corrispondono ai continenti. La nuova normativa, che prevede l'accompagnamento della confederazione anche a questo livello, consente a Cor Unum di essere maggiormente presente nelle diverse aree del mondo, e di conoscere da vicino necessità e operatori della carità. Questo è fondamentale per la missione che siamo chiamati a compiere. Devo dire di aver riscontrato un grande spirito di collaborazione ovunque mi sono recato, e di aver avuto la netta sensazione di un rinnovato slancio nell'impegno a favore dei più poveri, rafforzato dalla consapevolezza di essere un organismo della Chiesa cattolica.

Il motu proprio Intima Ecclesiae natura può essere in qualche modo considerato nel quadro di quest'opera di rinnovamento strutturale complessivo?

Il motu proprio entrato in vigore lo scorso 10 dicembre ha un'origine molto precisa. Nella Deus caritas est il Papa aveva rilevato che c'era bisogno di definire più chiaramente, dal punto di vista canonico, la responsabilità del vescovo nell'ambito dell'attività caritativa della Chiesa. Il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi aveva convocato una commissione a tale scopo, dopo che il nostro presidente emerito, il cardinale Paul Josef Cordes, aveva risollevato la questione durante un convegno di canonisti. Il motu proprio vorrebbe colmare questa lacuna giuridica. Il cuore del documento è la volontà di riaffermare la comunione ecclesiale profonda tra gli organismi di carità cattolici attraverso il vescovo e nella persona del vescovo.

Dunque una sorta di garante della carità?

Sì. Può essere definito un garante della carità, nel senso che garantisce che l'attività caritativa della Chiesa venga svolta in uno stile ecclesiale, perché la carità rientra a pieno titolo nelle dimensioni fondamentali della Chiesa come la predicazione e la liturgia. Questa ecclesialità ha molti risvolti: la collaborazione tra i diversi organismi, lo spirito di fede, l'approccio cristiano ai problemi della gente, la visione cristiana dell'uomo e dello sviluppo, la trasparenza amministrativa, l'attenzione alla scelta e alla formazione del personale, la testimonianza di sobrietà. Si è voluto, in definitiva, dare una forma giuridica, dunque esigibile, alla responsabilità del vescovo. Certo, il vescovo non può fare tutto da solo. Per questo il motu proprio sottolinea anche la responsabilità dei singoli organismi di carità, chiamati a rinnovarsi nello stile proposto dal documento. Ed è un cammino che è già iniziato. A Cor Unum è stata affidata la responsabilità dell'applicazione del documento e dell'erezione canonica degli organismi di carità internazionali. Nella pluralità delle forme giuridiche di tali organismi, la normativa contiene elementi finora per nulla scontati e si è resa necessaria anche per le nuove, grandi domande che si pongono: una su tutti, il finanziamento da terzi.

Quali sono i costi della carità?

Naturalmente ci sono costi amministrativi inevitabili. Ogni organismo ha bisogno, per esempio, di un ufficio, di attrezzature, di personale per poter operare. L'indirizzo generale è molto chiaro: contenere i costi amministrativi il più possibile.

Cosa intende per «il più possibile»?

Evidentemente non si possono stabilire tariffe, né costi standard, perché bisogna tenere sempre conto della collocazione territoriale dell'ufficio, del contesto sociale in cui si deve operare, dei livelli di vita del Paese. Quello che si è voluto stabilire è il principio della sobrietà. E devo dire che gli organismi che rientrano nella nostra sfera eccellono proprio perché i costi amministrativi sono contenuti.

Può tradurre questa sobrietà in cifre?

Tendenzialmente i costi amministrativi incidono in una proporzione quantificabile intorno al 10 per cento del budget degli organismi di carità. Ci sono organismi non cattolici, nazionali e internazionali, le cui spese amministrative raggiungono il 40 e anche il 50 per cento. In questo senso io credo che i nostri organismi siano esemplari.

Programmi per il 2013?

Menziono solo due importanti appuntamenti. Innanzitutto la nostra assemblea plenaria, in programma dal 17 al 19 gennaio su un tema di grande rilievo: «L'antropologia cristiana e la nuova etica globale». Una delle grandi sfide di fronte alle quali ci troviamo oggi è costituita da una concezione della persona promossa dagli organismi internazionali che non sempre coincide con il sentire cristiano. Lo ha accennato anche il Pontefice nel suo discorso alla Curia romana del 21 dicembre scorso. Siamo convinti che l'antropologia fondata nella rivelazione cristiana può essere una grande risorsa anche per il mondo moderno. Vogliamo perciò rilanciare la visione cristiana dell'uomo nell'attività di promozione umana. Quando ci impegniamo per lo sviluppo dobbiamo infatti chiederci: quale uomo vogliamo costruire? qual è l'obiettivo del nostro intervento? Domande fondamentali, se vogliamo capire quale potrà essere il nostro contributo dentro la comunità internazionale e per lo sviluppo dei popoli. L'altro grande appuntamento è costituito da un incontro più ristretto che si svolgerà il 4 e 5 marzo e sarà rivolto a studiosi dell'area tedesca che hanno già una certa esperienza in materia, per discutere sulla distinzione tra teologia della carità e dottrina sociale della Chiesa. È un campo abbastanza nuovo da approfondire; anche Benedetto XVI ne ha parlato in due encicliche, la Deus caritas est sul fondamento teologico dell'attività di carità e la Caritas in veritate sulla dottrina sociale. Dunque si tratta di un seminario di studi che procederà sui binari indicati dal Papa per cercare di individuare punti di attiguità e di distinzione tra le due discipline. L'una infatti riguarda direttamente una dimensione fondamentale della Chiesa in quanto tale; l'altra invece è una parola della Chiesa sulla società. Confido che sarà un dibattito fecondo, destinato a contribuire al chiarimento dell'orizzonte della nostra attività caritativa.

(©L'Osservatore Romano 5 gennaio 2013)

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