sabato 19 gennaio 2013

Non è una questione di gusto. Continua il dibattito sull'adeguamento delle chiese alla riforma liturgica (Cecchi)



Vedi anche:

"Ierotopi cristiani - Le chiese secondo il magistero", il libro di Tiziano Ghirelli

Continua il dibattito sull'adeguamento delle chiese alla riforma liturgica

Non è una questione di gusto


di Roberto Cecchi*


L'adeguamento delle chiese alla riforma liturgica voluta dal Vaticano II non è questione di gusto. È una riflessione profonda che ha come fondamento il rinnovamento della Chiesa, dove il presente s'illumina guardando al passato, come in quel dipinto di Paul Klee, l'Angelus novus, che ha il volto che guarda all'indietro, mentre corre verso il futuro.

Di questo si è discusso a Roma alla presentazione del libro di Tiziano Ghirelli, Ierotopi cristiani (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2012, pagine XXIII + 833, euro 110) all'Accademia di San Luca con il cardinale Lluís Martínez Sistach, arcivescovo di Barcellona, e Paolo Portoghesi, presidente dell'Accademia. Un volume che nasce da un'attenta riflessione sul progetto della cattedrale di Reggio Emilia; dunque, un percorso di conoscenza da tenere nella massima considerazione e rispetto, perché «attraverso la liturgia si attua l'opera della nostra redenzione», come ricorda l'autore, mentre si è alla ricerca della volontà di crescere all'insegna del binomio «sana tradizione» e «legittimo sviluppo», come sottolinea il vescovo Adriano Caprioli nell'introduzione al volume; parole del tutto simili a quelle espresse dal cardinale Lajolo, quando afferma che «la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso».
Che rapporto c'è tra quest'esigenza di rinnovamento e la tutela del patrimonio culturale? C'è contraddizione? Inutile nascondersi che fino a non troppi anni fa era difficile contemperare quest'istanza profonda di revisione con le testimonianze del passato; molti ricorderanno le discussioni sui progetti d'adeguamento liturgico del duomo di Firenze, di quello di Milano e gli attacchi nei confronti di Vangi nel duomo di Pisa.
D'altra parte, prima del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2004, la tutela era affidata a disposizioni fortemente conservative come quelle dettate dalla legge Bottai del 1939. Benemerita per tanti versi, ma troppo caratterizzata dagli aspetti estetizzanti della tutela, come l'attenzione al colore e a una certa aura di rovina. All'interno di questo quadro, la tutela finiva per rimanere legata all'artisticità, all'esaltazione dei valori della monumentalità e al ruolo taumaturgico dell'attività di restauro, nella convinzione che attraverso un percorso critico sia possibile farsi un'idea una volta per tutte della natura intrinseca di una qualsiasi opera d'arte, per poi collocarla in una fissità che non prevede deroghe.
È ovvio che questa visione della tutela non poteva che collidere con qualsiasi innovazione, anche se la dottrina aveva preso abbastanza presto le distanze da tutto ciò, a partire dagli esiti del lavoro della Commissione Franceschini del 1967.
Lì, per esempio, si era voluto metter d'un canto la nozione di “monumento” per tutto quello che di negativo porta con sé, «viene cancellata in radice la nozione tradizionale del cosiddetto monumento nazionale come un qualcosa in sé astratto e avulso da quanto lo circonda.
Con l'inserirlo nel contesto ambientale è invece del “monumento” (e proprio attraverso la modulazione con quanto gli è vicino) riaffermata e garantita la vitalità continua e quindi sempre attuale, espressione del suo valore primo di testimonianza storica».
Oggi si parla di tutela in maniera diversa. E lo si fa attraverso il Codice del 2004 che detta principi molto più vicini alla nostra attuale sensibilità, come quando discute di restauro: «Per restauro si intende l'intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all'integrità materiale e al recupero del bene medesimo, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali».
Una definizione fortemente innovativa, rispetto al più generico richiamo alle “cose” di cui parlava la legge del 1939, che tende ad ancorarsi ai principi della “cultura” e della “civiltà”, piuttosto che a quelli connessi all'esteriorità.
Così, l'accezione di bene culturale non è più traguardata solo attraverso quel pregio estetico che caratterizzava la legge Bottai e che gli dava quel sapore vagamente elitario; ora, il bene culturale viene visto come il tramite della capacità di produrre storia. L'oggetto della tutela è la storia, è il documento, è la memoria e cioè la «testimonianza materiale avente valore di civiltà».
Quindi, il valore documentario storico-antropologico come prodotto delle culture che si sono succedute nel tempo; non un'opera compiuta in sé, ma in continua sovra-scrittura e stratificazione. In questa visione ogni testimonianza ha piena legittimità e il nuovo ha piena dignità. Quella dignità di cui già parlava Camillo Boito in alcuni versetti, per certi aspetti molto attuali: «Serbar io devo ai vecchi monumenti l'aspetto, il venerando e pittoresco; e se a scansare aggiunte o compimenti con tutto il buon volere non riesco, fare devo che ognun discerna esser l'opera mia tutta moderna».

*Sottosegretario di Stato del Ministero italiano per i Beni e le Attività Culturali


(©L'Osservatore Romano 20 gennaio 2013)

4 commenti:

Andrea ha detto...

Tradotto: la Massoneria (Stato Italiano) prima (XIX secolo) ha sottratto le chiese alla Chiesa, trasformandole in "monumenti"; poi (fine XX secolo) ha cestinato la nozione di "monumento", in modo che il "restauro" dello stesso possa diventare occasione per la trasformazione della chiesa/casa di Dio in chiesa/spazio pubblico modellato dall'astrattismo.

L'"Osservatore" pubblica volentieri, andando in senso opposto allo "Spirito della liturgia" delineato dal Papa.

Vedi il commento a "Ierotopi.." (??) scritto da F.Colafemmina su Fides et Forma

Gianpaolo1951 ha detto...

Bella accoppiata...
Tiziano Ghirelli e Roberto Cecchi:
Il gatto e la volpe!
Ma adeguamento a che?!?
Qui vedo solo distruzione di vecchi altari, per lasciar spazio al vuoto e al nulla!...
Mi zittisco da solo per non essere censurato!…
Lascio la parola al buon Francesco Colafemmina:
http://fidesetforma.blogspot.it/2013/01/la-penosa-storia-di-mons-ghirelli-e-dei.html

Anonimo ha detto...


http://fidesetforma.blogspot.it/2013/01/la-penosa-storia-di-mons-ghirelli-e-dei.html

http://fidesetforma.blogspot.it/p/adeguamenti-liturgici.html

giò ha detto...

Cara Raffaella,

anch'io vorrei proporre alla tua attenzione il post di Francesco Colafemmina sul libro "Ierotopi cristiani: le chiese secondo il magistero". Temo infatti che esso col magistero abbia poco o nulla a che spartire!

Giovanni

http://fidesetforma.blogspot.it/2013/01/la-penosa-storia-di-mons-ghirelli-e-dei.htm