giovedì 17 gennaio 2013

Nota sulla libertà e sulla autonomia istituzionale della Chiesa Cattolica (O.R.)


La libertà e l'autonomia istituzionale della Chiesa

Pubblichiamo in una nostra traduzione italiana il testo della nota sulla libertà e sulla autonomia istituzionale della Chiesa cattolica presentata dalla rappresentanza permanente della Santa Sede presso il Consiglio d'Europa in occasione dell'esame dei casi Sindicatul «Pastorul cel Bun» contro la Romania n° (2330/09) e Fernández-Martínez contro la Spagna (n° 56030/07) da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo.

La dottrina della Chiesa cattolica relativa agli aspetti della libertà religiosa interessati dai due casi sopra menzionati può essere, in sintesi, presentata come fondata sui quattro seguenti principi: 1) la distinzione tra la Chiesa e la comunità politica; 2) la libertà rispetto allo Stato; 3) la libertà all'interno della Chiesa; 4) il rispetto dell'ordine pubblico giusto.

1. La distinzione tra la Chiesa e la comunità politica

La Chiesa riconosce la distinzione tra la Chiesa e la comunità politica che hanno, l'una e l'altra, finalità diverse; la Chiesa non si confonde in alcun modo con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico. La comunità politica deve vegliare sul bene comune e fare in modo che, su questa terra, i cittadini possano condurre una «vita calma e tranquilla. La Chiesa riconosce che è nella comunità politica che si trova la realizzazione più completa del bene comune» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1910). Inteso come «l'insieme delle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente» (ibidem, n. 1906). Spetta allo Stato difenderlo e garantire la coesione, l'unità e l'organizzazione della società affinché il bene comune sia realizzato con il contributo di tutti i cittadini, e rendere accessibili a ognuno i beni necessari -- materiali, culturali, morali e spirituali -- per un'esistenza veramente umana. Quanto alla Chiesa, questa è stata fondata per condurre i fedeli, attraverso la sua dottrina, i suoi sacramenti, la sua preghiera e le sue leggi, al loro destino eterno.
Questa distinzione si fonda sulle parole di Cristo «Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Matteo, 22, 21). La comunità politica e la Chiesa, ognuna nel campo che le è proprio, sono indipendenti l'una dall'altra e autonome. Quando si tratta di ambiti il cui fine è insieme spirituale e temporale, come il matrimonio o l'educazione dei figli, la Chiesa ritiene che il potere civile debba esercitare la propria autorità facendo attenzione a non nuocere al bene spirituale dei fedeli. La Chiesa e la comunità politica non possono però ignorarsi reciprocamente; a titolo diverso, sono a servizio degli stessi uomini. Esse eserciteranno tanto più efficacemente questo servizio per il bene di tutti quanto più ricercheranno tra di loro una sana cooperazione, secondo l'affermazione del concilio Vaticano II (cfr. Gaudium et spes, n. 76).
La distinzione tra la Chiesa e la comunità politica viene garantita dal rispetto della loro autonomia reciproca, la quale condiziona la loro mutua libertà. I limiti di questa libertà sono, per lo Stato, astenersi dall'adottare misure atte a nuocere alla salvezza eterna dei fedeli e, per la Chiesa, rispettare l'ordine pubblico.

2. La libertà nei confronti dello Stato

La Chiesa non rivendica alcun privilegio, ma il pieno rispetto e la tutela della sua libertà di compiere la propria missione all'interno di una società pluralista. Questa missione e questa libertà la Chiesa le ha ricevute insieme da Gesù Cristo e non dallo Stato. Il potere civile deve pertanto rispettare e tutelare la libertà e l'autonomia della Chiesa e non impedirle in alcun modo di compiere integralmente la sua missione, che consiste nel condurre i fedeli, attraverso la sua dottrina, i suoi sacramenti, la sua preghiera e le sue leggi, al loro destino eterno.
La libertà della Chiesa deve essere riconosciuta dal potere civile in tutto ciò che concerne la sua missione, sia che si tratti dell'organizzazione istituzionale della Chiesa (scelta e formazione dei collaboratori e dei chierici, scelta dei vescovi, comunicazione interna tra la Santa Sede, i vescovi e i fedeli, fondazione e governo d'istituti di vita religiosa, pubblicazione e diffusione di scritti, possesso e amministrazione di beni temporali…), sia che si tratti del compimento della sua missione tra i fedeli (soprattutto attraverso l'esercizio del suo magistero, la celebrazione del culto, l'amministrazione dei sacramenti e la sollecitudine pastorale).
La religione cattolica esiste nella e attraverso la Chiesa che è il corpo mistico di Cristo. Nel considerare la libertà della Chiesa, un'attenzione particolare deve essere rivolta alla sua dimensione collettiva: la Chiesa è autonoma nel suo funzionamento istituzionale, nel suo ordine giuridico e nella sua amministrazione interna. Fatti salvi gli imperativi dell'ordine pubblico giusto, questa autonomia deve essere rispettata dalle autorità civili; è una condizione della libertà religiosa e della distinzione tra la Chiesa e lo Stato. Le autorità civili non possono, a meno di commettere abusi di potere, interferire in questo ambito religioso, per esempio pretendendo di riformare una decisione del vescovo relativa a una nomina in una funzione.

3. La libertà all'interno della Chiesa

La Chiesa non ignora che alcune religioni e ideologie possono opprimere la libertà dei loro fedeli; quanto a essa, tuttavia, la Chiesa riconosce il valore fondamentale della libertà umana. La Chiesa vede in ogni persona una creatura dotata di intelligenza e di libera volontà. La Chiesa si concepisce come uno spazio di libertà ed essa prescrive delle norme destinate a garantire il rispetto di questa libertà. Così, tutti gli atti religiosi, per essere validi esigono la libertà del loro autore. Presi nel loro insieme e al di là del loro significato proprio, questi atti compiuti liberamente mirano a far accedere alla “libertà dei figli di Dio”. Le relazioni mutue nel seno della Chiesa (per esempio il matrimonio e i voti religiosi pronunciati davanti a Dio) sono governati da questa libertà.
Questa libertà è dipendente dalla verità («la verità vi renderà liberi», Giovanni, 8, 32): ne risulta che essa non può essere invocata per giustificare un attentato alla verità. Così, un fedele laico o religioso non può, nei confronti della Chiesa, invocare la sua libertà per contestare la fede (per esempio prendendo posizioni pubbliche contro il Magistero) o per recare danno alla Chiesa (per esempio creando un sindacato civile di preti contro la volontà della Chiesa). È vero che ogni persona dispone della facoltà di contestare il Magistero o le prescrizioni e le norme della Chiesa. In caso di disaccordo, ogni persona può esercitare i ricorsi previsti dal diritto canonico e addirittura rompere le proprie relazioni con la Chiesa. Tuttavia, poiché le relazioni nel seno della Chiesa sono di natura essenzialmente spirituale, non compete allo Stato di entrare in questa sfera e di risolvere tali controversie.

4. Il rispetto dell'ordine pubblico giusto

La Chiesa non chiede che le comunità religiose siano delle zone di “non diritto” nelle quali le leggi dello Stato cesserebbero di applicarsi. La Chiesa riconosce la competenza legittima delle autorità e giurisdizioni civili per assicurare il mantenimento dell'ordine pubblico, dovendo quest'ultimo rispettare la giustizia. Così, lo Stato deve assicurare il rispetto da parte delle comunità religiose della morale e dell'ordine pubblico giusto. Esso si preoccupa in particolare che le persone non siano sottoposte a trattamenti disumani o degradanti, così come del rispetto della loro integrità fisica e morale, compresa la loro capacità di lasciare liberamente la loro comunità religiosa. È là il limite dell'autonomia delle diverse comunità religiose che permette di garantire la libertà religiosa, tanto individuale quanto collettiva e istituzionale, nel rispetto del bene comune e della coesione delle società pluraliste. Al di fuori di questi casi, spetta alle autorità civili di rispettare l'autonomia delle comunità religiose, in virtù della quale esse devono essere libere di funzionare e di organizzarsi secondo le loro proprie regole.
A questo proposito, deve essere richiamato il fatto che la fede cattolica è totalmente rispettosa della ragione. I cristiani riconoscono la distinzione tra la ragione e la religione, tra gli ordini naturale e soprannaturale, e pensano che “la grazia non distrugge la natura”, cioè che la fede e gli altri doni di Dio non rendono inutili né ignorano la natura umana e l'uso della ragione, ma al contrario incoraggiano questo uso. Il cristianesimo, diversamente da altre religioni, non comporta prescrizioni religiose formali (alimentari, di abbigliamento, mutilazioni, e così via) suscettibili eventualmente di urtare la morale naturale e di entrare in conflitto con il diritto di uno Stato neutro sul piano religioso. D'altronde, Cristo ha insegnato a superare queste prescrizioni religiose puramente formali e a sostituirle con la legge viva della carità, una legge che, nell'ordine naturale, riconosce alla coscienza il compito di distinguere il bene dal male. Così, la Chiesa cattolica non saprebbe imporre alcuna prescrizione contraria alle giuste esigenze dell'ordine pubblico.

(©L'Osservatore Romano 17 gennaio 2013)

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