Donne e Vaticano II in un libro promosso dal Coordinamento teologhe italiane
Ma la storia non si scrive con le rivendicazioni
di Lucetta Scaraffia
Grazie all'impegno del Coordinamento teologhe italiane -- che ha realizzato un convegno e il volume Tantum aurora est. Donne e concilio Vaticano II -- l'anniversario dei cinquant'anni dall'apertura dei lavori del concilio è stato ricordato soprattutto per la presenza, nelle sue ultime sessioni, di uditrici donne, laiche e religiose. Si può considerare decisamente un buon risultato, dal momento che fino a oggi questa presenza sembrava dimenticata, così come appariva dimenticato, più in generale, il legame fra il Vaticano II e una più qualificata presenza delle donne nella vita della Chiesa cattolica.
Il libro centrato sulla questione “donne e concilio” comprende una prima parte storica, dedicata alle uditrici -- oppure alle donne che hanno vegliato alle porte dell'assemblea, seguendone con attenzione e passione le vicende, come Angelina Alberigo o la “piccola sorella” suor Magdeleine -- e alle prime teologhe che hanno preparato la discussione, inizialmente non prevista, di molti problemi. La seconda parte, di impronta più teorica, affronta i testi conciliari letti alla luce della questione femminile, e soprattutto il tema dell'ordinazione delle donne al diaconato e al presbiterato.
I saggi storici -- soprattutto quello di Caterina Ciriello sul contributo alla trasformazione della vita consacrata femminile -- sono ricchi di elementi importanti per comprendere la presenza delle donne nelle riunioni conciliari, e l'influenza che questa straordinaria esperienza ha avuto successivamente nelle loro vite. Molto importante è anche il saggio di Nicoletta Camozza sulle prime teologhe, tedesche perché proprio in Germania le donne hanno avuto per la prima volta la possibilità di iscriversi alle facoltà di teologia. Saranno loro -- le prime esponenti della teologia femminista -- ad avanzare ai padri conciliari concrete richieste di partecipazione e di riconoscimento nella vita della Chiesa, toccando ovviamente il nodo dell'ordinazione delle donne. In conclusione, è stato il nuovo ruolo aperto dal Vaticano II ai laici a favorire la presenza femminile nell'apostolato, con risultati molto positivi.
I saggi della seconda parte, quella teologica, e in particolare il testo di Serena Noceti, sono finalizzati a giustificare, dal punto di vista teorico, un ampliamento del ruolo della donna nella Chiesa accompagnato da un riconoscimento istituzionale, fino ad arrivare anche al presbiterato. Anche se questo tema viene considerato come un dibattito mancato nelle assise conciliari (e non solo per assenza di voci femminili), a eccezione dell'intervento del vescovo di Atlanta, Paul Hallinan. Noceti chiede soprattutto che «nella Chiesa si inauguri una stagione di partecipazione e corresponsabilità analoga a quella che la società civile, in particolare in Occidente, sta vivendo».
Alla fine della lettura, peraltro molto interessante, si rimane con l'impressione che si sia parlato soprattutto in negativo, di quello che si doveva fare e non è stato fatto, e con l'idea, per di più, che anche i pochi passi in avanti siano stati cancellati, negli ultimi anni, dal “femminismo cattolico” proposto da Wojtyła con la Mulieris dignitatem. È un punto di vista questo che si spiega con il fatto che il libro non comprende nessun autore che esamini il periodo da una prospettiva diversa, meno partigiana e più storica.
Il costante rimprovero al Vaticano II per l'assenza di voci femminili sembra dimenticare che, nei primi anni Sessanta, erano ben poche le istituzioni dove le voci di donne avevano peso, o anche solo erano presenti: per questo motivo, l'apertura alle uditrici fu un gesto coraggioso, anche se oggi appare ovviamente scontato e insufficiente.
Un altro limite dei saggi è quello di occuparsi solo della produzione intellettuale, della presenza culturale, dimenticando il fatto che le donne nella Chiesa hanno segnato nei fatti un vero e proprio percorso di emancipazione già nel corso dell'Ottocento, con le fondatrici delle congregazioni femminili di vita attiva. Dimenticando per esempio Teresa Eustochio Verzeri, una delle prime fondatrici, che con la sua insistenza ha ottenuto da Pio IX la revoca del provvedimento che impediva alle donne di essere superiore generali e di amministrare le proprie congregazioni; dimenticando che le prime donne a laurearsi in Italia sono state le suore marcelline fondate a Milano da Marina Videmari, che le prime comboniane a fine Ottocento percorrevano il Sahara sui cammelli, mentre Francesca Cabrini attraversava ventisette volte l'Atlantico. Tutte cose che le donne laiche loro contemporanee non si sognavano neppure di tentare. E non si parla del movimento fondato da Chiara Lubich, che riesce a trovare un riconoscimento ufficiale aprendo le porte a un protagonismo femminile non rivendicativo, ma molto importante nella realtà vissuta e simbolica.
La storia non si fa solo con i testi scritti né certo si scrive con le rivendicazioni, ma anche dimostrando che si è capaci di prendersi delle responsabilità come gli uomini, e di sostenerle sino alla fine con successo. E nella storia della Chiesa sono molte le donne che lo hanno dimostrato.
Questa disattenzione alla storia -- anche alla storia generale che si muove al di fuori della Chiesa, quella che oggi vede in crisi la rivoluzione delle donne e la rivoluzione sessuale che l'ha aiutata e in un certo senso anche limitata -- non permette di cogliere il vero significato del rifiuto all'ordinazione alle donne. Oggi, il sacerdozio è rimasto l'unica “professione” non permessa alle donne, di fatto l'unico ostacolo al fatto che la nostra società diventi totalmente neutra, cioè non rispetti più la differenza costitutiva fra maschile e femminile, quella che permette la procreazione e la continuità di un gruppo sociale. In questo rifiuto della Chiesa si può quindi vedere un compito profetico: quello di salvare l'umanità da se stessa, dal grave errore che sta commettendo nel cancellare la differenza costitutiva dell'umano, rendendo uomini e donne totalmente sostituibili.
Ma non si può dimenticare che si sarebbe più propensi a leggere il divieto dell'ammissione delle donne al sacerdozio ordinato in questa accezione positiva se poi le donne stesse, nella Chiesa, venissero riconosciute veramente per quello che fanno e offrono, accedendo anche a ruoli di maggiore responsabilità. Non limitando il loro apporto a compiti spesso solo esecutivi.
(©L'Osservatore Romano 18 gennaio 2013)
Nessun commento:
Posta un commento