sabato 12 gennaio 2013

Il cardinale Antonio Maria Vegliò parla della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato (Gori)

Il cardinale Antonio Maria Vegliò parla della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato

Integrazione e rispetto per vincere la paura dell'altro


di Nicola Gori


La chiusura delle frontiere non è una risposta all'immigrazione clandestina, perché favorisce il contrabbando e la tratta delle persone. Lo ribadisce il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, invitando a ricercare soluzioni che tengano conto delle «varie necessità» e del «rispetto dei diritti» delle persone coinvolte, in particolare dei più deboli. In questa intervista al nostro giornale -- alla vigilia della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebra domenica 13 gennaio -- il porporato denuncia anche la drammatica situazione dei profughi della Siria, il cui numero già elevato (oltre mezzo milione) è destinato a raddoppiare nel giro di pochi mesi. E richiama i media alle loro responsabilità nell'orientare l'opinione pubblica di fronte al fenomeno dell'immigrazione, invitandoli in particolare a non alimentare atteggiamenti di paura o di criminalizzazione delle persone.


Parlando di migranti e rifugiati, il pensiero corre subito all'emergenza umanitaria in Siria che spinge migliaia di persone a sfuggire alla guerra e alle persecuzioni per cercare ospitalità nei Paesi limitrofi. Qual è la situazione allo stato attuale?


La situazione in Siria è davvero desolante, «dilaniata da continui massacri e teatro di inumane sofferenze tra la popolazione civile», come ha detto il Papa nel discorso al corpo diplomatico, lunedì scorso, 7 gennaio. Basti pensare a come stia aumentando il numero delle persone che fuggono dal Paese in cerca di rifugio: a maggio 2012 i rifugiati erano 70.000 e alla fine dell'anno 525.000. In Siria sono già 4 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza. Le aspettative per il prossimo futuro non sono positive. Purtroppo, si prevede un raddoppio del numero dei rifugiati, che saranno circa un milione a metà di quest'anno. È per questo che le diverse agenzie delle Nazioni Unite hanno lanciato un appello per un nuovo finanziamento congiunto di un miliardo di dollari, volto a coprire le esigenze per la cura e la protezione del milione di rifugiati previsti per i prossimi sei mesi in Siria.


Qual è la risposta della comunità internazionale?


I Paesi circostanti mostrano ancora ospitalità e consentono l'accesso ai rifugiati siriani nel loro territorio, ma i numeri sono in qualche modo immensi. All'inizio di quest'anno, i dati ufficiali parlano di 175.000 rifugiati in Giordania, 185.000 in Libano, 150.000 in Turchia, 70.000 in Iraq e 13.000 in Egitto, anche se molto probabilmente i numeri reali sono molto più alti. Il finanziamento per gli ultimi sei mesi ammontava a circa il 52 per cento del denaro richiesto. Ciò significa che anche i Paesi europei devono assumersi le loro responsabilità. Essi hanno firmato la Convenzione sui rifugiati del 1951, che comporta l'offerta di solidarietà e la condivisione dell'onere finanziario, ma anche l'apertura dei confini del Paese a coloro che cercano asilo.


Il messaggio del Papa per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2013 è dedicato al tema «Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza». Perché si fa riferimento proprio alla fede e alla speranza?


Nel rispondere a questa domanda, penso sia più opportuno porre l'accento sulla parola pellegrinaggio. Il motivo risiede nel concetto di pellegrinare, che fondamentalmente è la scelta di intraprendere un cammino verso una meta migliore. L'uomo è stato creato da Dio come un essere buono, e questo desiderio di pellegrinare verso la bontà, sia nel credente che nel non credente, sta alla base delle sue scelte, e delle decisioni e direzioni che prende durante la sua vita. Tendere al bene comporta in sé, come qualcosa di naturale, sentimenti di fede e di speranza, nell'auspicio che in questo viaggio si possa trovare ciò a cui il cuore anela. Questo vale anche per l'ambito della migrazione. Dal momento in cui nei migranti e nei rifugiati nasce il desiderio di una vita migliore, unito spesso alla ricerca di lasciarsi alle spalle la disperazione per un futuro quasi impossibile da costruire nella situazione corrente, allora, come nota il Papa nel messaggio, «fede e speranza formano un binomio inscindibile nel cuore». Il viaggio, anzi, il pellegrinaggio di molti migranti e rifugiati è animato dalla profonda fiducia che Dio non li abbandonerà e questo conforto di bontà e di Provvidenza rende più tollerabili le difficoltà che la migrazione inevitabilmente porta con sé.


Secondo le statistiche più recenti, un settimo della popolazione mondiale sperimenta la migrazione. Quali sono oggi le principali ragioni sociali, economiche e culturali alla base di questo fenomeno?


Reinterpretando le statistiche, possiamo dire che un settimo della popolazione mondiale corrisponde a circa un miliardo di esseri umani che stanno vivendo l'esperienza migratoria. Infatti, secondo il rapporto mondiale del 2011 sulle migrazioni, stilato dall'Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim), sono stati stimati a circa 214 milioni i migranti internazionali e a circa 740 milioni quelli interni nel 2010. Sommando le due cifre, sono circa un miliardo le persone coinvolte. È un numero che certamente può stupire e fa riflettere sul fenomeno impressionante delle migrazioni, per la quantità enorme delle persone coinvolte. Per quanto riguarda poi le principali ragioni alla base di questo vasto fenomeno, non è semplice dare una risposta esauriente. Infatti, non basta dire che le ragioni principali sono da attribuire alla crisi mondiale, o ai cataclismi naturali, a guerre civili o a problemi politici. Le ragioni variano e dipendono dai criteri che usiamo per le nostre valutazioni. Per rispondere, quindi, alla domanda rimando ai diversi rapporti pubblicati l'anno scorso da organizzazioni orientate specificamente alla migrazione, e che offrono un'analisi dettagliata delle ragioni alla base del fenomeno migratorio. Dal punto di vista cristiano, penso sia importante non distogliere mai lo sguardo da ciascun volto e da ciascuna persona coinvolta. Ogni migrante ha la sua storia, ed «è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione», come afferma la Gaudium et spes al numero 62. È rischioso adottare una visione generale perdendo di vista ogni singolo individuo.


Il Papa nel messaggio individua due modi di intervento complementari a favore dei migranti: uno immediato per risolvere le emergenze e uno più impegnativo, che cerca di trovare i modi e le risorse per integrare i rifugiati nel nuovo contesto. Come rendere concreta questa indicazione?


L'integrazione è un processo a doppio senso e coinvolge non solo il migrante o il rifugiato, ma anche la società. Il successo dell'integrazione non dipende solo dall'impegno effettivo del migrante o del rifugiato, ma dall'atteggiamento di apertura della società di accoglienza. Un aspetto importante dell'integrazione è l'intimo sentimento di accettazione del migrante e del rifugiato da parte della comunità, che di conseguenza lo fa sentire accolto. Il processo di integrazione è lungo e coinvolge questioni socio-economiche -- alloggio, lavoro, istruzione, social network -- così come aree socio-culturali. Ciò comporta partecipazione e qualità di interazioni sociali nei settori civili, culturali e politici. Vi è poi una particolare attenzione al comportamento delle società di accoglienza, dei loro cittadini, delle strutture e delle organizzazioni. Inoltre, l'istruzione e l'apprendimento della lingua sono elementi fondamentali per un'integrazione di successo. Per questo, le diverse dimensioni dell'integrazione sono correlate tra loro e i risultati raggiunti in un ambito rafforzeranno gli altri.


Pensa che i mezzi di comunicazione sociale siano in grado di rappresentare in modo obiettivo le cause e la realtà del fenomeno dei rifugiati?


Certamente credo che questo sia possibile ed è una grande responsabilità. I mezzi di comunicazione sociale orientano l'opinione pubblica e la forma mentis delle persone. La questione da sollevare è il modo in cui vengono ritratte le persone che fuggono dalla persecuzione, dalla violenza o dalle violazioni dei diritti umani, con le loro scarse possibilità di scelte alternative. I mass media cercano davvero di sensibilizzare sui motivi che spingono le persone a fuggire o tentano forse di strumentalizzare la paura con un linguaggio capace di diffondere sentimenti negativi, che li pone in cattiva luce o addirittura li criminalizza? Mi riferisco a come vengono formulati i messaggi e utilizzate, per esempio, le parole “clandestino” e “irregolare”. Anche se queste descrivono la stessa realtà, hanno un significato diverso. L'una criminalizza la persona, l'altra la qualifica al di fuori della legge. I media ritraggono i rifugiati come persone o li presentano come un pericolo?


Un'area molto delicata, dove i flussi migratori sono influenzati dall'appartenenza religiosa, è il Medio Oriente. Il dialogo tra le diverse religioni può contribuire a creare una convivenza pacifica?


Le religioni hanno la possibilità di lavorare insieme per il bene comune. Esse incoraggiano i singoli, le comunità e le organizzazioni ad aiutare chi è nel bisogno e a salvare chi è in pericolo. Questo è diventato ancor più evidente lo scorso dicembre, quando le comunità religiose si sono riunite a Ginevra per discutere il loro ruolo nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Il tema era la fede e la protezione. Esso sottolinea la ricerca di soluzioni durature, di accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, nonché la cooperazione tra organizzazioni d'ispirazione religiosa e l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). La maggior parte delle religioni, come il cristianesimo, il giudaismo, l'islam, l'induismo e il buddismo, condividono valori che sono d'importanza fondamentale per la protezione delle persone. Esse contribuiscono a creare una disposizione favorevole nei confronti degli stranieri e dei rifugiati in seno alle comunità. Questa è anche una collaborazione ecumenica. Lo stesso si può dire circa il loro impegno per evitare conflitti. Anche in luoghi, come per esempio la Nigeria, dove i gruppi radicali tentano di contrapporre fra loro le persone di religioni diverse, i leader di organizzazioni cattoliche e islamiche stanno collaborando per evitare questo e per portare risposte pacifiche. Il fanatismo va condannato. Tornando alla situazione in Medio Oriente, desidero citare l'appello per il Libano fatto dal Papa al corpo diplomatico il 7 gennaio scorso: «La pluralità delle tradizioni religiose sia una vera ricchezza per il Paese, come pure per tutta la regione, e i cristiani offrano una testimonianza efficace per la costruzione di un futuro di pace con tutti gli uomini di buona volontà!».


Le tragedie dell'immigrazione clandestina, che continuano a susseguirsi con il loro carico di dolore e di morte, ripropongono la necessità di una maggiore cooperazione tra gli Stati per trovare un punto di equilibrio tra regolamentazione dei flussi migratori e assistenza umanitaria che va comunque garantita. Quali sono le strade da percorrere?


Le migrazioni cosiddette miste sono un fenomeno mondiale. Si registrano nel mar Mediterraneo, nel golfo di Aden, per le strade verso il Sud Africa, o attraverso il deserto latinoamericano verso gli Stati Uniti. Già nel 2006, un piano d'azione in dieci punti venne messo a punto e poi ulteriormente sviluppato dall'Unhcr con altri partner per regolarizzare l'ingresso dei flussi migratori misti, composti da richiedenti asilo e da migranti. Essi si muovono fianco a fianco sulle stesse rotte, utilizzando mezzi di trasporto o ricorrendo ai servizi di contrabbandieri di persone. Queste diverse categorie umane hanno bisogno di essere trattate secondo le loro varie necessità e nel rispetto dei loro diritti. I migranti irregolari devono ricevere un trattamento differente dai richiedenti asilo irregolari, mentre specifiche attenzioni vanno rivolte ai bambini, alle vittime di tratta o alle persone con disabilità fisiche e mentali. Ciò naturalmente implica un approccio individuale e uno screening per determinare le esigenze di protezione. Questo metodo ha anche conseguenze sulla ricerca di soluzioni per i richiedenti asilo e i rifugiati, e sulle modalità di rimpatrio per i migranti.


La chiusura delle frontiere può essere una soluzione?


La chiusura delle frontiere non è una soluzione contro l'immigrazione mista, ma incentiva il contrabbando delle persone. La mancanza di possibilità di sostentamento è una delle ragioni che spingono a questo tipo di migrazione. L'introduzione di programmi per una migrazione legale potrebbe facilitare l'ingresso regolare dei migranti, rispondendo alle richieste del mercato del lavoro e alle diverse esigenze. Ciò consente ai lavoratori migranti di accedere alla previdenza sociale, nonché ad altri servizi e strutture che garantiscono il rispetto dei loro diritti umani. Un'altra soluzione, molto auspicabile e direi ideale, sarebbe quella di assistere i Paesi di origine e di promuovere al loro interno un autentico sviluppo umano, con condizioni di vita dignitose per tutti i suoi cittadini. Come Benedetto XVI scrisse nella sua lettera al cancelliere tedesco, il 16 dicembre 2006, «per i Paesi poveri bisognerebbe creare e garantire, in modo affidabile e duraturo, condizioni commerciali favorevoli che, soprattutto, includano un accesso ampio e senza riserve ai mercati. Inoltre, i Paesi industrializzati devono essere consapevoli degli impegni che hanno assunto nell'ambito degli aiuti allo sviluppo e assolverli pienamente». Infatti, ogni individuo ha diritto sì a emigrare, ma prima di questo vi è il diritto di rimanere nella propria patria. Nel suo messaggio il Papa ha riaffermato questo diritto a non emigrare, «cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra». Quello di vivere nella propria patria, infatti, è un diritto primario, che «diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all'emigrazione».


(©L'Osservatore Romano 12 gennaio 2013)

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