sabato 12 gennaio 2013

Nessuna alleanza fra religione e violenza. Il rabbino Bernheim e il filosofo Lévy per il cinquantesimo anniversario del Centre communautaire de Paris (O.R.)

Il rabbino Bernheim e il filosofo Lévy per il cinquantesimo anniversario del Centre communautaire de Paris

Nessuna alleanza fra religione e violenza

Parigi, 10. Martedì sera il grande anfiteatro della Sorbona ha aperto le sue porte per l'inizio delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario del Centre communautaire de Paris, spazio culturale divenuto punto di riferimento per tutti coloro che, nella capitale francese, desiderano approfondire la conoscenza della lingua e della cultura ebraica. Dopo i saluti di David de Rothschild, presidente della Fondazione per la memoria della Shoah, e i discorsi di François Weil, rettore dell'Accademia di Parigi nonché cancelliere delle Università di Parigi, e di Edmond Elalouf, presidente del Centro comunitario di Parigi, hanno portato i loro messaggi di auguri i presidenti del Fondo sociale ebraico unificato, Pierre Besnainou, dell'Alleanza israelitica universale, Marc Eisenberg, del Concistoro centrale, Joël Mergui, e del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia, Richard Prasquier. Ma è stato il dibattito intitolato La spiritualité face à la violence et la terreur. Penser le religieux au XXI siècle ad animare la serata, grazie agli interventi del gran rabbino di Francia, Gilles Bernheim, e del filosofo Bernard-Henri Lévy.
«Nell'epoca attuale -- si legge nella presentazione dell'incontro -- non si dovrebbe parlare di spiritualità, di fede, del fatto religioso senza una riflessione sui legami assai complessi fra il pensiero religioso del nostro tempo e le tentazioni violente che si esprimono attraverso la guerra, le rivoluzioni, il terrorismo, le persecuzioni. Si manifestano oggi, contemporaneamente, un rinascimento del religioso e una recrudescenza delle pulsioni mortifere estreme. Il pensiero contemporaneo non dovrebbe eludere la domanda cruciale suscitata da questa congiunzione inattesa. Quale può essere la risposta dei filosofi, dei teologi, degli storici, degli psicanalisti, dei sociologi, a questo interrogativo? La strana alleanza del sacro con la violenza, descritta nelle società più arcaiche del pianeta, si esprime ai nostri giorni sotto volti inquietanti. Esiste -- ci si chiede -- un antidoto tale da consentire a una spiritualità sana e rinnovata di superare questa minaccia fatale che pesa sul nostro futuro?». La Francia è stata colpita l'anno scorso dalla strage di Tolosa (un insegnante, i suoi due figli e un'altra bambina uccisi davanti a una scuola ebraica da un giovane estremista islamico di origini algerine) e si trova quotidianamente a fronteggiare atti più o meno gravi di antisemitismo e antisionismo. Bernheim e Lévy hanno dibattuto -- informa sul sito on line la Comunità ebraica di Roma -- «sul ruolo delle istituzioni ebraiche francesi, le quali si fanno sempre più carico di veicolare un'informazione corretta e di permettere ai giovani di affrontare preparati interlocutori sempre insidiosi».
Bernheim e Lévy, un uomo di fede e un pensatore laico, condividono la convinzione, ereditata dal filosofo Emmanuel Lévinas, che bisogna tradurre la saggezza biblica in “greco”, la sola maniera, si legge sul sito di Bernard-Henri Lévy, per far cogliere ai contemporanei, ebrei e non ebrei, la pertinenza del messaggio di Israele. Se «conoscere Dio significa ciò che occorre fare», se «l'etica non è il corollario della visione di Dio ma la visione stessa», se «il pio è il giusto», come scriveva Lévinas, allora la riflessione sulla “strana alleanza” fra sacro e violenza può solo sollevare scandalo. In un'epoca caratterizzata dal confronto fra civiltà -- ha affermato il gran rabbino di Francia in una recente intervista a «La Croix» -- la questione è di sapere se le religioni sono capaci di diventare una forza di pace piuttosto che una fonte di conflitti. La risposta a questa domanda «dipende strettamente dal posto che le differenti fedi e culture concedono all'“altro”, a quello che non ci somiglia, a quello la cui appartenenza, colore o credo differisce dai nostri. Cosa vediamo in questo “altro”? Una minaccia per la nostra fede e il nostro modo di vivere o piuttosto un arricchimento per l'eredità dell'intera umanità?». Dal canto suo Lévy ha dedicato una parte importante del proprio lavoro all'analisi del totalitarismo e del fondamentalismo religioso. E in passato non ha mancato di esprimere il suo sostegno ai cristiani, i quali, ha dichiarato lui stesso, «formano su scala planetaria la comunità più costantemente, violentemente e impunemente perseguitata».
Il Centro comunitario di Parigi è sorto con la missione di diventare il contenitore privilegiato per ospitare e offrire progetti e programmi indistintamente a tutti gli ebrei. Le oltre cento attività spaziano dai corsi di Talmud Torah al coro, dall'esame psicometrico per accedere alle università israeliane alle conferenze settimanali in orari pomeridiani, preserali e serali (nel passato ha ospitato oratori quali Moshé Dayan, Abba Eban, Nahoum Goldmann, Jacques Attali, Raymond Aron e Golda Meïr). Nato in boulevard Poissonnière all'indomani della guerra, della Shoah e delle grandi migrazioni sefardite dal Nord Africa, la struttura -- spiega la Comunità ebraica di Roma -- ha conosciuto uno sviluppo straordinario grazie all'apporto del Fonds social juif unifié, la cui opera umanitaria si è rafforzata nel fornire aiuti concreti a tutti gli ebrei francesi che per motivi di età, salute, disagio sociale ed economico si rivolgono al Centro; da tredici anni nella grande sede di rue La Fayette ospita anche una grande sinagoga sefardita. Per il “giubileo” dei cinquant'anni, il Centre communautaire de Paris organizzerà dibattiti, concerti e cinque viaggi con destinazione località che hanno fatto la storia del popolo ebraico.

(©L'Osservatore Romano 11 gennaio 2013)

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