venerdì 18 gennaio 2013

Identikit del diplomatico pontificio. Per l'arcivescovo Stella occorre unire identità sacerdotale, solida formazione e «sensus Ecclesiae» (Ponzi)

Identikit del diplomatico pontificio

Per l'arcivescovo Stella occorre unire identità sacerdotale, solida formazione e «sensus Ecclesiae»


di Mario Ponzi


Uomo con una solida identità sacerdotale; profondo conoscitore del magistero pontificio; dotato di una ineccepibile formazione professionale e di una una certa dimestichezza con le problematiche etiche, economiche e culturali che caratterizzano le dinamiche del mondo di oggi; fedele alla Chiesa, alla Santa Sede, al Papa; in grado di interpretare nel miglior modo possibile il ruolo che compete oggi a un rappresentante pontificio nel contesto degli organismi internazionali; capace di servire con l'umiltà di cuore e con il coraggio che deriva dalla consapevolezza di essere portatore e testimone del messaggio evangelico. È l'identikit del diplomatico formatosi alla Pontificia Accademia Ecclesiastica così come viene delineato dal suo presidente, l'arcivescovo Beniamino Stella, in questa intervista rilasciata al nostro giornale.


Quali sono le caratteristiche principali che deve avere ogni vostro allievo?


Deve essere innanzitutto un uomo con una solida “identità sacerdotale”, dotato cioè di quella “bontà sacerdotale” che caratterizza l'integrità della vita. Spesso ricordo agli accademici che devono essere “sani di mente e di cuore”, nel senso della prudenza, dell'equilibrio, del discernimento e anche nel senso dell'adesione alla Chiesa di Cristo e al Papa, che sono chiamati a servire con tanto impegno personale. A questo vanno aggiunte, naturalmente, doti personali e culturali tali che consentano ai nostri giovani di affrontare un percorso educativo e formativo molto impegnativo e dunque di sacrificio.


Come riuscite a individuare i sacerdoti che rispondono ai requisiti richiesti?


Questa è una delle più grandi difficoltà da affrontare, soprattutto oggi. La crisi delle vocazioni ha provocato una drastica diminuzione del numero dei sacerdoti e, di conseguenza, è più difficile trovare giovani con le giuste caratteristiche. È un impegno gravoso che fortunatamente posso condividere con i vescovi locali. Abitualmente sono i rappresentanti pontifici, i presidenti delle Conferenze episcopali e i vescovi diocesani a segnalare giovani sacerdoti che si sono distinti per le loro qualità e per lo zelo pastorale. A noi il compito di analizzare le diverse segnalazioni, di convocare i candidati per una conoscenza più approfondita e di sottoporre i nomi alla Segreteria di Stato, che valuta attentamente e procede a una scelta accurata.


Quanti riescono a concludere con successo il corso di formazione?


Non tutti. Ogni anno generalmente presentiamo alla Segreteria di Stato tra i dieci e i dodici sacerdoti che hanno terminato gli studi e sono pronti a entrare nel servizio diplomatico. Considerando che ogni corso è composto dai trenta ai trentacinque sacerdoti, direi che la percentuale si aggira normalmente attorno al trenta per cento. Quest'anno per esempio abbiamo trentuno nuovi iscritti che hanno iniziato la loro formazione.


Da dove vengono?


Al presente da questi continenti: Asia, Africa, America, Europa. Rappresentano l'universalità della Chiesa e ciò naturalmente riflette quello che deve essere il servizio offerto alla Santa Sede attraverso l'opera di persone di culture differenti, che provengono da diverse realtà locali e che qui si preparano per poi integrarsi nella vita della Chiesa universale attraverso il servizio nelle nunziature apostoliche.


Quale tipo di formazione viene offerta loro?


In questa istituzione essi hanno l'opportunità di accedere a una formazione accademica propria, soprattutto nell'ultimo biennio nel quale si offre una particolare qualificazione professionale. A ciò si aggiunge l'opportunità di conoscere da vicino la realtà della Chiesa attraverso visite programmate ai dicasteri della Santa Sede, incontri di studio, momenti di approfondimento del magistero pontificio, occasioni di conoscenza ravvicinata della persona del Papa. Pian piano questi giovani, molti dei quali provengono da parrocchie e da seminari, acquisiscono la dimensione universale della Chiesa e soprattutto cominciano a rendersi conto della complessità del mondo e delle necessità della Chiesa universale. Vengono inoltre formati quotidianamente sulla realtà socio-politica internazionale, in modo che a poco a poco acquisiscano anche un'accurata conoscenza delle problematiche etiche, economiche e culturali che caratterizzano le dinamiche attuali.


Quel mondo nel quale saranno chiamati a rappresentare il Papa?


Per questo insisto molto sulla necessità di approfondire ogni testo del magistero, ogni documento della Santa Sede, ogni intervento del Sommo Pontefice. Il diplomatico della Santa Sede deve avere una particolarissima sensibilità per ciò che il Santo Padre propone, per essere sempre assolutamente fedele a quanto Egli insegna e per cercare di entrare sempre più in sintonia -- sia di cuore che di mente -- con la persona del Romano Pontefice. Per essere servitori fedeli del Successore di Pietro bisogna nutrire per Lui un amore profondo.


Abbiamo celebrato lo scorso anno il cinquantesimo dall'apertura del concilio Vaticano II. Qual è stata l'influenza che quell'avvenimento ha esercitato nel campo dei rapporti diplomatici tra la Santa Sede e gli altri Stati?


Direi che il Vaticano II ha incoraggiato soprattutto a svolgere il servizio diplomatico con grande senso di rispetto e con sincero amore per i popoli a cui i rappresentanti pontifici sono inviati, nutrendo anche un particolare desiderio di farsi latori della sollecitudine del Papa per le Chiese particolari e di stabilire una profonda sintonia con gli episcopati locali. C'è stato, di conseguenza, un profondo cambiamento nello stile di presenza e di azione da parte dei rappresentanti della Santa Sede. In sostanza l'invito dei padri conciliari è stato quello di essere “servitori” con il cuore, con la vita e con le opere. Occorre riconoscere che questo messaggio è stato ampiamente accolto e che oggi la diplomazia pontificia è ben consapevole di dover far proprio questo stile particolare.


La situazione del mondo è in continua evoluzione. Nuove realtà si affacciano sullo scenario internazionale e sempre più spesso ci si trova davanti a problematiche complesse e difficili da interpretare. Come aiutare gli aspiranti diplomatici ad affrontarle?


È una questione molto importante. I nostri sono giovani che provengono spesso da realtà particolari e che improvvisamente sono chiamati a rispondere a una proposta del loro vescovo, che li proietta in una realtà più vasta. Nell'Accademia cerchiamo subito di insegnare loro a pensare e a ragionare nell'ottica della Chiesa universale. Organizziamo anche appositi corsi interni che vanno a completare lo studio delle lingue e del diritto canonico, diplomatico e internazionale. Proponiamo inoltre momenti dedicati alla lettura e all'approfondimento della stampa mondiale. In questo modo essi entrano nel vivo delle problematiche attuali: si calano nei conflitti, nelle tensioni e nelle sfide del mondo, e anche della Chiesa. La nostra preoccupazione è proprio quella di favorire il loro graduale approccio a tutte le questioni che agitano e coinvolgono la società globale. Queste conoscenze sono fondamentali per il servizio diplomatico.


Ma qual è la differenza tra un diplomatico della Santa Sede e quello di un altro Stato?


Direi innanzitutto che è una questione di specificità, nel senso che si tratta di sacerdoti che hanno una formazione umana e cristiana di tutto rispetto. È l'identità sacerdotale la prima vera grande differenza. Poi certamente va sottolineato che l'attività del diplomatico della Santa Sede è al di sopra di qualsiasi interesse politico-economico, perché gli unici obiettivi sono di servire l'uomo e la sua inviolabile dignità e di servire la Chiesa nei valori che essa propone, ossia i valori del Vangelo: la verità, la libertà, la pace, la vita, la fraternità, la solidarietà, la famiglia. Ecco ciò che rende diverso il servizio del diplomatico della Santa Sede. Anche se questo, naturalmente, non significa sminuire l'importanza e l'efficacia dell'azione svolta dagli altri diplomatici; a tale riguardo la Chiesa tenta di favorire quanto di buono e di nobile vi è nell'umanità.


Quanto è importante la presenza della Santa Sede negli organismi internazionali e sovranazionali?


È certamente una presenza sempre più centrale, soprattutto oggi. Anche per questo diamo agli alunni di questa Accademia una formazione che potremmo definire “multilaterale”, in grado cioè di offrire loro gli strumenti per servire l'uomo e la Chiesa in ambiti così diversi e multiformi. Si tratta di contesti plurali che esigono dai futuri diplomatici della Santa Sede una spiccata capacità di pensiero e di dialogo, così da promuovere con saggezza quei valori che non dipendono dal consenso e dagli interessi momentanei ma che sono ancorati nella verità che non muta.


E quale tipo di testimonianza si può dare all'interno di queste istituzioni per cercare di superare alcune visioni antropologiche e culturali che ne condizionano il funzionamento?


Io credo molto nel valore della testimonianza. Ma perché sia realmente credibile occorre prima di tutto il profondo convincimento del testimone. Bisogna credere fino in fondo e vivere i valori che si propongono. Occorre quindi una preparazione specifica e professionale, perché nel presentarsi in questi alti ambiti internazionali è necessario farlo con grande umiltà ma anche forti dei propri convincimenti profondi. Questi non si fondano su un semplice pensiero personale ma sulla roccia di Cristo. Salda in questa verità, la Santa Sede lavora per salvaguardare autenticamente i diritti fondamentali dell'uomo, procedendo con coraggio e prudenza, consapevole che la sua parola, quando presenta il messaggio del Vangelo, non limita la condizione umana ma la libera e la nobilita, perché è sempre supportata dalla forza dello Spirito Santo.


(©L'Osservatore Romano 18 gennaio 2013) 


Quando Montini la definì «scuola di superiore carità»

Fondata a Roma nel 1701 dall'abate Pietro Garagni e denominata inizialmente Accademia dei Nobili Ecclesiastici, l'istituzione in cui si formano i futuri diplomatici della Santa Sede ebbe sin dall'inizio l'appoggio e l'approvazione di Papa Clemente xi, che nel 1703 decise di prenderla sotto la sua personale cura, disponendone nel 1706 il trasferimento nell'antico Palazzo Severoli di piazza della Minerva, dove ha sede ancora oggi. Dopo un periodo di alterne fortune, nel 1775 Pio vi ne rilanciò l'attività: fu lui, tra l'altro, a dichiarare patrono dell'istituzione sant'Antonio abate. 

Si deve invece a Pio XI l'attuale denominazione di Pontificia Accademia Ecclesiastica, mentre toccò a Pio XII -- che per cinque anni vi aveva insegnato diplomazia ecclesiastica -- disporre la redazione di un nuovo regolamento, emanato nel 1945 e tuttora in vigore. 
Tra i Pontefici che vi hanno studiato o insegnato, va anche ricordato Giovanni Battista Montini. Il futuro Paolo VI vi entrò nel novembre del 1921, inviato dal sostituto della Segreteria di Stato monsignor Pizzardo, e per cinque anni si dedicò agli studi giuridici e diplomatici. 
Divenuto a sua volta sostituto, Montini vi tenne il 25 aprile 1951 un importante discorso commemorativo per il duecentocinquantesimo anniversario di fondazione, parlando della diplomazia pontificia come di «una forma di amore per i popoli» e definendo l'Accademia «una scuola di superiore carità».

(©L'Osservatore Romano 18 gennaio 2013)

Nessun commento: